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L’irrilevanza dell’elemento soggettivo e la conseguente indetraibilità

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 184-188)

LA GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SULLE FRODI IVA.

3.2.20 L’irrilevanza dell’elemento soggettivo e la conseguente indetraibilità

dell’Iva in relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti: il tradizionale orientamento della Cassazione.

Secondo l’orientamento tradizionale della Corte di Cassazione, “una

fatturazione effettuata in favore di un soggetto diverso da quello effettivo è da ritenersi “soggettivamente inesistente”, e dunque viene ad essere evasa l’imposta relativa al rapporto che si è realmente posto in essere”337.

Pertanto, nei casi di inesistenza soggettiva, la giurisprudenza di vertice ha inizialmente ritenuto illegittimo il diritto a detrazione esercitato dall’acquirente, senza tuttavia verificarne lo stato soggettivo (ossia, indipendentemente da ogni possibile coinvolgimento psicologico dello stesso utilizzatore delle fatture nel “disegno criminoso” operato da terzi), ritenendo tale disamina addirittura irrilevante338.

In tal modo, in ipotesi di frodi carosello, ogni responsabilità viene “oggettivamente” scaricata sull’ultimo anello (magari inconsapevole) della catena, il quale non ha alcuna possibilità di “smaterializzarsi” come il missing trader.

L’argomentazione tralatiziamente utilizzata a tal fine è la seguente: (i) in caso di inesistenza soggettiva l’obbligo di corrispondere l’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva dall’art. 21, 7° comma, del D.p.r. n. 633 del 1972 (a tenore del quale, come già visto, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti

337 Cfr. Cass., sez. trib., 4 novembre 2002, n. 15374.

338 Cfr. ex multis, Cass., 5 giugno 2003, n. 8959; Cass., sez. trib., 10 giugno 2005, n. 12353; Cass., 7 febbraio 2008, n. 2847; Cass., sez. trib., 26 maggio 2008, n. 13482; Cass., 11 giugno 2008, n. 15396; Cass., sez. trib., 1° agosto 2008, n. 20968; Cass., 18 gennaio 2008, n. 1057, in C.T. n. 16/2008, pag. 1303 ss., con commento di CENTORE, Contrasto tra giudizi nazionali e comunitari sulla rilevanza della buona fede nelle frodi IVA .

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l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni in fattura), mentre risulta evasa l’imposta relativa alla (diversa) operazione effettivamente realizzata339; (ii) la previsione del menzionato art. 21, 7° comma, , viene, indirettamente ad incidere anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con l’art. 19, 1° comma, e art. 26, 3° comma, del D.p.r. 633 del 1972, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto340.

Il limite all’esercizio del diritto di detrazione poggia sul fatto che, nell’ipotesi di operazioni fittizie, non può sicuramente dirsi verificato il presupposto impositivo dell’Iva, cioè l’effettivo compimento della cessione o della prestazione.

A conferma di quanto sopra, basti pensare che, l’art. 19, primo comma341, succitato subordina la sussistenza del diritto di detrazione “alle operazioni effettuate” dovendolo conseguentemente escludere sia nel caso in cui l’operazione non sia assolutamente stata posta in essere (“inesistenza oggettiva”), come pure nel caso in cui l’operazione si sia svolta tra soggetti diversi da quelli che figurano nelle fatture (“inesistenza soggettiva”).

Pertanto, come anticipato nel paragrafo di apertura, il giudice nazionale adotta una “prospettiva eminentemente oggettiva”, giacché si è ritenuto che, per qualificare un’operazione come soggettivamente inesistente, con conseguente disconoscimento della detraibilità dell’Iva, sia sufficiente che la cessione non sia avvenuta non in sé, ma tra gli operatori indicati nella fattura.

Più in dettaglio, secondo la Corte di Cassazione342, la nozione di “fattura soggettivamente inesistente”, presuppone la verifica della contemporanea esistenza

339 In tal senso, Cass., 22 marzo 2006, n. 6378; Cass., 25 ottobre 2006, n. 22882; Cass., 30 gennaio 2007, n. 1950; Cass., 12 marzo 2007, n. 5717; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719; Cass., 3 dicembre 2008, n. 28660.

340V. Cass., 25 ottobre 2006, n. 22882.

341 Art. 19, primo comma, cit.: «per la determinazione dell’imposta dovuta a norma del primo comma dell’articolo 17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’articolo 30, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione».

342Cfr. Cass., Sez. V, sentenza n. 17377 del 24 luglio 2009. Sul punto, la predetta sentenza della Cassazione richiama un proprio precedente (ossia la sentenza n. 29467/2008) nella quale era stata rilevata l’importanza di accertare l’esistenza della «simulazione soggettiva» essendo questa una «circostanza non indifferente ai fini dell’IVA, dal momento che la qualità del venditore (...) può

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di due requisiti, ossia, da un lato, dell’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture, e, dall’altro, della “simulazione soggettiva”, ossia la provenienza della merce da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture medesime.

Il richiamo alla “simulazione” non è fuori luogo: se la simulazione è un accordo volto a far prevalere, a far emergere la forma rispetto alla sostanza, a rigore di logica si dovrebbe parlare di operazione soggettivamente inesistente solamente in presenza di una partecipazione volontaria dei soggetti coinvolti nella falsità; da questo punto di vista è emblematico l’insegnamento della Corte di giustizia che, volendo salvaguardare l’esistenza del diritto alla detrazione al fine di assicurare la neutralità dell’Iva, lo limita, come abbiamo visto nella sezione precedente di questo capitolo, solamente nel caso in cui esista una “connivenza” tra il soggetto che ha utilizzato la fattura fittizia e chi l’ha emessa.

