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Il principio della neutralità fiscale e la necessità di non falsare la concorrenza all’interno del Mercato Comune Europeo.

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 44-48)

DEL PRINCIPIO DI NEUTRALITÀ DELL’IMPOSTA

3.1 Il principio della neutralità fiscale e la necessità di non falsare la concorrenza all’interno del Mercato Comune Europeo.

Il meccanismo ordinario di funzionamento dell’Iva si basa, come già esaminato nel capitolo precedente, sulla detrazione di imposta da imposta spettante ai soggetti passivi che impiegano i beni ed i servizi cui si riferisce l’imposta a monte per effettuare operazioni soggette all’imposta a valle; tale meccanismo ha la funzione di rendere l’imposta neutrale per i soggetti passivi, realizzando la traslazione della stessa sul consumatore finale.

L’assoluta rilevanza del principio della neutralità fiscale nel sistema comunitario dell’Iva trova diretto riscontro sia nel preambolo della Prima e della Sesta Direttiva e sia nell’esperienza giurisprudenziale della Corte di giustizia88.

Segnatamente, nella prospettiva di chiarire le motivazioni sulle quali si fonda il sistema comunitario dell’Iva, nel primo «considerando» della Prima Direttiva si afferma che la creazione, nel quadro di un’unione economica, di un mercato comune, che implichi una sana concorrenza costituisce «l’obiettivo essenziale del Trattato» di Roma, mentre l’ottavo «considerando» stabilisce che la sostituzione delle imposte cumulative a cascata con il sistema dell’Iva dovrà portare, pur in assenza di una significativa armonizzazione delle aliquote e delle esenzioni, «ad una neutralità concorrenziale»89.

88 COMELLI, Il principio di neutralità dell’Iva nell'ipotesi di effettuazione di operazioni esenti, in Riv. Dir. Trib., 1995, II, p. 954.

89 Cfr. PAPPALARDO, La politica di concorrenza, in PENNACCHINI – MONACO – FERRARI BRAVO – PUGLISI, Manuale di diritto comunitario, Utet, Torino, 1984, Vol. II, 341 e ss. Secondo l’Autore, nell’ordinamento economico comunitario, il quale si fonda sull’economia di mercato, il ruolo di principale motore del sistema è affidato proprio alla «concorrenza». Segnatamente,

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Più specificatamente, questo principio va inteso nel senso che «all’interno di ciascun paese, sulle merci uno stesso tipo gravi lo stesso carico fiscale», a prescindere dalla lunghezza del circuito produttivo e distributivo, e che, «negli scambi internazionali, sia noto l’ammontare del carico fiscale gravante sulle merci affinché si possa effettuare un’esatta compensazione del carico stesso»90.

Nella medesima prospettiva si colloca il quarto «considerando» della Sesta Direttiva, dove viene sottolineata la necessità di «garantire la neutralità del sistema comune di imposte sulla cifra d’affari in ordine all’origine dei beni e delle prestazioni di servizi» al fine di realizzare a termine un mercato comune caratterizzato da una «sana concorrenza», che sia simile ad «un vero mercato interno».

Alla luce di quanto sopra riportato, emerge chiaramente che tra le principali ragioni giuridiche che giustificano l’introduzione e il mantenimento a livello comunitario dell’Iva, assume un’importanza fondamentale la neutralità fiscale, quale

l’abbattimento delle barriere al libero scambio tra gli Stati membri inteso in senso ampio – comprensivo delle quattro libertà fondamentali garantite dal Trattato di Roma - «pone le premesse per l’intensificarsi della concorrenza, aumentando e migliorando sia le possibilità di successo delle imprese più efficienti che la facoltà di scelta dei consumatori». In questa prospettiva, secondo l’Autore, può fondatamente affermarsi che il Trattato di Roma costituisce, nel suo insieme, un «codice di libera concorrenza», intesa come «la competizione fra le imprese ai fini del mantenimento della parte di mercato che ciascuna di esse già detiene, o della conquista di una parte più grande».

