LE FRODI IVA.
3.2.2. Inquadramento europeo del fenomeno.
A motivo della diversità dei sistemi fiscali vigenti nei singoli Stati membri, la nozione di “frode” non è interpretata in modo uniforme nel territorio comunitario.
Sotto il profilo della tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, la “frode” è generalmente rinvenibile in tutti quegli atti o comportamenti che, dal lato delle entrate, sottraggono risorse proprie all’Unione, mentre nella definizione di “lotta alla frode” possiamo ricomprendere l’insieme di quei comportamenti diretti sia alla prevenzione che al contrasto dei fenomeni illeciti e illegali con cui viene perpetrata la frode stessa. La definizione della base giuridica su cui fondare l’azione di contrasto a livello comunitario non può che partire dalla identificazione dell’interesse principale da tutelare, che in questo caso è proprio della Comunità in quanto attiene alla sua sfera patrimoniale.
In questo quadro giuridico nasce, appunto, la Convenzione sugli interessi finanziari dell’Unione Europea213, con lo scopo di stabilire una definizione unica della frode, con riferimento sia alle spese che alle entrate comunitarie e di prevedere norme penali minime214.
Pertanto la frode in materia di entrate è definita come “qualsiasi
azione od omissione intenzionale relativa all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione
213 Tale Convenzione, firmata il 26 luglio 1995 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 27 novembre 1995, è comunemente denominata Convenzione PIF ed è corredata di Protocolli relativi alla corruzione, alla Corte di Giustizia e al riciclaggio. Nell’azione comunitaria di lotta alle frodi, si ricordano fra gli altri, il Regolamento n. 2185/96 sugli strumenti investigativi utilizzati per l’accertamento di irregolarità e frodi, la creazione nel 1999 dell’OLAF, ossia un ufficio per le indagini sulle frodi e irregolarità contro il bilancio europeo, l’istituzione nel 2002 dell’Eurojust, dedicato alla cooperazione giudiziaria fra gli Stati e non da meno gli artt. 325 ed 86 del Trattato di Lisbona con cui si pone la lotta alle frodi fra le priorità delle politiche dell’Unione europea.
214 Considerando, infatti, che nella maggioranza dei casi di frode comunitaria la dimensione del fenomeno non è circoscritta ad un singolo Stato ma assume rilevanza transfrontaliera, ne consegue la necessità di far convergere le legislazioni dei vari Paesi membri verso un’efficace tutela degli interessi finanziari della Comunità.
114
illegittima di risorse del bilancio generale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse; alla mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto; alla distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto, cui consegua lo stesso effetto”215.
Tuttavia, secondo la relazione esplicativa, approvata dal Consiglio216, l’Iva è stata esclusa dal campo di applicazione della convenzione non essendo una risorsa propria riscossa direttamente per conto della Comunità con la conseguenza che, a differenza di altri settori comunitari, non si prevede per il settore Iva un livello di tutela identico in tutti gli Stati membri, sebbene essa contribuisca per quasi la metà al finanziamento del bilancio comunitario.
L’esclusione dell’Iva dall’ambito della convenzione comporta il mantenimento di diverse definizioni di frode: uno stesso comportamento può pertanto essere punito in modo sostanzialmente differente, a seconda dello Stato membro217.
La frode Iva giuridicamente si sostanzia nella violazione dell’articolo 1, par. 2, della Direttiva 2006/112/CE che definisce il sistema di applicazione dell’Iva e ne stabilisce l’applicazione fino allo stadio ultimo della vendita al dettaglio. L’articolato schema applicativo del tributo (descritto nel capitolo secondo del presente lavoro) si snoda attraverso un preciso iter impositivo, che se evidenzia le peculiarità tipiche
215 L’Italia ha dato attuazione alla Convenzione con Legge n. 300/2000 che da una parte ha direttamente introdotto nell’ordinamento nuove figure di reato e nuovi strumenti processuali e dall’altra ha delegato il Governo, che ha provveduto con D.P.R. 231/2001, sull’attuazione di norme in materia di responsabilità degli enti.