Invece, rimane salvo il diritto di detrazione se l’utilizzatore della fattura era in buona fede, ossia se era estraneo alla frode, ossia, in altri termini, se era estraneo alla “simulazione soggettiva” sopra citata.

Viceversa, la conseguenza della qualificazione di un’operazione come “soggettivamente inesistente”, secondo la Suprema Corte di Cassazione è inevitabilmente quella della indetraibilità dell’Iva343, “non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata344.

In alcune sentenze, la Suprema Corte ha negato il diritto di detrazione, ritenendo che, nel caso di operazioni inesistenti, ai sensi dell’art. 21, settimo comma,

incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre».

343 Non assumendo, a tal fine, rilevanza esclusivamente la buona fede dell’utilizzatore delle fatture, sganciata cioè dalla dimostrazione della reale effettuazione delle operazioni (cfr. Cass., 19 marzo 2009, n. 6620, in Banca Dati BIG, IPSOA).

344 Cfr. Cass. n. 5719/2007, in cui era stato affermato come «la detrazione IVA è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione. Non entrano cioè nel conteggio del dare ed avere ai fini IVA le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti. Ed a nulla rileva che le medesime fatture costituiscano la «copertura» di prestazioni acquisite da altri soggetti (...). D’altronde tutto il complesso dell’IVA poggia sul presupposto che l’IVA sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili (che a sua volta potrà compensarla con l’IVA versata per l’acquisto di beni e di servizi) mentre invece il versamento dell’IVA ad un soggetto non operativo apre la strada al recupero indebito dell’IVA stessa».

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del D.P.R. n. 633/1972 l’Iva dovesse essere considerata «fuori conto», “e la

relativa obbligazione, conseguentemente, isolata da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra Iva “a valle” ed Iva “a monte”) che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 del decreto citato”345.

In altri casi, la Cassazione ha negato la detrazione dell’Iva in relazione a fatturazioni relative ad «operazioni inesistenti» sul presupposto che sia disdicevole invocare un diritto in relazione ad un’operazione comunque «disapprovata» dal sistema: nella sentenza n. 14337/2002, ad esempio, i giudici di legittimità negano il diritto di detrazione «anche perché l’emissione di fatture per operazioni inesistenti

ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata».

Secondo questa giurisprudenza di Cassazione, quindi, non è ammissibile che si ritraggano dei vantaggi da un’operazione fraudolenta, anche se compiuta da terzi e anche se il soggetto che invoca il diritto alla detrazione era inconsapevole dell’esistenza della frode stessa.

La posizione della Corte di giustizia346 sul punto – come già illustrato nella sezione precedente di questo capitolo - è nettamente più favorevole all’utilizzatore delle fatture (rispetto alla sopravvista posizione della Cassazione) o, se si vuole, più ossequiosa della struttura dell’Iva quale risulta dalla Sesta Direttiva.

La Corte di giustizia, infatti, muovendo dal carattere obiettivo delle nozioni contenute nella Sesta Direttiva, ha affermato che “il diritto di un soggetto passivo

che effettua simili operazioni di dedurre l’IVA pagata a monte non può neanche essere compromesso dalla circostanza che, nella catena di cessioni in cui si inscrivono le dette operazioni, senza che tale soggetto passivo lo sappia o possa saperlo, un’altra operazione precedente o successiva a quella da esso realizzata sia inficiata da frode all’IVA”347.

345 Cfr. Cass., 7 ottobre 2002, n. 14337.

346 Cfr. Corte di giustizia, sentenza 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, in GT- Rivista di giur. trib., n. 10/2006, pag. 837 ss., con commento di P. Centore, L’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in tema di frodi IVA .

347 Punto 45 della sentenza. Quanto affermato al punto 45 trova spiegazione nel fatto che «(punto 47) il diritto a detrazione previsto dagli artt. 17 ss. della VI direttiva costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni». Infatti, «(punto 48) il sistema delle deduzioni è inteso a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell'IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce,

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Pertanto, secondo la Corte di giustizia “gli operatori che adottano tutte le

misure che possano essere da essi ragionevolmente pretese al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode, che si tratti di frode all’IVA ovvero di altre frodi, devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell’IVA pagata a monte”348.

Analoghe affermazioni di principio si ritrovano anche in altre sentenze della Corte di giustizia349, in cui si è affermata l’irrilevanza, ai fini della spettanza in capo al soggetto passivo di dedurre l’Iva pagata a monte, di “stabilire se l’IVA dovuta

sulle operazioni di vendita precedenti o successiva riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all'Erario”, in senso, quindi, totalmente opposto rispetto

all’orientamento della Corte di Cassazione.

Come abbiamo avuto modo di verificare, infatti, il sistema comunitario dell’Iva non permette di negare l’esercizio del diritto di detrazione a chi, avendo adottato tutte le misure ragionevolmente a lui richiedibili, abbia fatto affidamento sulla liceità delle operazioni compiute allorquando si trovi coinvolto all’interno di una frode.

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 184-188)

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