Sul tema, con specifico riferimento all’esperienza giurisprudenziale della Corte di giustizia, cfr. Corte CEE, C-356/85, sentenza del 9 luglio 1987, Massime: «L’art. 95 del trattato, nel suo complesso, ha lo scopo di garantire la libera circolazione delle merci fra gli stati membri in condizioni normali di concorrenza, mediante l’eliminazione di qualsiasi forma di protezione che possa derivare dall’applicazione di tributi interni discriminatori nei confronti di prodotti di altri stati membri e di garantire altresì la perfetta neutralità dei tributi interni nei confronti della concorrenza fra prodotti nazionali e prodotti importati. In questa prospettiva, il 2° comma dell’articolo 95 ha più precisamente la funzione di eliminare qualsiasi forma di protezionismo fiscale indiretto nel caso di merci importate le quali, senza essere similari, ai sensi del 1° comma, a prodotti nazionali, si trovano cionondimeno, con taluni di essi, in un rapporto di concorrenza anche parziale, indiretta o potenziale.

Mentre il criterio di valutazione cui il 1° comma si riferisce consiste nel confronto fra gli oneri fiscali, sotto il profilo dell’aliquota, dell’imponibile o di altre modalità di applicazione, il 2° comma, tenuto conto delle difficoltà di effettuare dei confronti sufficientemente precisi fra le merci, si rifà ad un criterio più complessivo, cioè la natura protettiva di un sistema di tributi interni. Ne consegue che la valutazione della compatibilità di un determinato onere fiscale con l’art. 95, 2° comma, va effettuata prendendo in considerazione la sua incidenza su rapporti concorrenziali fra i prodotti di cui trattasi. La questione essenziale è quindi se l’onere sia tale da influire sul mercato, diminuendo il consumo potenziale di merci importate a vantaggio dei prodotti nazionali concorrenti».

90 Secondo TERRA B.J.M., A Common System of VAT, in International Vat Monitor, September October 1996, p. 232 e ss., la principale ragione per la quale l’Iva fu introdotta dalle direttive comunitarie consiste nella sua peculiare neutralità negli scambi internazionali.

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caratteristica del sistema dell’Iva nel suo complesso, con riferimento alla realizzazione di uno degli obiettivi principali del Trattato di Roma, ossia quello di creare un mercato interno nel quale la concorrenza sia sana, ovvero non falsata nel quadro degli scambi sia interni sia internazionali91.

Nel contesto del sistema comunitario dell’Iva, il nesso logico che collega il principio della neutralità fiscale e l’esigenza di non alterare il regime di concorrenza emerge con chiarezza anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia.

In questa ottica, occorre esaminare le relative statuizioni considerando il ruolo istituzionale assegnato alla Corte, già evidenziato nel primo capitolo, quale organo che «assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione» sia del Trattato di Roma, ai sensi dell’art. 220 (ex art. 164), sia degli atti normativi delle istituzioni comunitarie.

Nella sentenza Hong Kong Trade92, la Corte afferma che le caratteristiche del sistema comune dell’Iva devono essere individuate in considerazione dello scopo di quest’ultimo, così come individuato nel preambolo della Prima Direttiva.

Segnatamente, lo scopo di tale sistema è quello di realizzare un’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri afferenti alle imposte sulla cifra d’affari, per eliminare i fattori che possono alterare le condizioni di concorrenza, al fine «di giungere ad una neutralità concorrenziale» intesa, all’interno di ciascun paese, nel senso che sulle merci del medesimo «tipo gravi lo stesso carico fiscale», indipendentemente dalla lunghezza del circuito produttivo e distributivo93.

Se i beni o i servizi similari sono soggetti al medesimo onere tributario in tutti gli Stati membri, ne discende che l’imposta gravante su ciascuna cessione di beni o prestazione di servizi è trasparente in tutte le fasi della produzione e/o distribuzione e può essere separatamente evidenziata rispetto al prezzo ed esattamente calcolata in

91 LANG, I presupposti costituzionali dell’armonizzazione del diritto tributario in Europa, p.798 e ss., in AMATUCCI (a cura di), Trattato di diritto tributario, Padova, 2001.

Secondo l’Autore, «le distorsioni fiscali sulla concorrenza che vanno eliminate tramite gli obblighi di armonizzazione prevista dal Trattato CEE, si basano su un diseguale gravame fiscale. La neutralità di concorrenza significa innanzitutto equità di gravame dei concorrenti europei».

92 Corte di giustizia C-98/81, sentenza 1 aprile 1982.

93 In senso conforme cfr. la sentenza 12 giugno 1979, nella causa 126/78, Nederlandse Spoorwegen, la quale illustra lo scopo perseguito dalle prime due direttive in materia di imposte sulla cifra d’affari, che consiste nel giungere ad un sistema comune, in cui sia garantita la neutralità concorrenziale tra gli Stati membri.

