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Il diritto alla detrazione e l’Iva erroneamente addebitata in fattura.

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 39-44)

IL DIRITTO ALLA DETRAZIONE

2.5 Il diritto alla detrazione e l’Iva erroneamente addebitata in fattura.

Nell’ipotesi di applicazione dell’Iva in assenza del presupposto (oggettivo o soggettivo) occorre esaminare il problema della detraibilità dell’Iva assolta; in tale circostanza occorre distinguere la fattispecie dell’esercizio fraudolento o illegittimo del diritto (laddove si configura la preclusione del diritto alla detrazione, come accade nelle ipotesi di abuso del diritto o frodi, ovvero di mancanza di inerenza o di espresso divieto di detrazione), dalla ipotesi di fatturazione meramente erronea.

La questione della detraibilità dell’Iva erroneamente fatturata è da anni al centro di dibattiti giurisprudenziali e dottrinali e le soluzioni alle quali si è giunti non sono sempre omogenee, poiché il legislatore comunitario non ha dettato una disciplina procedimentale per risolvere tale problema79.

Nelle ipotesi in cui l’imposta” addebitata” a monte non è in realtà “dovuta”, in quanto riferita ad un’operazione che non deve essere in tutto o in parte tassata, come tale estranea (in tutto o in parte) al meccanismo del tributo, dovrebbe portare, come sua diretta conseguenza, all’indetraibilità a valle dell’imposta stessa.

Il caso C-342/87, Genius Holding80, rappresenta un leading case sul tema in rassegna. Più nello specifico, la controversia riguardava la detrazione su alcune

78 La Corte di Giustizia, sentenza 5 dicembre 1996, causa C-85/95, Reisdorf, punto 19, ha chiarito che sono da distinguere le disposizioni relative all’esercizio del diritto di detrazione, ovvero l’essere in possesso dell’originale della fattura di acquisto o di un altro documento considerato equipollente dagli Stati membri, da quelle relative alla prova di tale diritto in sede di controllo; CESATI, SANTI, Ammissibile la detrazione IVA senza fattura (ma con versamento), in L’IVA, 2012, n. 2.

79 In dottrina si segnala, ex multis, : LUPI, Diritto tributario, Parte speciale, Milano, 1994, p. 374; FRANSONI, L’esercizio del c.d. diritto alla detrazione dell’Iva in carenza del presupposto, in Riv. dir. fin., 1994, II, p. 27 ess.

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fatture emesse da alcuni subappaltatori della società con applicazione dell’Iva, in spregio alla norma all’epoca vigente in Olanda che prescriveva il reverse charge nell’edilizia, come attualmente regolato nel territorio nazionale dall’art. 17, comma 5, D.P.R. n. 633/1972.

La questione si fonda sull’interpretazione del principio attualmente calato nell’art. 203 Direttiva n. 2006/112/CE, già previsto dall’art. 21, par. 1, lett. c), Sesta Direttiva, secondo cui: “L’Iva è dovuta da chiunque indichi tale imposta in fattura”, e nell’art. 178, lett. a), Direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui “Per poter esercitare il

diritto di detrazione, il soggetto passivo deve soddisfare le condizioni seguenti: a) per la detrazione di cui all’art. 168, lettera a), relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, essere in possesso di una fattura redatta conformemente al titolo XI, Capo 3, sezioni da 3 a 6”.

Dalla correlazione fra le due disposizioni, la domanda è se l’imposta indicata in fattura, in quanto dovuta dall’emittente, sia in ogni caso detraibile per il destinatario, formalmente in possesso della fattura, anche nel caso in cui l’operazione sottostante non sussista e, quindi, l’imposta non sia, in realtà, dovuta.

Nelle conclusioni l’Avvocato generale, dopo aver ricordato lo stretto legame che intercorre tra fattura e detrazione, ha affermato che “in via di principio ogni

fattura deve indicare l’importo corrispondente esattamente all’aliquota vigente per la merce o per la prestazione di cui trattasi. Tuttavia, qualora questa norma non sia osservata e un importo dovuto per legge o errato figuri nella fattura, chi ha emesso diviene nondimeno debitore, e questo importo può essere successivamente detratto dal soggetto passivo al quale la merce è stata fornita o il servizio è stato prestato”.

A sostegno della tesi della detraibilità dell’Iva erroneamente indicata in fattura l’Avvocato generale, in ciò uniformandosi al parere della Commissione, ha rilevato che negare la detraibilità in tale eventualità significherebbe assumere una posizione contraria agli scopi nella Sesta Direttiva.

“Lo scopo del sistema Iva e, infatti, di far sì che l’imposta sia neutra, allo

scopo, in particolare, di non falsare le condizioni di concorrenza. L’essenziale è, quindi, evitare una doppia imposizione su uno stesso “valore aggiunto”. Ne

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consegue che il diritto di detrazione deve sussistere ogni volta che l’imposta deve essere versata, il che avviene se essa figura, anche indebitamente, in una fattura”81.

