L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA IN MATERIA DI LOTTA ALLE FRODI.
3.2.16. La nozione di frode in ambito comunitario e osservazioni conclusive.
A questo punto dell’indagine, prima di prendere in esame la giurisprudenza della Corte di Cassazione sul tema, si potrebbe tentare un riepilogo.
La Corte di Giustizia afferma costantemente che:
il sistema delle deduzioni è inteso a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’Iva dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’Iva garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’Iva;
il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’Iva di cui sono debitori l’Iva dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’Iva;
è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l’Iva pagata a monte, stabilire se l’Iva dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario;
dalla formulazione dell’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112 emerge che, per beneficiare del diritto a detrazione, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e siano forniti a monte da un altro soggetto passivo. Qualora tali requisiti siano soddisfatti, il beneficio della detrazione non può, in linea di principio, essere negato;
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le nozioni di “cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo che agisce in quanto tale” e di “attività economiche” dimostra che tali nozioni, che definiscono le operazioni imponibili ai sensi della sesta direttiva, hanno un carattere obiettivo e si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi;
l’obbligo, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di effettuare indagini per accertare la volontà del soggetto passivo sarebbe contrario agli scopi del sistema comune dell’Iva di garantire la certezza del diritto e di agevolare le operazioni inerenti all’applicazione dell'imposta dando rilevanza, salvo in casi eccezionali, alla natura oggettiva dell’operazione di cui trattasi;
in tale contesto, risulta che il principio della neutralità fiscale non consente una distinzione generale fra le operazioni lecite e le operazioni illecite. Ne deriva che la qualificazione di un comportamento come riprovevole non comporta, di per sé, una deroga all’imposizione, ma di una tale deroga si tiene conto solo in situazioni specifiche nelle quali, a causa delle caratteristiche particolari di talune merci o di talune prestazioni, è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito e un settore illecito.
A questo punto si dovrebbe concludere (ma sappiamo che la Corte la pensa diversamente), che quando l’acquisto viene effettuato nell’esercizio di un’attività economica, dovendosi intendere come tale, ai sensi dell’art. 9, par. 1, della direttiva “ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi,
comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate”, e quando quell’acquisto sia inerente, effettuato quindi “per l’impresa” e
non “attraverso l’impresa” per “il soddisfacimento di interessi o esigenze personali oppure familiari”, la detrazione non potrebbe essere negata, diversamente da quanto invece dovrebbe accadere in assenza del fatto costitutivo del diritto, e cioè nel caso in cui gli acquisti non siano mai avvenuti, siano avvenuti per ammontare inferiore rispetto a quello risultante dalla fattura o, per l’appunto, essendo avvenuti, non siano inerenti rispetto all’attività economica esercitata.
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Di qui la conclusione: dato che le merci acquistate attraverso operazioni soggettivamente inesistenti sono comunque immesse sul mercato, così scontando l’imposta, non vi sarebbe motivo, se non quello di fare assumere al disconoscimento della detrazione discutibili connotati parasanzionatori (l’Iva sulle vendite rimane dovuta, quella sugli acquisti no), di derogare al principio negando il diritto alla detrazione nei confronti di chi abbia acquistato i beni da soggetto interposto fittiziamente.
E se tali effetti ricadono su chi sia conscio che il fatturante è soggetto diverso rispetto al reale fornitore (in presenza cioè di operazioni soggettivamente inesistenti), a maggior ragione ad una siffatta conclusione dovrebbe addivenirsi nei confronti di chi abbia acquistato o da cartiera in assenza della descritta consapevolezza o, senza aver alcun contatto diretto o indiretto con chi non abbia versato l’Iva all’erario, da operatore effettivo che, ponendosi a valle del missing trader, svolga, magari senza rendersene conto, la funzione di filtro o buffer.
Come già anticipato, l’orientamento della Corte di Giustizia è un altro.
Abbiamo visto, infatti, che quest’ultima a partire dalla sentenza Optigen del 2006, ha faticosamente tentato di bilanciare da un lato, l’esigenza di combattere ogni forma di frode e abuso dell’Iva, e dall’altro lato, di salvaguardare il diritto alla detrazione di quei soggetti passivi che senza colpa si sono trovati loro malgrado invischiati in un meccanismo fraudolento.
Per fare ciò, la Corte, alla luce del principio secondo il quale i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, ha affermato che le autorità e i giudici nazionali possono negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente.
Ma cosa si deve intendere per “frode” in ambito comunitario?
In assenza di una disposizione normativa da cui poter ricavare la definizione di “frode Iva”, occorre fare riferimento, ancora una volta, alla giurisprudenza comunitaria. Abbiamo avuto modo di specificare nel paragrafo precedente che la
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nozione di “frode” utilizzata dalla Corte di Giustizia è autonoma e indipendente rispetto a quella di “operazioni inesistenti” utilizzata in ambito nazionale301.
Abbiamo anche visto che le frodi sfruttano il principio di neutralità, alla cui realizzazione sono funzionali l’obbligatorietà della rivalsa e il diritto alla detrazione dell’Iva: il vantaggio fraudolento si connette alla rottura del nesso tra imposta a debito, che non viene versata, ed imposta a credito, che invece viene detratta, generando dunque “l’indebito impoverimento” dell’Erario.
