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Irrilevanza del concetto di operazioni inesistenti al fine di stabilire la sussistenza di una “frode” in senso comunitario Conferme e specificazioni dalla

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 161-166)

L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA IN MATERIA DI LOTTA ALLE FRODI.

3.2.15. Irrilevanza del concetto di operazioni inesistenti al fine di stabilire la sussistenza di una “frode” in senso comunitario Conferme e specificazioni dalla

recentissima giurisprudenza comunitaria: Mecsek-Gabona, Gábor Tóth e Maks Pen.

Giunti a questo punto della nostra indagine, ciò che merita di essere sottolineato è il fatto che la Corte di giustizia, nell’affrontare e decidere i casi di frodi carosello a lei sottoposti, non ha mai fatto ricorso al concetto di inesistenza, tanto meno “soggettiva”, delle operazioni poste in essere dal c.d. missing trader.

Del resto la Corte ha, in proposito, chiarito che, anche le operazioni compiute dal missing trader, rientrano ad ogni effetto nel ambito di applicazione dell’Iva295.

È, come abbiamo potuto esaminare, principio consolidato, nella giurisprudenza della Corte quello per il quale, anche le operazioni illecite (salvo “situazioni specifiche”296 rientrano nel campo di applicazione della direttiva Iva.

Poco importa, quindi, ai fini Iva, che l’operazione di cui trattasi risulti, dal punto di vista civilistico nulla (per illiceità della causa, o per contrarietà all’ordine pubblico297.

Detto altrimenti, tutte le operazioni, realizzate nell’ambito di una frode carosello, comprese quelle attraverso cui si è consumato l’illecito (ossia si è perpetrata l’evasione dell’Iva) costituiscono “attività economiche” ai sensi della Direttiva, ancorché siano risultate prive di sostanza economica298.

cessionario: il difficile percorso “comunitario” della giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Dir. prat. trib., 2009, I, p. 1251, il quale segnalavacome il prezzo d’acquisto “costituisca il cardine probatorio per affermare o negare il coinvolgimento dell’acquirente nella frode realizzata a monte”. 295 Cfr. Corte di giustizia, 12 gennaio 2006, C-354/03, Optigen, pp. 25 et 49, e in modo ancor più esplicito Corte di giustizia, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e altri, pp. 37 et 50, dove, fra i quesiti sottoposti risultava anche il seguente “se quando l’operazione è inficiata dalla frode commessa dal venditore (...) il principio di neutralità osti a che la declaratoria di nullità”. 296 Si tratta dei casi in cui una certa operazione risulti assolutamente vietata dall’ordinamento nazionale (cfr. Corte di giustizia, 5 luglio 1988, causa C-289/86, Happy Family), e che pertanto cessa di poter essere considerata una “attività economica” ai sensi della Direttiva Iva (cfr. Corte di giustizia, 29 giugno 1999, causa C-158/98, Coffeeshop Siberie, 22).

297 Cfr. Corte di giustizia, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/ 04, Kittel e altri, pp. 37 e 50. 298 Cfr. Corte di giustizia, 12 gennaio 2006, C-354/03, Optigen e altri, punto 49 in risposta alla tesi elaborata dall’Ufficio Iva inglese (al p. 25), secondo cui “le operazioni realizzate nell’ambito di una frode di tipo carosello non costituiscono attività economiche ai sensi della VI Direttiva”.

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Ne consegue che, la circostanza che “le merci siano passate di mano ed

abbiano dato luogo ad un pagamento” legittima la conclusione che si tratti di operazioni Iva ad ogni effetto, a nulla rilevando – salvo abusi – il fatto che “in un altro punto della serie di cessioni (...) un frodatore ha fatturato l’Iva, ma non l’ha dichiarata” (Optigen, citata, punti 23 e 24).

Quanto sopra riportato trova piena conferma anche nella recentissima giurisprudenza della Corte di giustizia.

