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Pianificazione fiscale, elusione, abuso, evasione e frode nel diritto tributario.

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 59-65)

DEL PRINCIPIO DI NEUTRALITÀ DELL’IMPOSTA

3.6 Pianificazione fiscale, elusione, abuso, evasione e frode nel diritto tributario.

3.6 Pianificazione fiscale, elusione, abuso, evasione e frode nel diritto tributario.

La distinzione tra elusione, evasione e frode fiscale è netta, ma non sempre facilmente riconoscibile.

In termini generali e semplicistici, si può affermare che si realizza evasione quando vi è nascondimento di ricchezza imponibile132.

Nell’ipotesi di evasione fiscale, il reddito nascosto è un reddito reale, concreto; il volume d’affari Iva celato all’Erario non rappresenta un dato di fantasia,

130 Sul tema, cfr. STEVANATO, Elusione, abuso del diritto e riqualificazioni a sorpresa degli imponibili dichiarati, in Dialoghi trib., 2009, p. 231 e ss.

131 Per un esame critico del concetto di abuso del diritto ai fini delle frodi carosello, cfr. MONDINI, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’Iva europea, Pisa, 2012, p. 293 e ss.

132 DEOTTO, L’abuso del diritto non va confuso con l’evasione né con il legittimo risparmio d’imposta, in Corriere trib. 12/2013, p. 951 e ss.

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bensì un dato effettivo, che il contribuente occulta confidando nella possibilità di non essere scoperto dagli uffici finanziari.

In altri termini, l’evasore paga un’imposta inferiore rispetto a quanto dovrebbe e tale minore versamento è commisurato a situazioni economiche che si sono concretamente verificate e che il suddetto contribuente tiene nascoste all’Amministrazione finanziaria, omettendo di riportarle nella propria dichiarazione. L’evasione, pertanto, passa attraverso la violazione di legge, con la conseguenza che l’azione del Fisco sarà direttamente orientata al recupero dell’imposta non versata, all’irrogazione delle sanzioni tributarie e finanche alla comunicazione alla competente autorità dell’eventuale illecito penale133.

Lo scenario muta radicalmente quando si parla di elusione fiscale o di abuso del diritto. Non è infrequente l’affermazione che le suddetta espressioni costituiscano un endiadi. Può forse dubitarsi che tale espressione sia del tutto corretta, ma comunque, è certo che si tratti di concetti strettamente connessi, in quanto possono essere considerati due facce della stessa medaglia.

L’elusione fiscale o abuso del diritto è fenomeno borderline che si colloca quale tertium genus in posizione intermedia tra condotte fisiologiche (osservanti della norma) e condotte patologiche (violative della norma)134.

L’abuso del diritto135 – in ambito fiscale – si basa sull’impiego di una norma giuridica allo scopo di conseguire finalità diverse da quelle sue proprie e consiste nel “piegare a fini distorsivi” schemi contrattuali e istituti giuridici, facendo in pratica assumere ad un negozio o comportamento gli effetti propri della regola aggirata.È stato ritenuto che la figura dell’abuso del diritto, o meglio del divieto dell’abuso del diritto, si realizza quando un soggetto, pur esercitando un proprio diritto espressamente riconosciuto dalla legge o da un contratto, non persegue, in realtà, un

133 BEGHIN, L’elusione fiscale e il principio del divieto dell’abuso del diritto, Cedam, 2013, p. 15 e ss.

134 È questo il distinguo riportato da Cass., 5 maggio 2006, n. 10353, in tema di detrazione Iva operata da società costituita al solo scopo di compiere un’operazione economica isolata prima di mettersi in stato di liquidazione (acquisto e vendita di un immobile dopo averlo ristrutturato per ottenere il recupero dell’imposta detratta e l’eventuale rimborso).

135 Non vi può essere dubbio che il concetto di abuso del diritto nasce dapprima in ambito civilistico (non certo in ambito tributario). La formula “abuso del diritto” nasce, nell’esperienza continentale, con la giurisprudenza e la dottrina francese della seconda metà, circa dell’800 (anche se vi è chi rinviene le prime “tracce” nel diritto romano. Per un approfondimento del tema, si veda PROSPERI, L’abuso del diritto nella fiscalità vista da un civilista, in Dir. e prat. trib., 2012, p. 717.

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fine meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, ed anzi realizza un obiettivo ad esso contrario, e quindi non gli va riconosciuta una tutela giurisdizionale. In sostanza, l’abuso del diritto va considerato un’ipotesi in cui l’attribuzione di un certo diritto, effettuata in via generale ed astratta dall’ordinamento, finisce per disattendere nel caso concreto le finalità che la giustificano, o comunque finisce con il determinare una situazione che l’ordinamento non dovrebbe tollerare136.