216 Pubblicata in GUCE, serie C 191 del 23.06.1997.
217 Le fattispecie che configurano giuridicamente la frode nell’ordinamento nazionale sono rinvenibili nel D.Lgs. 74/2000, specificamente negli articoli 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) 3 e 4 (dichiarazione fraudolenta e infedele) 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) 10-ter (omesso versamento dell’iva). Rilevano, inoltre, le norme del codice penale contenute negli articoli 640 sul reato di truffa, 640-bis sulla truffa aggravata in caso sia finalizzata all’ottenimento di erogazioni pubbliche sia nazionali che comunitarie, e 15 contenente il principio di specialità, ove viene previsto che la disposizione di legge speciale prevale su quella generale disciplinante la stessa materia, richiamato peraltro nell’art. 19 del D.Lgs. 74/2000. Dopo un contrasto giurisprudenziale fra il principio di concorso dei reati agli artt. 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000 con il reato di truffa aggravata ed il principio di specialità fra gli stessi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 1235 del 28 ottobre 2010, hanno risolto la questione riconoscendo la specialità delle norme tributarie rispetto al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato.
115
dell’imposta sul valore aggiunto e i vantaggi economico-tributaristici da esso derivanti, nel contempo mette in luce le falle del sistema che consentono di sfruttare le medesime a fini evasivi.
È pacifica la considerazione che il sistema d’imposizione plurifase con riscossione frazionata funziona solo se viene correttamente applicato ad ogni stadio del ciclo produttivo fino al momento in cui l’ultima operazione a valle non consente la detassazione impositiva attuata dal cessionario mediante deduzione.
Come abbiamo già avuto modo di vedere, infatti, alla neutralità218 dell’Iva nei confronti dei soggetti passivi di imposta corrisponde la sua incidenza effettiva sul solo consumatore finale, ossia su colui sul quale, non acquistando nell’esercizio di impresa, arte o professione, la rivalsa del cedente finisce con l’addossare in via definitiva l’onere economico del tributo.
La frode si inserisce in tale meccanismo bloccando la traslazione in avanti dell’imposta, tramite sia il mancato versamento dell’imposta dovuta sulle cessioni sia la vendita di beni in nero a prezzi inferiori al valore di mercato.
Nelle operazioni meramente interne, il soggetto passivo, da una parte, avendo dovuto corrispondere al proprio dante causa l’importo dell’Iva afferente all’acquisto effettuato, si viene a trovare nei confronti dell’Erario in una posizione di credito Iva; dall’altra, allorché cedendo il bene al consumatore ha ricevuto da quest’ultimo l’Iva liquidata sul corrispettivo contrattuale, viene ad assumere in relazione a tale operazione una posizione debitoria. Grazie alla previsione dell’istituto compensativo, il tributo eventualmente dovuto dal soggetto passivo d’imposta è costituito dalla sola differenza tra l’ammontare dell’Iva sugli acquisti – cd. Iva a
monte – e l’ammontare dell’Iva sulle vendite – c.d. Iva a valle -: se il saldo è
positivo darà luogo ad un debito d’imposta, se negativo ad un credito nei confronti dell’Erario.
Se l’operazione commerciale viene, tuttavia, posta in essere tra soggetti economici appartenenti a diversi Stati membri, l’uniforme meccanismo di applicazione del tributo disciplinato dalle singole legislazioni nazionali subisce delle
218 Risultato questo ottenuto per effetto del combinato disposto della norma che contempla l’obbligo di rivalsa nei confronti del cessionario (art. 18 D.P.R. n. 633/1972) e di quella norma (art. 19, comma 1, D.P.R. n. 633/1972) che stabilisce la determinazione dell’imposta da versare previa detrazione dell’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa.
116
modifiche dovute all’applicazione di principi e regole di derivazione comunitaria, la cui ratio sottostante si rinviene nell’agevolazione delle transazioni economiche all’interno del mercato unico e nella eliminazione degli effetti distorsivi tra operazioni nazionali e operazioni intracomunitarie.
