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3 - I cimiteri ad aperto cielo

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 155-159)

I SANTUARI I TALICI

II. 3 - I cimiteri ad aperto cielo

In ambito subdiale, le tombe venerate di Cimitile, Formia, Venosa, Classe e S. Canzian d’Isonzo funsero da elemento catalizzatore di estesi santuari. Tra tutte, quella di Felice a Cimitile era la più elaborata, nonché la meglio noto dal punto di vista archeologico.

511 Sul santuario di Lussorio, ricordato dal Geronimiano e da Gregorio Magno (lettera del 599): CISCI 2001, pp. 373-380; SPANU 2000, pp. 97-114; ZUCCA 1989, pp. 125-130; ZUCCA 1986, pp. 5-16.

512

Sul santuario di Simplicio, ricordato dal Geronimiano e dalla Passio: PINNA 2008, pp. 67-70; SPANU 2000, pp. 141-149; GIUNTELLA,PANI ERMINI 1989, pp. 67-69.

513 Ricerche recenti hanno appurato che il cimitero fu in uso tra la media età imperiale e il Medioevo. CISCI 2001, pp. 380-386, ritiene che non vi siano elementi attendibili a documentare il culto del santo.

514

Sulla tomba del martire, sepolto in una crypta secondo la Passio (scritto d’età barocca ma forse debitore di un originale bizantino):SPANU 2000, pp. 83-95; TRONCHETTI 1989, pp. 60-65.

515 Sul sepolcro di Efisio, localizzato a Nora dalla Passio (X ca.), e sullo sua memoria, la cui datazione non può essere troppo alta avendo intaccato un’iscrizione paleocristiana, SPANU 2000, pp. 61-81.

516

Stando a un documento del 1088, la chiesa aveva sino ad allora ospitato le reliquie dei due santi ma è possibile che il culto di Potito, militare bizantino, abbia soppiantato nell’Altomedioevo quello di un martire locale (BONACASA CARRA 2012, p. 113).

517 CISCI 2001, pp. 386-394; SPANU 2000, pp. 115-140; GIUNTELLA,PANI ERMINI 1989, pp. 64-67; MASTINO, VISMARA 1994, pp. 54-75

518 Sul santuario (lo Specus Martyrum della lapide di Romolo), rinvenuto nel corso di vecchi scavi nella cripta dell’attuale S. Ippolisto ad Atripalda:EBANISTA 2011, p. 409; MUOLLO 2001, pp. 11-19. Il sepolcreto cristiano si sviluppava anche all’esterno dell’ipogeo, includendo forse anche il non lontano nucleo di Capo La Torre. Risalirebbe alla prima metà del IV sec., come attesta l’epigrafe con formula“sociatus cum sanctis” (357).

156 ii.3a - San Felice a Cimitile

Il luogo di deposizione di Felice, nel suburbio N di Nola, era occupato da una necropoli pagana, cristianizzatasi completamente agli inizi del V519. La tomba terragna in mattoni fu sistemata, intorno alla fine del III sec., in un’area del cimitero parzialmente cristianizzata, interessata da edifici funerari e sepolture subdiali (fig. 486). Apparteneva a una tipologia piuttosto comune nella necropoli, con fondo costituito da quattro mattoni. Un cuscino funebre in malta presentava un incavo per accogliere il capo (fig. 487) mentre la copertura era composta di tre laterizi, decorati sul lato inferiore da una T incisa (fig. 488). Adiacenti al sepolcro feliciano, altre due tombe, ugualmente costruite in mattoni ma rivestite di lastre di marmo, potrebbero essere appartenute ai vescovi Massimo e Quinto, grossomodo contemporanei del santo (fig. 489)520.

Agli inizi del IV sec., le tre sepolture furono inglobate nel Mausoleo A, uno dei primi

martyria su scala mediterranea. In pochi anni, l’addensarsi attorno ad esso di nuovi ambienti

sepolcrali determinò la formazione di un antistante slargo, sorta di cortile probabilmente collegato alla strada proveniente da Nola521. Il Mausoleo A era un edificio quadrangolare in

opus vittatum mixtum, forse voltato a botte e coperto da un tetto a due falde (fig. 490).

L’esterno del muro di facciata era intonacato di rosso mentre l’interno decorato a imitazione dell’opus sectile. Non è chiaro se il piano di calpestio fosse costituito dalle coperture delle tre tombe, che si trovavano a quote diverse. Quella di Felice, presso l’ingresso, era coperta da una soglia marmorea.

Il sepocro feliciano fu presto monumentalizzato. Il piano di calpestio del mausoleo fu innalzato mentre un vaso marmoreo di forma troncoconica fu poggiato sui laterizi della sua copertura, all’altezza del torace del defunto; il puntale del contenitore fu incastrato nei due mattoni O, incavati e sfondati intenzionalmente per accoglierlo (fig. 491). Il vaso, e lo strato di malta e frammenti fittili entro cui fu murato, sostenevano, a loro volta, una lastra marmorea di riuso (era incorniciata da un rilievo rappresentante un tralcio, un listello e un kyma lesbio), che si trovava alla medesima quota della soglia d’ingresso (figg. 492-494). Prima del reimpiego, la lastra fu rilavorata: il lato meridionale venne tagliato mentre nel campo centrale fu scolpita l’immagine in rilievo del Buon Pastore recante una pecora, parzialmente consunta dallo sfregamento devozionale522. Presso il crioforo, la lastra era munita di due fori circolari di diverso diametro e dagli orli arrotondati: quello S, richiudibile per mezzo di tappo marmoreo, corrispondeva al sottostante recipiente mentre l’altro era cinto da quattro alloggiamenti per un coperchio metallico o una grata, e comunicava col vaso per mezzo di un apertura nell’orlo. I due foramina erano utilizzati per libagioni di latte, miele, vino e sostanze

