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Il lento cammino della Cassazione verso l’attribuzione di rilevanza

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 188-191)

LA GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SULLE FRODI IVA.

3.2.21 Il lento cammino della Cassazione verso l’attribuzione di rilevanza

allo stato soggettivo del cessionario.

Abbiamo visto che, mentre il giudice comunitario afferma che il diritto alla detrazione non può in linea di principio essere disconosciuto nemmeno in caso di frodi, salvo non si dimostri che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere dell’esistenza della frode, il giudice nazionale parte dal presupposto inverso: il diritto

in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA».

348 Punto 51 della sentenza. Da ciò risulta che «(punto 59) spetta al giudice nazionale negare il beneficio del diritto alla deduzione qualora risulti acclarato, alla luce di elementi obiettivi, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA, anche se l’operazione in oggetto soddisfaceva i criteri oggettivi sui quali si fondano le nozioni di cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo che agisce in quanto tale e di attività economica».

349 Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C- 484/03.

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alla detrazione è sempre negato in ipotesi di frodi anche se chi lo invoca è un soggetto inconsapevole dell’esistenza della frode, perpetrata da altri.

Il contrasto era evidente. Proprio per tale ragione, a partire dal 2009, la Cassazione ha cercato di ricomporre lo jato creatosi fra la propria giurisprudenza e l’orientamento ormai univoco espresso dalla Corte di Giustizia in tema di frodi.

Con ben due pronunce, infatti, il Supremo Collegio ha finalmente riconosciuto che, quando l’Amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza soggettiva dell’operazione, la prova della “consapevole partecipazione del contribuente alla frode” assume un ruolo centrale al fine di valutare la legittimità o meno dell’esercizio del diritto a detrazione350.

Con una prima pronuncia, la sentenza n. 2779 del 2009, la Cassazione, dopo aver ribadito che il concetto di falsa fatturazione comprende “ogni tipo di divergenza,

anche meramente soggettiva, tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale allorché (…) si accerti che uno o entrambi i soggetti indicati nella fattura sono falsi”, statuisce che “appartiene al giudice del rinvio valutare se gli elementi accertati, offerti dall’amministrazione per giustificare la pretesa fittizietà dell’interposizione e la consapevole partecipazione del contribuente alla frode (…), abbiano i necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza a fronte dei quali spetta alla contribuente stessa l’onere di fornire la prova contraria. … . Il soggetto che abbia acquistato il bene o ricevuto la prestazione di servizi non può portare in detrazione l’IVA pagata, a titolo di rivalsa, al soggetto emittente della fattura, se conosce o dovrebbe conoscere, usando l’ordinaria diligenza, che tale soggetto è diverso da quello che ha effettivamente ceduto il bene o reso la prestazione. Il giudice tributario deve dare conto, in motivazione, dell’esame condotto sugli elementi, anche presuntivi, offerti dalle parti per dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di tale consapevolezza”.

La Corte non arriva ad affermare con la sentenza in rassegna che la non consapevolezza determini la non inesistenza dal lato soggettivo delle operazioni: queste ultime rimangono fittizie, ma, ciononostante, la buona fede dell’acquirente consente di derogare alla conseguenza che inevitabilmente dovrebbe derivare, nella

350 Trattasi di Cass., 5 febbraio 2009, n. 2779, I.P.A.M., in GT - Riv. giur. trib., 2009, 414 ss., con nota di BOCCALATTE, Fatture inesistenti anche se uno o entrambi i soggetti indicati non sono veri, e Cass., 13 marzo 2009, n. 6124, Lino Santi.

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prospettiva della Cassazione, dall’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, e cioè a dire il disconoscimento del diritto alla detrazione351.

Ciò equivale a dire che la frode c’è e che, tuttavia, essa non esplica effetti (sul piano della negazione del diritto alla detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti) rispetto alla posizione del cessionario, laddove egli sia in grado di dimostrare che ignorava incolpevolmente l’esistenza del meccanismo fraudolento: l’assenza di consapevolezza diviene, pertanto, una sorta di esimente che il soggetto passivo può invocare al fine di salvaguardare il proprio diritto alla detrazione.

Si tratta di esiti interpretativi che si pongono in sintonia con gli insegnamenti della Corte di Giustizia, anche se le prospettive da cui muovono i giudici nazionali rimangono diverse.

Secondo i giudici comunitari, infatti, anche le operazioni compiute all’interno della catena fraudolenta, rientrano ad ogni effetto nell’ambito di applicazione dell’Iva, con conseguente acquisizione del diritto alla detrazione, che, tuttavia, viene perduto qualora venga dimostrato dall’Erario che il contribuente sapesse o non potesse non sapere che l’acquisto è stato effettuato in un contesto fraudolento.

Secondo la Cassazione, invece, l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti determina di per sé l’indetraibilità dell’Iva, che, tuttavia è ammessa in deduzione qualora sussista la buona fede del contribuente.

Quella che nella prospettiva comunitaria è la regola (ossia detraibilità dell’Iva anche in ipotesi di frodi), diventa nella prospettiva nazionale l’eccezione (il contribuente che invoca l’esimente della buona fede può detrarsi l’Iva).

Con una successiva sentenza, di poco successiva a quella appena commentata352, i giudici di legittimità, in un caso di frode carosello (fra Italia e San Marino), hanno ritenuto legittimo l’esercizio del diritto a detrazione dal momento che, “l’acquisto (...) non comporta(va) una necessaria e consapevole partecipazione da parte dell’acquirente, all’evasione iva posta in essere dalla venditrice”.

Alla luce di quanto sopra riportato, sembra ormai difficile che, in tema di inesistenza soggettiva, possa tornarsi ad affermare l’irrilevanza di ogni indagine volta

351 Analogamente, Cass., Sez. V, 24 luglio 2009, n. 17377, in Riv. giur. trib., 2010, p. 419, con nota di LOVISOLO, Operazioni soggettivamente inesistenti ed “inerenza soggettiva”: la Cassazione ribadisce la propria “giurisprudenza del disvalore”-

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ad appurare la consapevolezza, da parte dell’acquirente, della “inesistenza” del fornitore.

3.2.22 Buona fede e ripartizione dell’onere della prova: nuove asimmetrie

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 188-191)

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