La creazione di un mercato unico europeo, in cui l’assoluta parità di trattamento esige che le transazioni “intracomunitarie” non debbano risultare più onerose sotto il profilo fiscale delle corrispondenti operazioni nazionali, ha imposto, come abbiamo già anticipato in precedenza, l’introduzione sul piano comunitario di un regime fondato, da un lato, sul principio della non imponibilità delle operazioni
di cessione tra Paesi membri, dall’altro, sulla previsione del c.d. principio di
destinazione, per effetto del quale è lo stesso soggetto acquirente passivo dello Stato
membro a dover versare successivamente il relativo tributo all’Erario.219
In altri termini, immaginando un ipotetico ciclo commerciale in cui la prima operazione della catena avvenga tra un fornitore e un acquirente (entrambi soggetti passivi) appartenenti a diversi Stati membri dell’Unione Europea, si evince come in base al regime comunitario sulla cifra d’affari il secondo soggetto, nell’acquistare dall’estero non ha obblighi di versamento dell’Iva mentre, nel rivendere quel medesimo bene sul mercato nazionale al consumatore finale, realizza una cessione di beni che, per effetto del principio dell’imposizione nel Paese di destinazione, risulta imponibile e in relazione alla quale riceverà, pertanto, dall’anello finale della catena la precentuale di Iva corrispondente all’importo contrattuale liquidato.
La combinazione del regime fiscale interno con i principi comunitari rende, quindi, fisiologico l’instaurarsi in capo a tali soggetti passivi di una posizione di
ingenti debiti Iva, dovendo essere versata al Fisco l’imposta sul valore aggiunto
incassata sulle vendite, e di esigui crediti Iva, risultando come visto non imponibili
219 Si ricorda che la direttiva 2008/8/CE del 12 febbraio 2008 (c.d. direttiva servizi) ha mutato il regime Iva delle prestazione dei servizi internazionali, adottando il criterio generale dell’applicazione dell’imposta nel luogo del committente, se soggetto passivo Iva, in luogo dell’opposto criterio generale del luogo del prestatore. È stato pertanto previsto per le prestazioni di servizi un meccanismo di inversione contabile (c.d. reverse charge) in base al quale “il prestatore effettua in detto Stato un’operazione non soggetta ad Iva (con diritto di detrazione ed obbligo di fatturazione) e il committente soggetto passivo stabilito nello Stato è debitore d’imposta” (v. art. 196 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, come sostituito dalla Direttiva 2008/8/CE).
117
gli acquisti effettuati a monte con soggetti comunitari, con conseguente inoperatività o comunque scarsa applicazione dell’istituto compensativo.
Giunti a questo punto, risulta intuitiva la ragione per la quale il meccanismo di applicazione dell’Iva sopra descritto risulti particolarmente “vulnerabile”, laddove consente l’accumularsi in capo al soggetto acquirente di ingenti debiti Iva a fronte di una situazione creditoria praticamente inesistente.
La fragilità del sistema si rinviene, infatti, proprio nel pericolo che la posizione di un tale soggetto venga artatamente sfruttata al fine di rendere il medesimo inadempiente nei confronti dello Stato dei propri debiti Iva: se il soggetto “importatore” viene già ab origine destinato ad essere sistematicamente “svuotato” di risorse economiche e, quindi, votato al fallimento, l’Erario si trova nell’assoluta impossibilità di recuperare il tributo incassato al momento della cessione dei beni sul mercato nazionale.
Ed è proprio questa patologia della catena distributiva ad essere manipolata dalle organizzazioni criminali220 che, interponendo apposite società fantasma (la cui attività si esaurisce nell’arco temporale di un anno) rette da prestanomi (in genere soggetti pregiudicati o nullatenenti) e, facendo rivestire ai medesimi proprio il ruolo di acquirenti intracomunitari, lucrano sull’evasione dell’Iva non versata al Fisco sia sotto forma di risparmio di prezzo con il quale il bene viene immesso nella catena distributiva221, sia sotto forma di distrazione/spartizione del denaro incassato dal soggetto importatore e non versato al Fisco.