Il sistema, consistente nella interposizione di un’inutile impresa nella filiera commerciale, ha il fine di rendere gravata la cartiera dal debito Iva, nonché quello di esporre la stessa, che rimane unico obbligato nei confronti dello Stato in un contesto in cui la “regola generale” è quella secondo la quale “la detrazione per il cliente non dipende dal versamento dell’imposta a cura del fornitore”, alle responsabilità che l’amministrazione le addebiterà a fronte del mancato versamento dell’imposta.
Dato per scontato che le operazioni realizzate dagli organizzatori della frode (e, quindi, in definitiva e in prima battuta, dal broker o regista della trama fraudolenta) non soddisfano nemmeno i criteri oggettivi su cui si fondano le nozioni di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo che agisce in quanto tale nell’esercizio di un’attività economica, con conseguente impossibilità di invocare legittimamente il diritto alla detrazione (cfr. Bonik, punto 39, citatata), la Corte si concentra sulla posizione di coloro che, pur non avendo contribuito all’implementazione della frode e pertanto ponendosi ai margini della stessa, hanno iscritto il loro acquisto nella filiera che si contraddistingue per il mancato versamento dell’Iva da parte del missing trader. Anche a tali soggetti, a detta della Corte, va negato il diritto alla detrazione: infatti, per i giudici comunitari solo il contribuente che abbia agito in buona fede, non sapendo e nemmeno potendo sapere che si stava muovendo in un contesto fraudolento, manterrà il diritto alla
301 A tal proposito, si ricorda che la presenza di “operazioni soggettivamente inesistenti” può anche essere indice di una condotta “elusiva” e non necessariamente “fraudolenta”( cfr. Sez. II del presente capitolo).
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detrazione e, agendo da cedente, il diritto all’esenzione della cessione intracomunitaria effettuata o che abbia ritenuto di effettuare302.
La strada prescelta, dunque, è quella di responsabilizzazione dei soggetti passivi, i quali dovranno, come si è visto, sottoporre ad attento monitoraggio, per quanto si possa da loro ragionevolmente attendere, i propri acquisti e anche le proprie vendite.
A tal proposito, abbiamo già avuto modo di stigmatizzare la vaghezza delle nozioni su cui le suddette conclusioni dei giudici comunitari si reggono: dal sistema tratteggiato dalla Corte non riescono a desumersi infatti i contenuti dell’attività di controllo che viene richiesta ai contribuenti al fine di verificare la serietà della propria controparte contrattuale.
Si è già rilevato anche che la predetta soluzione, proposta dalla Corte al fine di combattere le frodi Iva, è, a ben vedere, fortemente lesiva del principio di neutralità dell’imposta, di certezza del diritto nonché dello stesso principio di proporzionalità di matrice comunitaria.
Forse proprio nell’ottica di una maggiore garanzia di certezza e di tutela degli operatori onesti si iscrivono gli ultimi arresti della Corte di Giustizia sul tema delle frodi.
Abbiamo visto, segnatamente, che nella sentenza Mahegében e Dávid, quest’ultima addiviene ad un temperamento dei risultati raggiunti con le sentenze del 2006, addossando l’onere della prova all’Amministrazione finanziaria e, in questo contesto, delineando, con approccio empirico e fattuale, i contenuti di quegli “elementi oggettivi” su cui la dimostrazione del coinvolgimento del soggetto passivo nella frode deve fondarsi. Costituisce senz’altro, in questa prospettiva, importante
302 A detta della Corte, infatti, la semplice consapevolezza della frode, anche in assenza di vantaggio diretto, rende il soggetto passivo partecipe alla frode. La “sanzione” per questa buona fede temeraria è la negazione del diritto alla detrazione, alla stessa stregua del missing trader.
Tale equiparazione, come già rilevato, appare manifestamente sproporzionata e iniqua.
Recentemente è stata proposta dalla Corte di Giustizia, all’interno di un obiter dictum, una definizione diversa di “frode”, che assomiglia molto a quella di “abuso del diritto”. Segnatamente, nella recente sentenza 12 luglio 2012, C-248 /11, EMS- Bulgaria Transport OOD, punto 70, la Corte afferma che la frode presuppone “da un lato, che l’operazione controversa, nonostante il rispetto delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva Iva e della legislazione nazionale che la recepisce, abbia il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è il conseguimento di un beneficio fiscale”.
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opera di riequilibrio quella che si concretizza nella specificazione che tali non sono tutti quegli elementi che riguardano esclusivamente la posizione del fornitore, ivi compresa la sua qualità di soggetto passivo.
Permane a questo punto la domanda se sia coerente - in un sistema impositivo che privilegia i profili oggettivi, prescindendo, salvo gli aspetti sanzionatori303, da quelli soggettivi – negare il diritto alla detrazione Iva per asserita “consapevolezza” di comportamenti fraudolenti altrui, soprattutto nei confronti di quei soggetti che rimangono ai margini della frode - senza peraltro trarne alcun vantaggio (nemmeno economico)-, o se non vi siano regole più adatte al fine e dunque più conformi al principio di proporzionalità.
303 Si rileva che nelle ultime sentenze la Corte di giustizia accenna sempre di più al disconoscimento del diritto alla detrazione come ad una sanzione: cfr. Mahageben, cit., punto 47; Bonik, cit., punto 41;, EMS- Bulgaria Transport OOD, cit., punto 70.
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SEZIONE III
LA GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA CORTE DI