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Frode altrui ed esercizio del diritto alla detrazione da parte del cessionario inconsapevole: il caso Optigen, Fulcrum e Bond House Il diritto alla

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 133-140)

L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA IN MATERIA DI LOTTA ALLE FRODI.

3.2.10. Frode altrui ed esercizio del diritto alla detrazione da parte del cessionario inconsapevole: il caso Optigen, Fulcrum e Bond House Il diritto alla

detrazione finisce per dipendere da opinabilissime valutazioni di merito, con grave nocumento ai principi di neutralità e certezza dei rapporti giuridici.

Alla Corte di giustizia è stato a più riprese richiesto di chiarire se l’intenzione fraudolenta o abusiva di un operatore possa inficiare l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento Iva ad una sua controparte negoziale.

Una delle prime pronunce in materia è quella emessa dalla Corte nelle cause riunite C-354/03, C-355/03, C-484/03 (Optigen Ltd, da ora in poi, Optigen; Fulcrum

Electronics Ltd, di qui in avanti, Fulcrum; e Bond House Systems Ltd, di seguito, Bond House), su cui occorre soffermarsi con estrema attenzione.

Dalle decisioni di rinvio, risultava che le operazioni in causa si inscrivevano in una serie di cessioni nelle quali era intervenuto, all’insaputa delle società ricorrenti

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nel procedimento principale, un operatore inadempiente, cioè un operatore debitore dell’Iva che era tuttavia scomparso senza versarla alle autorità fiscali, o un operatore che aveva utilizzato un numero Iva abusivo, cioè un numero che non gli apparteneva. Tali pratiche avrebbero costituito, secondo l’Ufficio Iva, frodi di tipo carosello255.

Si trattava, in definitiva, di una classica frode Iva, con l’importantissima specificazione, tuttavia, che le tre società parti in causa non erano, alla luce delle risultanze processuali, consapevoli del fatto che il loro acquisto si iscriveva in una catena contraddistinta dalla presenza di un missing trader256.

Più in particolare, il VAT and Duties Tribunal di Londra aveva respinto i ricorsi proposti dalla Optigen e dalla Fulcrum, le quali avevano chiesto a rimborso il credito generatosi in conseguenza degli acquisti, “giudicando che l’Ufficio Iva avesse

a buon diritto ritenuto che le operazioni in causa non rientrassero nell’ambito di applicazione dell’Iva. Esso ha considerato che un operatore non ha diritto al rimborso dell’Iva pagata a monte su beni che esso ha in seguito rivenduto a società aventi sede fuori dal Regno Unito quando un operatore inadempiente, o un operatore che utilizza un numero Iva abusivo, è intervenuto nella serie delle cessioni, anche se l’operatore che chiede il suddetto rimborso non era in alcun modo coinvolto nell’inadempimento o nell’abuso del numero Iva contestato all’altro operatore, e non aveva conoscenza di essi, e quando le serie di cessioni in cui si inscrivevano gli acquisti e le vendite dell’operatore di cui trattasi facevano parte a sua insaputa di una frode di tipo “carosello” commessa da terzi» (punto 16).

Similmente aveva deciso, a fronte della richiesta di rimborso di Bond House, il VAT and duties Tribunal di Manchester, sulla scorta dell’assunto secondo il quale risulterebbe del tutto irrilevante che la società acquirente non fosse a conoscenza dello scopo fraudolento delle operazioni e che quest’ultima non avesse violato la legge in alcun modo, e ciò in quanto operazioni che si caratterizzano per la presenza di una cartiera che non versa l’Iva sarebbero “prive di sostanza economica”, dovendo conseguentemente essere valutate “secondo criteri obiettivi”, i quali, quindi, dovrebbero prescindere dalla sussistenza o meno della consapevolezza di chi

255 Tradizionalmente, nei propri provvedimenti impositivi, l’Amministrazione finanziaria (italiana) è solita assimilare le frodi in discorso alla nozione di operazioni soggettivamente inesistenti.

256 Sul tema, cfr. CENTORE, La responsabilità soggettiva degli operatori nelle frodi IVA, in Riv. giur. trib., 2013, p. 197.

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acquista la merce. Né potrebbe attribuirsi una qualche rilevanza alla tutela del legittimo affidamento del contribuente ignaro della frode. Una tale azione accertativa, volta al recupero in capo all’innocente inconsapevole dell’Iva non versata da altri, non dovrebbe infine ritenersi in contrasto con il principio di proporzionalità e/o con il principio di certezza del diritto (punto 20, della sentenza, laddove si riassume la tesi del Giudice di primo grado inglese)257.