L’abuso si sostanzia, quindi, nel porre in essere atti o negozi giuridicamente validi ed efficaci, ma in funzione atipica, ovvero secondo criteri diversi da quelli imposti dalla natura della funzione. Con l’abuso si ha, in sostanza, un aggiramento delle regole giuridiche: il soggetto abusa della libertà di adottare un certo trattamento per i propri vantaggi, sfruttando la varietà di forme giuridiche che l’ordinamento gli mette a disposizione; vantaggi che però l’ordinamento disapprova.

Tale fenomeno, già noto e studiato dalla dottrina tedesca verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso, consiste, secondo la definizione datane, in un comportamento (non necessariamente un negozio giuridico) che presenta le seguenti caratteristiche:

a) di essere ispirato dall’unico e dominante intento di un risparmio

d’imposta;

b) di costituire un comportamento anormale rispetto a quelli solitamente adottati nelle medesime condizioni;

c) di far conseguire un (totale o parziale) risparmio d’imposta né previsto né consentito, sia pure implicitamente dal legislatore137. Siamo, dunque, di fronte ad un comportamento voluto, non simulato, non vietato dall’ordinamento e consistente nell’impiego abnorme di un istituto consentito dalla legge ai fini di risparmio d’imposta.

Infatti, il tratto caratterizzante l’abuso è costituito dal fatto che le parti vogliono “contemporaneamente” sia la causa tipica e legittima, sia quella illegittima perché contraria a norma imperativa.

Alla luce di quanto sopra riportato, è chiaro che l’abuso non implica necessariamente la natura fraudolenta o fittizia dell’operazione economica138.

136 GAMBARO, Abuso del diritto, Diritto comparato e straniero, in Enc. giur., vol. I, 1988. 137 HENSEL, Diritto tributario, traduzione italiana, Milano, 1956, p. 112 e ss.

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La frode è un comportamento volutamente finalizzato a trarre in inganno o, comunque, a rendere arduo al Fisco il cogliere la vera natura dell’operazione, presupponendo un certo artificio e grado di raggiro.

Viceversa, l’abuso si compendia nell’utilizzo “inesatto” di una norma giuridica in misura di regola “eccedente” la sua reale portata al fine di ottenere vantaggi fiscali che sarebbero leciti solo se rappresentanti l’effetto naturale della disposizione correttamente applicata alla fattispecie139.

Rispetto alla frode e/o alla collusione, l’abuso ha dunque confini più sfumati perché prescinde dalla ricorrenza dell’”animus nocendi” o della “scentia damni”.

Tanto “palese” è l’abuso quanto, in genere, “occulta” è la frode.

Non c’è dubbio che, anche in ipotesi di elusione o di abuso del diritto, il contribuente versi un’imposta inferiore a un’altra. Ma questa minore imposta, diversamente da quanto si verifica nell’evasione o nella frode, è commisurata a un fatto, un atto o un’operazione economica che il contribuente non ha mai posto in essere, ma che, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, avrebbe dovuto porre in essere. L’elusione e l’abuso rispondono, quindi, a un modello di tassazione “differenziale”. Il contribuente realizza, in concreto l’operazione che potremmo chiamare “elusiva”, ma l’Amministrazione finanziaria recupera a tassazione un’altra operazione, ossia quella elusa (vale a dire, proprio quella operazione che il contribuente avrebbe dovuto porre in essere se non avesse aggirato la disciplina fiscale per lui più gravosa).

Del resto, l’abuso, che presuppone un esercizio “anormale” o “esuberante” dai limiti del diritto, si manifesta, spesso, attraverso l’inusualità di operazioni formalmente regolari ma non altrimenti spiegabili se non per ottenere risparmi d’imposta e/o altri vantaggi fiscali carpendo la buona fede del legislatore.

Con questo non si vuole certo affermare che sia illecito realizzare pianificazioni fiscali nella prospettiva di ridurre il carico impositivo.

Il concetto di abuso non è, infatti, correlabile al semplice ottenimento di un vantaggio fiscale laddove quel risparmio non rappresenti l’effetto di uno sviamento

138 Fransoni, Abuso di diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corriere Tributario, 1/2011, p. 17.

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rispetto alle finalità proprie della norma. Non ogni risparmio d’imposta è infatti da qualificare “indebito”.

Per esempio, dovendo mettere a disposizione di un determinato soggetto alcuni beni strumentali, l’imprenditore potrebbe interrogarsi sulla convenienza a venderli piuttosto che a locarli, mentre nella prospettiva di avviare una nuova attività economica, ci si potrebbe interrogare sull’opportunità di impiantarla in uno Stato piuttosto che in un altro; se optare per la forma della società di persone o per quella della società di capitali e così via.

