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La giurisprudenza successiva della Corte di giustizia e i limiti posti all’ampliamento dei confini dell’abuso.

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 89-95)

LIMITAZIONE DEL DIRITTO ALLA DETRAZIONE IN IPOTESI DI ABUSO DEL DIRITTO.

3.1.7. La giurisprudenza successiva della Corte di giustizia e i limiti posti all’ampliamento dei confini dell’abuso.

Nei paragrafi precedenti, abbiamo svolto una disamina della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di elusione Iva e delle soluzioni dalla stessa proposte per combattere tale fenomeno.

176 Corte di Giustizia, 27 settembre 2007, causa C-409/04, in Corr. trib., n. 43/2007, pag. 3515, con commento di CENTORE, Forma e sostanza nelle frodi IVA e in Rass. trib. n. 6/2008, pag. 1781, con commento di MONDINI, Falso materiale e ideologico nelle frodi Iva e tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente nell’apparenza di situazioni fattuali e giuridiche prodotta da terzi. 177 Laddove si dà atto che “secondo la Corte, il soggetto passivo ha sempre il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale (pag. 73 della sentenza); tale scelta, tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, trova un preciso limite nel divieto per gli interessati di avvalersi abusivamente del diritto comunitario”.

178 Cfr. BEGHIN, L’inesistente confine tra pianificazione, elusione e “abuso del diritto”, in Corr. trib. n. 22/2008 nonché CAMMILLERI e D’ACQUISTO, Il vantaggio fiscale come “scopo essenziale” rende l’operazione elusiva, in Corr. trib. n. 18/2008.

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Abbiamo anche visto che la qualificazione del divieto di abuso del diritto come principio generale comunitario è gravida di conseguenze.

Una breve digressione sul ruolo dei principi generali nell’ordinamento comunitario paleserà, infatti, quali importanti ricadute abbia il riconoscimento delle esistenza di un siffatto principio179.

La dottrina ha affermato che i principi generali agiscono nell’ordinamento comunitario principalmente sul terreno dell’interpretazione, dal momento che sono richiamati dalla Corte di giustizia per orientare l’esegesi delle norme positive, oppure per colmare le lacune di quest’ultime e garantire la coerenza generale del sistema comunitario, nonché di questo con gli ordinamenti nazionali, in una visione tendenzialmente unitaria.

Tuttavia, la prassi applicativa ha dimostrato come presto questi principi generali abbiano perso la valenza esclusiva di canoni meramente interpretativi, ed abbiano invece acquistato il valore di vere e proprie fonti giuridiche.

La Corte ha difatti utilizzato i principi generali per controllare la legittimità di un atto comunitario e anche per assicurare la protezione dei diritti dei cittadini comunitari. I giudici hanno fatto ricorso al principio come strumento per la verifica della legittimità comunitaria.

Questa “trasformazione” di funzione è testimoniata dal caso paradigmatico del principio di proporzionalità: la Corte di giustizia, infatti, ha affermato che si tratta di un principio generale che deve essere osservato dal diritto derivato180.

La giurisprudenza comunitaria ha dunque riconosciuto una sorta di “relazione gerarchica” tra fonti del diritto, tale che i principi generali siano sovraordinati rispetto alla normativa comunitaria derivata (regolamenti e direttive)181.

179 Sul tema, si leggano ANZILOTTI, Corso di diritto internazionale, 7a ed., Cedam, Padova, 1955, 106; SERENI, Principi generali di diritto e processo internazionale, Giuffrè, Milano, 1955; BADIALI, Il diritto degli Stati membri negli ordinamenti delle Comunità europee, Giuffrè, Milano, 1971, 23; GAJA, voce Principi generali del diritto (dir. internaz.), in Enc. Dir., XXXV, Giuffrè, Milano, 1986, 533; ALPA, I principi generali, Giuffrè, Milano, 2006.

180 Cfr. Corte di giustizia, 5 luglio 1977, C-114/76, Bela-Mhle, in Racc., 1977, I-1211.

181 TESAURO, Diritto comunitario, 3a ed., Padova, 2003, 103, ha assegnato ai principi de quibus la natura di “parametri di legittimità, dunque di norme idonee a creare diritti ed obblighi”. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, Bari, 2003, 108, ha sottolineato la necessità di distinguere i principi generali “ispirati” ai diritti fondamentali da quelli di derivazione diversa, giacché attraverso l’art. 6, par. 2, del trattato sull’Unione europea, “la tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario risulta ora più ampia, perché non è più posta, come per gli altri principi generali, ad un

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Riconducendo dunque a sistema gli approdi interpretativi della Corte, si arriva a concludere che il diritto comunitario primario, collocato in posizione sovraordinata rispetto al diritto comunitario derivato, è formato non solamente dalle disposizioni trattatistiche, così come interpretate dalla relativa giurisprudenza comunitaria, ma anche dai principi generali del diritto.

Se, dunque, i princìpi generali appartengono al rango delle fonti comunitarie primarie, è agevole trarre il corollario che essi godono dell’efficacia tipica delle fonti di primo grado, rappresentata dalla prevalenza non soltanto sul diritto comunitario derivato, ma anche sul diritto nazionale, in base all’oramai consolidata giurisprudenza comunitaria e costituzionale.