In altri termini, a detta dell’Amministrazione finanziaria, opererebbe, in caso di frode, una vera e propria forma di responsabilità oggettiva in capo a colui che si sia trovato ad acquistare all’interno di una catena in cui uno degli operatori non abbia, a sua insaputa, versato l’Iva.

Insomma, chi ha puntualmente adempiuto ai propri obblighi fiscali nel pieno rispetto della legge dovrebbe essere chiamato a pagare un’altra volta l’imposta già corrisposta al cedente solo perché sussiste un fatto obiettivo, e quindi incontrovertibile, il mancato versamento dell’imposta da parte di uno dei soggetti passivi che hanno partecipato alla filiera.

L’inganno perpetrato dagli organizzatori delle frodi (che in sé è un fatto che dà origine ad un altro fatto, l’incameramento dell’Iva non versata all’Erario da parte del sistema fraudolento) farebbe dunque fuoriuscire dall’ambito Iva tutte le operazioni della filiera, anche quelle realizzate da chi ha agito in totale buona fede. La conclusione, dagli effetti aberranti, a cui giunge l’Amministrazione finanziaria è che esse non potrebbero considerarsi cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo che agisca in quanto tale nell’esercizio di un’attività economica.

In tale quadro, i giudici comunitari sono chiamati a chiarire se le operazioni attraverso le quali si realizza una frode carosello siano prive di reale giustificazione e non facciano quindi parte di alcuna attività economica, con la conseguenza che, ricadendo fuori dal campo di applicazione dell’Iva, dette operazioni non darebbero diritto ad alcuna detrazione o rimborso dell’imposta assolta dall’operatore ignaro dell’intento fraudolento, ovvero, al contrario, se esse vadano qualificate come attività

257 Per un commento della pronuncia, SIRRI-ZAVATTA, La responsabilità degli operatori coinvolti nelle frodi Iva, in GT Riv. giur. trib., 2006, p. 292 e ss. e, degli stessi Autori, Frodi carosello fra esigenze di repressione e principi del sistema comune Iva, in Corr. trib., 2006, p. 596.

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economiche a tutti gli effetti dell’Iva e se, ai fini di tale valutazione, si debba considerare l’insieme delle operazioni ovvero ogni operazione singolarmente258.

La risposta della Corte di giustizia al quesito (comune a tutti i casi di frode carosello in rassegna) è stata chiara e lapidaria:

i) i requisiti in presenza dei quali un’operazione commerciale assume rilievo ai fini dell’Iva hanno natura oggettiva259, in quanto non contemplano (ed anzi espressamente escludono) qualsiasi “ruolo” agli

scopi perseguiti da chi vi prende parte;

ii) risulta, quindi, contrario agli scopi della direttiva Iva il fatto che l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito di un accertamento fiscale, tenga conto dell’intenzione di un altro operatore che intervenga nella stessa catena di cessioni;

iii)ne discende che ogni operazione Iva, deve essere valutata singolarmente e il carattere di una determinata operazione nella catena di cessioni non può essere modificato da eventi precedenti o successivi.

258 DE GIROLAMO, L’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in tema di responsabilità del cessionario nelle frodi Iva, in Il Fisco, 2007, n.31, p. 4751 ess.

259 Corte di giustizia, 12 gennaio 2006, C-354/03, Optigen e altri, punti 44 e 45. Occorre al proposito ricordare che la Direttiva n. 2006/112/CE stabilisce un sistema comune dell’Iva basato, in particolare, su una definizione uniforme delle operazioni imponibili. Per quanto qui d’interesse, infatti, la cessione di un bene è considerata operazione imponibile, allorché effettuata a titolo oneroso all’interno del Paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale (cfr. art. 1, lett. a), Direttiva n. 2006/112/CE, già art. 2, par., Direttiva n. 1977/388/CEE, VI Direttiva). L’attività di cessione di un bene consiste in particolare, nel “trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario” (cfr. art. 14, 1° par., Direttiva n. 2006/112/CE, già art. 5, 1° par., VI Direttiva). È soggetto passivo “chiunque esercita in modo indipendente un’attività economica” (per tale intendendosi “lo svolgimento di un’attività che comporti lo sfruttamento di un bene, per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità”, e comunque, fra l’altro, “tutte le attività di produttore, commerciante o prestatore di servizi”), “indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” (cfr. art. 9, 1° e 2° par., Direttiva n. 2006/112/CE, già art. 4, 1o et 2o par., VI Direttiva). È infine “soggetto passivo che agisce in quanto tale”, ossia “il soggetto passivo quando effettua operazioni nell’ambito della sua attività imponibile” (v., in questo senso, sentenze della Corte di giustizia, 4 ottobre 1995, causa C-291/92, Armbrecht, punto 17, e 29 aprile 2004, causa C-77/01, EDM, punto 66). All’esito dell’analisi nelle nozioni che individuano le operazioni rilevanti ai fini iva (qui cessione di beni), è quindi logico concludere che esse hanno tutte un carattere obiettivo e che si applicano indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi (Corte di giustizia, 12 gennaio 2006, C-354/03, Optigen e altri, punto 44).