La Corte di Giustizia, come noto, ha disatteso le conclusioni dell’Avvocato generale e ha affermato che “l’esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto

alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’Iva o versate in quanto dovute. (…) Ne consegue che questo diritto viene meno nel caso di ogni imposta che non corrisponda ad un’operazione determinata, perché è più elevata di quella dovuta per legge o perché l’operazione di cui trattasi non è soggetta all’Iva” (punti 12-15).

Dal che si giunge alla conclusione secondo cui “l’esercizio del diritto di

detrazione contemplato dalla sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, non si estende all’imposta dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura”.

La soluzione fornita dalla Corte nel caso in esame è diametralmente opposta a quella suggerita dall’Avvocato generale.

La ragione della differenza tra le due prospettazioni va attribuita alla mancata valutazione, da parte della Corte, del profilo riguardante il comportamento delle parti e gli effetti che si producono a carico (o a favore) dell’Erario, in riferimento specifico all’inquadramento della fattispecie in una frode fiscale, oppure, in uno scenario derivante da un errore interpretativo.

Come abbiamo avuto modo di vedere, sia la tesi della detraibilità dell’imposta erroneamente indicata in fattura, sia la tesi della indetraibilità di tale imposta, hanno argomentazioni a loro favore.

Se, però, si considera che la sesta direttiva non contiene alcuna disposizione che limiti il diritto alla detrazione per le imposte dovute soltanto perché indicate in fattura e che la Corte di Giustizia ha costantemente evidenziato come la detrazione, assicurando assieme alla rivalsa la “neutralità” del tributo, debba essere nel sistema delle direttive considerata elemento fondamentale per il corretto funzionamento dell’imposta, la decisione de qua non può che suscitare perplessità anche alla luce del fatto che la stessa Corte, con altrettanto costante giurisprudenza, ha evidenziato

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come la detrazione dell’imposta a monte non possa essere soggetta a limitazioni diverse da quelle previste dalla stessa direttiva82.

La soluzione più coerente, basata sia su argomentazioni di ordine testuale83 sia su argomentazioni di ordine sistematico84, sembrerebbe quella di ritenere detraibile l’imposta erroneamente indicata in fattura, ciò anche per coerenza con il meccanismo generale della detrazione85.

D’altra parte si deve evidenziare che l’imposta erroneamente indicata in fattura è strettamente collegata alla natura che si attribuisce a tale imposta. Se si interpreta l’art. 21, punto 1, lett. c), della direttiva come una norma che prevede quale autonomo presupposto per l’applicazione dell’Iva l’indicazione in fattura di importi a tale titolo, negare l’esercizio del diritto alla detrazione appare ingiustificato; se, viceversa, si ritiene che tale norma sia stata inserita nel sistema dell’imposta a titolo quasi sanzionatorio dei comportamenti contrari alla direttiva, negare l’esercizio del diritto alla detrazione appare giustificato86.

In ogni caso, una lettura delle disposizioni in esame che concili, sia le esigenze derivanti dal principio di cartolarità sia quelle nascenti dal principio di neutralità, è ancora possibile.

Se da un lato, le somme erroneamente indicate in fattura a titolo di Iva non possono essere considerate un’imposta sul valore aggiunto in quanto è carente il presupposto per l’applicazione del tributo87; dall’altro lato, tali somme debbono essere però recuperate perché sia mantenuto il principio di neutralità impositiva.

Considerato che la direttiva Iva non prevede espressamente una modalità per regolarizzare l’erroneo addebito di somme a titolo d’imposta e che spetta pertanto agli Stati membri introdurre nei rispettivi ordinamenti degli strumenti che assicurano la neutralità impositiva, limitare tali strumenti unicamente a quelli che assicurano la rettificabilità della fatturazione non sembra rispondere ad alcuna esigenza di

82 Corte di Giustizia, sentenza 21 settembre 1988, causa 50/87, Commissione contro Repubblica francese; Corte di Giustizia, sentenza 11 luglio 1991, causa C-97/90, Lennartz.

83 Si è visto come l’art. 17 della direttiva preveda la detraibilità dell’imposta dovuta. 84 Si è vista la rilevanza del principio di neutralità.

85 Corte di Giustizia, sentenza 6 novembre 2003, cause riunite C-78/02, Karageorgou ed altri.

86 Cfr. FICARI, Indetraibilità dell’imposta ed operazioni oggettivamente inesistenti tra dimostrazione della fattispecie e sanzione “impropria” in capo all’intestatario, in Rass. trib., 2001, p. 222 e ss. 87 Si veda sul punto, FRANSONI, L’esercizio del c.d. diritto alla detrazione dell’Iva in carenza di presupposto, in Riv. dir. fin., 1994, II, p. 27 e ss.

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funzionamento del meccanismo applicativo dell’imposta, né ad alcuna ragione di cautela impositiva.

Tirando le fila di quanto sopra riportato si ritiene che la detrazione sia una modalità di recupero alternativa e concorrente, con la rettifica della fatturazione e con il rimborso d’imposta.

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LIMITAZIONE DEL DIRITTO A DETRAZIONE COME REAZIONE

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 39-44)

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