Abbiamo già avuto modo di rilevare in relazione al caso Mahageben-David, esaminato nel paragrafo precedente, come la Corte abbia chiarito che le circostanze relative alla persona del cedente non possono essere poste alla base della negazione del diritto alla detrazione in capo al cessionario. Tale diritto, infatti, può essere limitato solo qualora l’Amministrazione fornisca la prova, sulla base di elementi oggettivi collegati alle modalità di svolgimento dell’operazione in contestazione, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la suddetta operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte299 (cfr. punti 61 e 62 della sentenza).

In senso sostanzialmente conforme, si esprime anche la successiva sentenza

Mecsek-Gabona (C-273/11, citata): la circostanza che il numero di identificazione Iva dell’acquirente sia stato cancellato dall’Amministrazione finanziaria di un altro Stato membro è stata ritenuta non decisiva dalla Corte ai fini della negazione del diritto all’esenzione in capo al cedente: “si tratta di un requisito formale”- si legge nel punto 60 della sentenza citata- “che non può mettere in discussione il diritto

all’esenzione dell’Iva qualora ricorrano le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria”. D’altra parte, specifica la Corte, citando la sentenza Collée, “un provvedimento nazionale il quale … subordini il diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma, senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali, eccede quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta” (punto 61).

Ad analoghe conclusioni la Corte è giunta anche nel successivo caso Gábor

Tóth (C-324/11, citato), concernente il caso di un imprenditore ungherese, il sig.

Tóth, che effettuava lavori di costruzioni avvalendosi di subappaltatori, ed in

299 Occorre evidenziare che i giudici europei hanno confermato le conclusioni cui sono giunti nella Mahagében e Dávid anche nelle successive sentenze Bonik, Stroy Trans , LVK, citate.

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particolare del sig. M.L., il quale non assolveva ai propri obblighi fiscali e già in data antecedente all’emissione delle fatture al sig. il sig. Tóth, non era più qualificato come soggetto passivo, non potendo pertanto più emettere fatture valide.

Ebbene, la Corte ha confermato le conclusioni raggiunte nella sentenza

Mahagében e Dávid, affermando che, in un contesto in cui è pacifico che i servizi

sono stati utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta (punto 26), non costituiscono di certo “elementi oggettivi” su cui può fondarsi la negazione del diritto alla detrazione il fatto la licenza di imprenditore individuale del fornitore sia stata revocata “prima che quest’ultimo abbia fornito i servizi di cui trattasi o abbia emesso la fattura corrispondente” (punto 22), e ciò in ragione del fatto che la nozione di soggetto passivo viene definita nella direttiva sulla base di “circostanze di fatto”, non risultando dall’art. 9, par. 1, “che lo status di soggetto passivo dipenda da una qualsivoglia autorizzazione o licenza concessa dall’amministrazione ai fini dell’esercizio di un’attività economica” (punto 30).

Al punto 46 della sentenza Gábor Tóth si chiede alla Corte se può essere invocata a fondamento del disconoscimento del diritto alla detrazione la circostanza che l’operazione non è stata realizzata tra le parti menzionate nella fattura. La Corte risponde alla questione affermando che “tale verifica non può rimettere in

discussione le considerazioni che costituiscono il fondamento delle risposte fornite alle prime tre questioni [n.d.r., non costituisce circostanza obiettiva idonea ad

escludere il diritto alla detrazione], a meno che l’amministrazione finanziaria non

dimostri che, alla luce di elementi obiettivi, il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il diritto alla detrazione si inscriveva in una frode commessa dall’emittente della fattura oppure da un altro operatore, intervenuto a monte della catena delle prestazioni” (punto

51).

Infine, nella recentissima sentenza Maks Pen EOOD300 (nel proseguo, Maks

Pen) la Corte ha definitivamente chiarito l’irrilevanza in sé, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione, della circostanza che l’operazione non sia avvenuta tra i soggetti indicati in fattura: l’unico elemento atto a giustificare il

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disconoscimento del diritto in oggetto è infatti la consapevolezza (o la conoscibilità) della frode da parte del soggetto passivo.