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Con la sentenza in esame, pertanto, la Corte di giustizia ha deciso di non accogliere la ricostruzione dell’Amministrazione finanziaria inglese, secondo la quale le operazioni che fanno parte di una frode carosello non ricadrebbero nella sfera di applicazione della Sesta Direttiva, dal momento che non rappresentano genuine attività economiche.

Significative in tal senso le conclusioni dell’Avvocato generale Maduro, presentate il 16 febbraio 2005, in cui si afferma che “una frode carosello riguarda

una serie di attività consecutive, realizzate da numerosi commercianti in una catena di cessioni. È elemento essenziale del sistema comune dell’IVA il fatto che l’IVA divenga esigibile per ogni operazione nell’ambito di una catena di cessioni. Occorre perciò valutare ogni operazione singolarmente. Conseguentemente, il carattere di una determinata operazione nella catena non può essere modificato da eventi precedenti o successivi” (par. 27).

Ed invero, la descritta necessità si fonda sui principi di neutralità del sistema comune dell’Iva e di certezza del diritto, il quale ultimo esige che l’applicazione del diritto comunitario sia prevedibile per i soggetti passivi. Questo assicura che al momento dell’operazione imponibile si possa, in linea di principio, determinare se la medesima rientri o meno nella sfera di applicazione della Sesta Direttiva (cfr. par. 29 delle conclusioni, citate).

La posizione dell’Avvocato generale Maduro, in tale causa, è di assoluta chiusura all’ipotesi di attribuire rilevanza allo stato soggettivo degli operatori economici al fine di limitare la sfera di applicazione del sistema dell’Iva e, segnatamente, del diritto alla detrazione. Lapidariamente quest’ultimo afferma al par. 41 delle proprie conclusioni che se la Corte accettasse l’interpretazione difesa dal Regno Unito, ne risulterebbe una notevole incertezza in relazione all’applicazione della Sesta Direttiva: del resto, “la “frode del commerciante irreperibile” può

ricorrere anche in una catena di cessioni lineari, ed in questo caso le operazioni della catena ricadrebbero non di meno nel sistema dell’Iva”.

Secondo l’opinione dell’Avvocato generale, non è limitando la sfera di applicazione del sistema Iva che si combattono le frodi carosello. Anzi, è vero il contrario. In questo modo non si fa altro che trasferire drasticamente il peso del problema dalle autorità tributarie al settore privato, a danno del commercio legale e del corretto funzionamento del sistema Iva. A ben vedere, legittimare questa linea di

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comodo, a favore delle Amministrazioni finanziarie, significherebbe dissuadere gli Stati membri dall’adottare misure appropriate contro le frodi carosello. A tal proposito, suggerisce Maduro, “vale la pena di sottolineare che il fatto che

un’attività ricada nella sfera di applicazione della sesta direttiva non significa che gli Stati membri perdano il potere di intervenire contro di essa. Infatti l’art. 21 della sesta direttiva attribuisce agli Stati membri la facoltà di introdurre una responsabilità tributaria solidale” del soggetto che sapeva o avrebbe dovuto sapere

delle attività fraudolente della sua controparte contrattuale (par. 42 delle conclusioni).

Ad una prima lettura, la posizione della Corte di giustizia - essendo stato riconosciuto il diritto di detrazione per il cessionario - è sembrata confermare l’orientamento prevalente delle precedenti pronunce ed utilizzato dall’Avvocato generale nelle proprie conclusioni.

Se, però, si esamina la pronuncia con maggior attenzione, le conclusioni non possono che essere differenti.

Ed invero, non può sfuggire che nella sentenza in esame si eleva a principio quella che invece era evidenziata dal giudice del rinvio e dalle parti private come

mera circostanza che caratterizzava i peculiari casi sottoposti all’attenzione della

Corte, con la conseguenza che il diritto alla detrazione finisce per dipendere dall’evanescente concetto di conoscibilità della frode altrui.