Trattasi, come è evidente, di situazioni nelle quali i fatti sono integralmente rappresentati all’Amministrazione finanziaria e correttamente qualificati sul piano giuridico, pur nel contesto di una sequenza operativa che permette di ridurre l’onere impositivo rispetto a operazioni capaci di garantire un analogo risultato.

In questa prospettiva, la scelta di un regime fiscale più vantaggioso e il conseguente risparmio d’imposta non sono certamente vietati dal nostro ordinamento, né osteggiati dall’ordinamento comunitario.

Sono ricorrenti le pronunce della Corte di giustizia – ma anche talune pronunce della Corte di cassazione – che elevano a principio generale del diritto dell’economia la libertà di orientare le proprie scelte anche o esclusivamente in considerazione del carico fiscale che ad esse la legge colleghi140.

Non c’è infatti “aggiramento” o “elusione” o “abuso” fino a che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e fisiologico l’ordinamento gli mette a disposizione141.

Tuttavia, la pianificazione fiscale è sottoposta a un limite, oltre il quale essa si trasforma in pianificazione fiscale “illecita” e, pertanto, contrastata dal sistema in quanto integrante un abuso del diritto giustappunto142.

Di fronte a soluzioni particolarmente aggressive sul versante fiscale, l’ordinamento può in effetti impedire il consolidamento di taluni vantaggi (sotto

140 Si veda, Corte di giustizia, C-196/04, Cadbury Schweppes, commentata da BEGHIN., La sentenza Cadbury Schweppes e il “malleabile” principio della libertà di stabilimento, in Rass. trib., 2007, 983 e ss..

141 LA ROSA, Elusione e antielusione fiscale nel sistema delle fonti del diritto, in Rivista di diritto tributario, 2010, fasc. 7-8, p. 791 e ss..

142 LUPI, La Commissione Biasco riconosce la distinzione tra elusione e "lecita pianificazione fiscale", in Corriere tributario, 2007 fasc. 35, p. 2816.

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forma di riduzione delle imposte da versare oppure di rimborso di imposte già versate) i quali presentino profili di contrarietà rispetto ai principi informatori del sistema fiscale stesso143.

Pertanto, affinché si possa configurare l’elusione non è sufficiente che l’operazione concretamente effettuata abbia condotto il contribuente al medesimo risultato che questi avrebbe raggiunto se avesse compiuto una diversa operazione prevista dall’ordinamento. Occorre un quid pluris, vale a dire un risparmio d’imposta contrastante con lo spirito del sistema. Un vantaggio fiscale indebito144. Da qui, la necessità di svolgere di volta in volta, un’operazione di selezione tra la pianificazione fiscale che conduce a vantaggi tributari leciti (vale a dire, conformi al sistema, dei quali il contribuente può legittimamente usufruire), dalla pianificazione fiscale “illecita”, che conduce, invece, a vantaggi fiscali che il sistema disapprova (elusivi).

3.7 Conclusioni.

In questa prima parte dell’indagine, ci siamo focalizzati sulla natura dell’imposta sul valore aggiunto come imposta gravante esclusivamente sui consumi e, di conseguenza, neutrale per gli operatori economici, nonché sul ruolo della detrazione come diritto insopprimibile del soggettivo passivo posto a salvaguardia proprio del principio di neutralità dell’imposta succitato.

Il meccanismo della detrazione, tuttavia, come si avrà modo di dimostrare, risulta inefficace in ipotesi di condotte abusive o fraudolente poste in essere dai soggetti passivi. In tali ipotesi, infatti, garantire in modo incondizionato il diritto alla detrazione risulta paradossalmente lesivo proprio del principio di neutralità che con tale meccanismo si vuole salvaguardare e che rappresenta, come si è già detto, il principio cardine dell’Iva.

I limiti al diritto alla detrazione sanciti dalla Corte di giustizia in ipotesi di abuso o frode servono propri a scongiurare tale pericolo.

143 Trattasi di stratagemmi che – formalmente legali – di fatto stravolgono il c.d. “spirito del sistema”. Ad esempio, le scelte negoziali effettuate dal contribuente non dovrebbero condurre a risultati contrastanti con le regole generali in punto di detrazione dell’Iva, di neutralità delle operazioni straordinarie, di riporto delle perdite fiscali pregresse e così via.

144 MELILLO, Elusione e abuso del diritto: tra ipotesi di integrazione ed esigenze di certezza normativa, in Diritto e pratica tributaria, 2010, fasc. 3, p. 416.

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CAPITOLO III

Parte I

LIMITAZIONE DEL DIRITTO ALLA DETRAZIONE IN IPOTESI DI

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