Le ricadute di questa affermazione sono evidenti: nel conflitto tra un principio generale comunitario ed una norma domestica, si dovrà pertanto accordare preferenza alla norma racchiusa nel principio comunitario e, parallelamente, si dovrà escludere l’applicazione della regola nazionale.

Quando poi non si ponga un problema di prevalenza, giacché manca nel diritto domestico una norma che sia in conflitto con il principio comunitario, la conseguenza sarà semplicemente che la disciplina sarà rappresentata dalla norma racchiusa nel principio generale stesso.

Così, nel nostro caso, in mancanza di una clausola nazionale anti-abuso in materia di Iva, si potrebbe ipotizzare che operi direttamente, quale norma antielusiva, quella espressa dal divieto comunitario di abuso del diritto, secondo la struttura che abbiamo esaminato nelle pagini precedenti.

Però è altrettanto indubbio che tali soluzioni antielusive poste a salvaguardia del principio della neutralità dell’imposta sul valore aggiunto debbono essere bilanciate con altre esigenze meritevoli di tutela secondo l’ordinamento comunitario e nazionale, quali il principio di proporzionalità, la certezza del diritto, la prevedibilità degli obblighi tributari e il legittimo affidamento del contribuente. Nel presente paragrafo cercheremo di delineare meglio gli effetti dell’abuso nei confronti

livello intermedio fra il trattato CE e gli atti delle istituzioni, ma è collocata alla stesso livello del trattato-Costituzione”. In sostanza, secondo questa dottrina, i principi generali non godono di un’uniforme forza giuridica: quelli improntati sui diritti fondamentali avrebbero la stessa efficacia delle norme comunitarie primarie, mercé il rinvio operato ai diritti fondamentali dall’art. 6 del trattato; diversamente, quelli di derivazione estranea rispetto ai diritti fondamentali starebbero in una posizione intermedia tra le norme trattatistiche e le norme derivate.

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dei soggetti coinvolti e i limiti nei quali l’azione accertativa del Fisco si deve svolgere per non cadere a sua volta in un “abuso” del “divieto di abuso del diritto”.

Un primo limite alla contestazione di pratiche abusive è stato già individuato nei paragrafi precedenti. Si è già rilevato, infatti, che ai fini Iva non possono essere riconosciuti abusivi i comportamenti che, seppur “convenienti” per il soggetto passivo (e, dunque, specularmente sconvenienti per l’Amministrazione finanziaria) siano comunque leciti, cioè, non apertamente in contrasto con lo scopo perseguito da una specifica disposizione di legge.

Quanto appena riportato trova conferma nella successiva evoluzione della giurisprudenza comunitaria in tema di abuso.

Nella sentenza 22 dicembre 2012, causa C-277/09, RBS Deutschland, la Corte di giustizia analizza il caso di un’operazione che, ancorché profittevole, deve essere conosciuta come valida, in quanto agli effetti che produce.

Più in particolare, il caso in rassegna riguarda un leasing effettuato da una società tedesca in favore di clienti residenti in Gran Bretagna. In quanto considerata come servizio (in Germania) e come bene (nel Regno Unito), l’operazione non viene tassata né all’origine né a destinazione, dando luogo a una situazione di doppia non

imposizione giudicata abusiva dal Fisco che, in definitiva, aveva contestato il diritto

alla detrazione dell’Iva assolta sugli automezzi concessi in leasing, in quanto l’operazione non veniva, poi, tassata a destinazione.

La Corte, però, respinge la tesi dell’Amministrazione finanziaria osservando che “nonostante l’instaurazione del sistema comune dell’IVA per effetto delle

disposizioni della direttiva, sussistono in materia differenze legislative e regolamentari tra gli Stati membri (…)”; tale differenza tuttavia “non può privare il soggetto passivo del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in un altro Stato membro” (punto 42 della sentenza).

In relazione al tema dell’abuso, poi, la Corte, giudicando le conseguenze del comportamento del contribuente che si era giovato del disallineamento delle norme tedesche e di quelle inglesi nella qualifica del leasing afferma che: “i soggetti passivi

sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali. La Corte ha infatti già avuto modo di affermare che la scelta, da parte di un imprenditore, tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad

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imposta può basarsi su un insieme di elementi, in particolare su considerazioni di natura fiscale attinenti al regime obiettivo dell’IVA (v. sentenza 9 ottobre 2001, causa C-108/99, Cantor Fitzgerald International, Racc. pag. I-7257, punto 33). La Corte ha precisato, a tal riguardo, che il soggetto passivo, nel caso in cui possa scegliere tra differenti operazioni, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permetta di limitare la contribuzione fiscale (v. sentenza Halifax e a., cit. supra, punto 73)”182.

Altrettanto significativo è il successivo caso C-502/10, Tanoarch183 dove viene affrontata una controversia sorta nella Repubblica Ceca, in dipendenza di un credito di imposta vantato da un soggetto passivo che aveva acquistato una quota di comproprietà di un’invenzione non ancora registrata.