Si consegna così il diritto alla detrazione e, quindi, il principio di neutralità ad opinabilissime valutazioni di merito260, si equiparano in tal modo gli organizzatori

260 Detto in altri termini, all’incertezza e all’arbitrarietà più assoluta. Sul tema, CENTORE, Responsabilità del cessionario nella “frode carosello”, in l’Iva, 2005, n. 6, p. 9, specificava, a fronte delle Conclusioni dell’Avvocato generale, che: “la soluzione del problema concreto, cioè la tutela degli interessi erariali, ritorna, così, sul campo di battaglia”, obiettivo questo che non può essere raggiunto “se non attraverso l’individuazione di elementi fattuali che possano incidere la corazza della buona fede del soggetto coinvolto nella frode”. In ogni caso, continua Centore, “la conclusione è, come sempre, double face: l’operatore onesto non può ignorare il rischio di coinvolgimento che, almeno a livello indiziario, possa manifestarsi: di conseguenza, deve assumere tutte le misure che consentano di dimostrare, alla bisogna, la propria buona fede. Sull’altro versante, è facile prevedere che il contribuente disonesto si attivi con le contromisure di facciata che consentano di opporre, oltre alla veridicità oggettiva dell’operazione, anche lo scudo della buona fede, almeno di facciata”. In definitiva, a parte il fatto che, secondo questa impostazione, il contribuente sarebbe chiamato a dare la prova della buona fede (anziché essere l’Ufficio gravato dell’onere di provare l’assenza della stessa), è interessante segnalare come un siffatto atteggiamento non può che indurre l’amministrazione a non scagionare mai nessuno. Si tratta proprio di quello che costantemente accade, con conseguente

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della frode a coloro che, tutt’al più, in ragione della loro esperienza, avrebbero dovuto rendersi conto che le particolari condizioni di acquisto avrebbero difficilmente trovato giustificazione in un contesto fiscalmente fisiologico261.

In altri termini, la connivenza, quale risulta da valutazione che, quasi sempre, si fonda su elementi indiziari, determina in capo agli operatori lo stesso effetto fiscale, la negazione della detrazione, della correità, sulla scorta del principio generale secondo cui “gli interessati non possono avvalersi abusivamente o

fraudolentemente del diritto comunitario” (c.d. principio dell’abuso del diritto).

In altri termini, l’acquirente a conoscenza della frode deve considerarsi “concorrente” nel comportamento fraudolento del missing trader con grave nocumento alla certezza dei rapporti giuridici e, finanche, con ingenti rischi per la sopravvivenza degli operatori che, in forza del non potevi non sapere, assistono increduli alla contestazione sulla detraibilità dell’Iva corrisposta al proprio fornitore262.

La contraddittorietà delle motivazioni della Corte è evidente: nelle premesse essa parte dall’assunto che le operazioni Iva devono essere valutate singolarmente e sulla base di elementi oggettivi ma, poi, inspiegabilmente finisce nelle conclusioni per negare le stesse premesse poste alla base del sillogismo decisivo, sancendo (di fatto) l’obbligo in capo all’Amministrazione finanziaria di accertare la volontà del soggetto passivo, negando la detrazione qualora risulti in capo a quest’ultimo la consapevolezza della frode altrui.

Ciò significa che, se la scriminante è la non conoscibilità della frode altrui (una sorta di errore di fatto sul fatto che esclude la colpevolezza), il carattere obiettivo delle nozioni di “cessione di beni”, di “soggetto passivo” e di “attività economica” non risulta sufficiente ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione263.

assoggettamento anche dei contribuenti onesti a pretese che, in molte occasioni, mettono a rischio la loro sopravvivenza.

261 Cfr. GIOVANARDI, Le frodi Iva, cit., p. 79 e ss.

262 Cfr. sul tema, BASILAVECCHIA, Considerazioni problematiche sugli strumenti di contrasto delle frodi nell’Iva, in Riv. dir. trib., 2004, II, p. 501 e s.

263 In senso analogo, con riferimento al caso Halifax, cfr. SALVINI, L’elusione IVA nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. trib., 2006, p. 3101, segnala che “pur partendo dalla riaffermazione del principio (del tutto condivisibile) per cui un’operazione con le caratteristiche oggettive di un’operazione imponibile deve comunque scontare l’IVA indipendentemente dallo scopo

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Sembra quasi che il soggetto passivo sia chiamato a rispondere dell’evasione altrui sulla base di una responsabilità di natura oggettiva, secondo l’antico principio

“qui in re illicita versatur tenetur etiam pro causa”.

Tale tipo di interpretazione, lo si anticipa, non può che essere considerata contraria al principio di proporzionalità vigente nell’ordinamento comunitario.

3.2.11. Il legittimo affidamento del contribuente che adotti, secondo i

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