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ciascuna transazione, consentendo di realizzare un elevato grado di neutralità sul piano concorrenziale94.

Con specifico riferimento allo scopo della disciplina di cui alla Sesta Direttiva, la Corte osserva nella sentenza Kerrut95 che essa persegue la neutralità dell’imposta sul piano della concorrenza e, in tale prospettiva, l’Iva colpisce singolarmente «le varie operazioni che non possono essere riunite in un’unica operazione», mentre, sotto un diverso profilo, la Corte ha esaminato nel caso

Commissione c. Repubblica Ellenica96 un ricorso proposto dalla prima in quanto la seconda ha «esentato dall’iva le crociere circolari per il trattato situato nelle acque territoriali», in contrasto con gli artt. 2 e 9, par. 2, lett. b), della Sesta Direttiva. Nell’argomentare l’accoglimento della censura proposta dalla Commissione, la Corte chiarisce che una distorsione della concorrenza può derivare dal mantenimento in vigore, in via transitoria, di criteri impositivi diversi a seconda degli Stati membri e ciò comporta che questi ultimi non sono autorizzati a non applicare integralmente le disposizioni contenute nella Direttiva, evitando in tal modo che si realizzino delle distorsioni rispetto agli altri Stati membri che hanno effettuato una corretta trasposizione nell’ordinamento interno.

Sempre alla luce del principio di neutralità fiscale, la Corte ha avuto modo di affermare nella sentenza Lange97, che non è consentita, in materia di riscossione dell’Iva, una distinzione generale tra le operazioni lecite e quelle illecite, ad eccezione dei casi in cui, per «le particolari caratteristiche di alcune merci», sia esclusa la «concorrenza tra un settore economico lecito ed uno illecito».

A tal proposito, occorre rilevare che il quinto «considerando» contenuto nel preambolo della Prima Direttiva prevede che, al fine di raggiungere la maggiore semplicità e neutralità, l’Iva dovrebbe essere «riscossa nel modo più generale possibile» e comprendere nella propria sfera di applicazione «tutte le fasi della

94 Nella stessa prospettiva si colloca la successiva sentenza Bergandi, C-252/86, sentenza 3 marzo 1988, secondo la quale dal preambolo della Prima Direttiva si evince che l’armonizzazione delle legislazioni nazionali afferenti alle imposte sull’entrata deve consentire l’instaurazione di un mercato nel quale la concorrenza non sia alterata ed avente caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno, «eliminando le differenze di oneri fiscali che possono alterare la concorrenza ed ostacolare gli scambi».

95 Corte di giustizia, C-73/85, sentenza 8 luglio 1986. 96 Corte di giustizia, C-331/94, sentenza 23 maggio 1996. 97 Corte di giustizia, C-11/92, sentenza 2 agosto 1993.

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produzione e della distribuzione» ed il settore delle prestazioni di servizi. In quest’ottica, il principio della neutralità fiscale è strettamente connesso all’individuazione del più ampio campo di applicazione dell’imposta, il quale deve riferirsi a tutte le transazioni che precedono l’immissione al consumo del bene o del servizio, ivi compresa la fase del commercio al dettaglio.

Infine, sempre con riferimento alle diverse accezioni del concetto di neutralità nell’ambito dell’Iva, occorre accennare al caso Wellcome Trust98, in cui la Corte è

stata investita di una questione a titolo pregiudiziale, afferente all’interpretazione dell’art. 4, par. 2, della Sesta Direttiva, in relazione ad un’attività che consiste nell’acquisto e nella vendita di titoli da parte di un trustee nell’ambito della gestione di beni di un trust che persegue scopi di pubblica utilità. In tale occasione, la Corte afferma che il principio di neutralità implica che tutte le attività economiche di cui all’art. 4, par. 1 e 2 della Sesta Direttiva debbano essere trattate allo stesso modo, ipotizzando quindi un principio di par condicio in ordine al trattamento delle attività stesse, a condizione che queste ultime conferiscano la soggettività passiva nel senso indicato dalla norma citata. Ne consegue che, se le attività economiche di cui all’art. 4, par. 1 e 2, della Sesta Direttiva non fossero trattate nello stesso modo in tutti gli Stati membri, si realizzerebbe una ingiustificata e irrazionale disparità di trattamento in capo ai soggetti che svolgono tali attività, compromettendo la neutralità del sistema nel suo complesso.

3.2 Il peculiare significato che il principio di neutralità assume in

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 44-48)

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