Ripercorriamo brevemente i fatti di causa.

La Maks Pen è una società di diritto bulgaro che esercita il commercio all’ingrosso di forniture da ufficio e di materiale pubblicitario.

Il controllo fiscale di cui è stata oggetto ha indotto l’amministrazione fiscale ad interrogarsi sulla fondatezza della detrazione Iva operata in ragione dell’imposta indicata nelle fatture di sette suoi fornitori e subappaltatori.

Ritenendo che la veridicità dell’esecuzione delle operazioni di taluni subappaltatori non fosse stabilita, oppure che queste non fossero state realizzate dai prestatori menzionati nelle fatture, l’amministrazione fiscale ha emesso un avviso di accertamento in rettifica mettendo in discussione la detraibilità dell’Iva indicata nelle fatture delle imprese in parola.

Ai fini della soluzione del caso sottoposto al suo giudizio, il giudice del rinvio ha domandato alla Corte se la direttiva 2006/112 debba essere interpretata nel senso che essa osta a che un soggetto passivo effettui la detrazione dell’Iva riportata nelle fatture emesse da un prestatore di servizi qualora risulti che il servizio è stato sì fornito, ma non da tale prestatore o da un suo subappaltatore, e ciò segnatamente perché costoro non disponevano del personale, delle risorse materiali e degli attivi necessari, le spese della prestazione non sono state contabilizzate nei loro registri e l’identità dei firmatari di taluni documenti a titolo di prestatori del servizio si è rivelata inesatta (punto 22).

La Corte, dopo aver ribadito che il diritto alla detrazione costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’Iva, ricorda che peraltro, dalla

formulazione dell’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112 emerge che, per beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e siano forniti a monte da un altro soggetto passivo (v. sentenza Bonik, cit., punto 29 e giurisprudenza ivi citata). Qualora tali requisiti siano soddisfatti, il beneficio della detrazione non può, in linea di principio, essere negato” (punto 25).

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Nell’ottica della lotta agli abusi e alle frodi, tale diritto può essere tuttavia disconosciuto qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente. Il beneficio del diritto a detrazione può, pertanto, essere negato ad un soggetto passivo solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’Iva.

“A tale proposito”, afferma la Corte, la mera circostanza che, nel

procedimento principale, la prestazione fornita alla Maks Pen non sarebbe stata effettivamente realizzata dal prestatore menzionato nelle fatture o dal suo

subappaltatore segnatamente perché costoro non avrebbero disposto del personale, delle risorse materiali e degli attivi necessari, le spese della prestazione non sarebbero state contabilizzate nei loro registri e l’identità dei firmatari di taluni documenti a titolo di prestatori del servizio si sarebbe rivelata inesatta non sarebbe

sufficiente, in sé stessa, a escludere il diritto a detrazione della Maks Pen (punto

31).

Questo è un punto cruciale della sentenza in rassegna, che delegittima tutta quella giurisprudenza della Cassazione che vorrebbe negare il diritto alla detrazione in capo al cessionario basandosi esclusivamente sulla circostanza che l’operazione sia qualificabile come “soggettivamente inesistenti”, in quanto il cedente sarebbe un soggetto diverso da quello indicato in fattura.

A tal proposito, la Corte di giustizia afferma nel dispositivo della sentenza in commento, che: “La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006,

relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretata nel senso che essa osta a che un soggetto passivo effettui la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto riportata nelle fatture emesse da un prestatore di servizi qualora risulti che il servizio è stato sì fornito, ma non da tale prestatore o dal suo subappaltatore – segnatamente perché costoro non disponevano del personale, delle risorse materiali e degli attivi necessari, le spese della prestazione non sono state contabilizzate nei loro registri e l’identità dei firmatari di taluni documenti a titolo di prestatori del servizio si è rivelata inesatta –, alla doppia condizione che tali fatti

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oggettivi forniti dalle autorità tributarie, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva in un’evasione, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare”.

3.2.16. La nozione di frode in ambito comunitario e osservazioni

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 161-166)

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