Il fatto materiale, riguardante il comportamento abusivo (o, probabilmente evasivo) dei soggetti coinvolti, merita un breve approfondimento segnalando che, nel caso di specie, con una sequenza ravvicinata di atti, alcuni soggetti giuridici, riconducibili sostanzialmente ad un’unica persona fisica, procedevano, da un lato, alla richiesta di registrazione di un’invenzione, successivamente rivendendo parte del “diritto” derivante da tale invenzione in itinere, mediante fatturazione dell’operazione con addebito dell’Iva. L’imposta non veniva versata dalla società cedente che, compiuta l’operazione, veniva sciolta senza liquidazione, ma reclamata dal soggetto cessionario, come credito, negato dall’Amministrazione fiscale competente.

Se, infatti, la detrazione costituisce un cardine del sistema Iva, almeno fino alla sua revisione, annunziata dalla Commissione europea184, non vi può essere dubbio che l’applicazione dell’imposta a monte dia origine alla detrazione a valle, sino al consumo finale, cioè, al prelievo definitivo. Altrettanto indubbio, però, è che il regime della detrazione tende a creare un’effettiva neutralità dell’imposizione, da considerarsi non solo a favore degli operatori economici ma anche dell’Erario. Il che, all’evidenza, si manifesta quando il cliente inciso dall’imposta reclami il recupero (sotto forma di detrazione o di rimborso) dell’Iva che il fornitore non abbia versato.

182 Cfr. sentenza C.277/09, punti 53 e 54.

183 Corte di giustizia, sentenza del 27 ottobre 2011, C-502/10.

184 Cfr. COM. (2010) 695 del 1° dicembre 2010, riguardante la “Consultazione pubblica” (c.d. Libro Verde sul futuro dell’Iva).

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Da questa osservazione discende l’attuale dibattito (che verrà approfondito nel prossimo capitolo) sul grado di coinvolgimento dell’operatore “onesto” nelle frodi fiscali: se, cioè, esso sia tenuto a rispondere del mancato versamento dell’imposta in

ogni caso o se, invece, la sua responsabilità sia limitata al caso di coinvolgimento

consapevole nell’attività fraudolenta.

Non è, dunque, un caso che il giudice nazionale abbia chiesto “se anche la

circostanza che, in una fattispecie come quella di cui alla causa principale, l’invenzione ancora non sia stata registrata come brevetto e si trasferiscano solo quote incida sulla configurazione di un abuso del diritto del soggetto passivo a detrarre l’IVA assolta a monte, ai sensi della sentenza della Corte 21 febbraio 2006, causa C-255/02, “Halifax e a.” [Racc. pag. I-1609].

La Corte di giustizia rinvia al mittente la questione osservando che “compete

al giudice del rinvio valutare tutte le circostanze pertinenti di tale causa per determinare se, in considerazione della giurisprudenza supra ricordata, ai fini dell’IVA, un’operazione come quella di cui trattasi nella causa principale possa essere considerata come rientrante in una pratica abusiva. Dette circostanze sono caratterizzate in particolare dal fatto che l’invenzione di cui trattasi non ha ancora dato luogo alla registrazione di un brevetto, che il diritto connesso a tale invenzione è detenuto da diverse persone che per la maggior parte sono stabilite al medesimo indirizzo e sono rappresentate dalla medesima persona fisica, che l’IVA dovuta a monte non è stata versata e che la società che ha ceduto la quota di comproprietà è stata sciolta senza liquidazione”185. Con l’occasione, però, la Corte ricorda che gli elementi dell’abuso sono essenzialmente tre, costituiti da un apparente rispetto della

forma, attraverso cui si giunge ad un risultato che sia contrario alle disposizioni della direttiva, tenendo conto dell’atteggiamento dell’operatore che pone come unico obiettivo il raggiungimento del vantaggio altrimenti negato.

L’indicazione è chiarissima e dovrebbe impedire le derive interpretative degli ultimi periodi, caratterizzate dall’estensione dell’abuso di diritto ad ogni situazione che rappresenti non un risultato contrario alla normativa ma un lecito risparmio

d’imposta, ben diverso dal caso della frode, ove le norme non vengono

semplicemente aggirate ma palesemente infrante, con un disegno, normalmente

185 Cfr. punto 53 della sentenza Tanoarch.

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preordinato, di raggiungere non il risparmio ma il guadagno dell’imposta, sotto forma di danno erariale.

Non è un caso, allora, che il giudice comunitario, rimettendo la questione al giudice nazionale, si affretti a sottolineare che nel caso di specie dovrà essere valutata la circostanza centrale che “l’IVA dovuta a monte non è stata versata e che

la società che ha ceduto la quota di comproprietà è stata sciolta senza liquidazione”.

Cioè, ad un atteggiamento che appare da ascrivere più al comportamento fraudolento che all’abuso di diritto, almeno secondo il paradigma fornito dal giudice comunitario.

3.1.8. Gli effetti dell’abuso nei confronti dei soggetti coinvolti: il problema

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 89-95)

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