519

Stando a Paolino di Nola (Carm. 18), il confessore Felice fu sepolto in una solitaria e profumata campagna dell’ager Nolanus. Il santo, nella seconda metà del III sec., aveva amministrato la Chiesa nolana durante la forzata assenza del vescovo Massimo, a cui non aveva voluto succedere (Carm. 15 e 16). Gli scavi condotti dal Chierici consentono di ricostruire l’articolazione del santuario nolano, sebbene abbiano prodotto scassi e scarsa documentazione. Sul sepolcro del santo, contenente pochi frammenti di cranio e costole:EBANISTA 2007,pp. 93-111; EBANISTA 2006, pp. 17-47; EBANISTA 2003, pp. 17-111, 558-559. Per un inquadramento del santuario e delle sue fasi costruttive:RAINEY 2009, pp. 328-336; EBANISTA 2007,pp.63-70; ARTHUR 2002; EBANISTA, FUSARO 2001, pp. 74-76; FIACCADORI 1992, p. 158. Una sintesi sulla sua evoluzione è in BONACASA CARRA

2012, pp. 106-109.

520 Va tenuto presente, tuttavia, che Paolino non menziona queste tombe e che quella di Massimo conteneva ancora integro lo scheletro, circostanza strana se si considera che i corpi dei due presuli furono traslati nell’Altomedioevo.

521

Il martyrium era ricordato da Paolino (Carm. 18) che, contrapponendo il “povero tumulo” di Felice al santuario a lui contemporaneo, menzionava anche il “parvo […] culmine”, costruito “tempore saevo,| religio quo

crimine erat”.

522 Questo soggetto era solitamente interpretato come psicopompo ma simboleggiava anche la beatitudine terrena.

157 aromatiche e per la produzione di reliquie da contatto mediante l’accostamento di stoffe,

brandea e pallae523.

Il sepolcro di Felice richiamò ben presto sepolture privilegiate, al punto che, ancor prima della Pace della Chiesa, due di esse trovarono posto sulle casse dei presunti vescovi, rispettando quella del confessore (figg. 495-496). I mausolei quadrangolari B e C, prospettanti sul piazzale e grossomodo contemporanei al martyrium, furono occupati intensivamente da tombe terragne (fig. 497). Altre sepolture, più tarde e disposte disordinatamente nel cortile, erano di fattura semplice, ad eccezione di due sarcofagi in tufo.

ii.3b - Gli altri contesti

La tomba che presenta maggiori analogie con quella nolana, sebbene fosse chiaramente più tarda, si trovava all’interno della città di Venosa, ma in un’area periferica e occupata da necropoli a partire dall’età tardoantica, dopo che un evento traumatico ne sancì l’abbandono. Si trattava di un sepolcro recintato (a Cimitile l’elemento di demarcazione era costituito dal mausoleo) e caratterizzato da un dispositivo liturgico funzionale al refrigerio. Sulla lastra di chiusura, all’altezza del petto dell’inumato, era infatti un foro circolare, in corrispondenza del quale, sullo scheletro, furono rinvenuti frammenti di stoffa, forse brandea (fig. 498)524. Numerose monete della seconda metà del IV-inizi V sec., interpretabili come offerta funeraria, furono rinvenute presso un mattone, sorta di signaculum, in asse con la sepoltura e ai piedi dell’inumato. Quest’ultimo potrebbe essere identificato in uno dei tre martiri della persecuzione dioclezianea (Viatore, Cassiodoro, Senatore) o, più probabilmente, nel martire Felice, omonimo del nolano525. Anche in questo caso, alla tomba se ne affiancò un’altra di particolare importanza, di un vescovo a giudicare dai frammenti d’abito con decorazioni auree rinvenutivi. La diffusione di sepolture in tutta l’area del complesso paleocristiano, a partire dalla seconda metà del IV-inizi V sec., potrebbe essere stata determinata dall’attrazione esercitata dalle reliquie.

Anche il sepolcro del proto-vescovo e martire ravennate Apollinare, inumato nel cimitero di Classe tra il 170 e il 180 d.C., era particolarmente elaborato. La Passio S. Apollinaris (V-VI) ricorda che la deposizione avvenne “in arca saxea”, mentre Andrea Agnello specifica che il sarcofago lapideo era completamente interrato. Si riconosce in quell’arca marmorea priva di decorazioni ma con acroteri angolari che fu rinvenuta nella chiesa bizantina ma che doveva orinariamente trovarsi al suo esterno, in corrispondenza del più tardo cenotafio interrato526. È possibile che il sepolcro, come altre arche di epoca imperiale del cimitero classense, emergesse in parte dal terreno. La venerazione di cui godeva il santo è testimoniata dal

523

Nel carme 18 è espressamente specificato che i fedeli cospargevano di nardo il sepolcro venerato e ne traevano unguenti salutari mentre nel 21 si fa riferimento a una sua ricognizione, resa necessaria dalla constatazione che i vasetti calati nei fori trascinavano su sabbia, povere, calcinacci, cocci e ossicini anziché il nardo che vi era stato versato. Nel descrivere la verifica effettuata, Paolino ricorda che la lastra marmorea posta sulla cassa del sepolcro era rivestita da una lamina d’argento. EBANISTA 2007 ritiene che il foro con grata servissea forse a versare le essenze mentre l’altro ad introdurre i vascula che le raccoglievano; la sporcizia accumulatasi nella tomba e ricordata da Paolino ha indotto a ipotizzare che uno dei due fori fosse sempre aperto.

524

Sul sepolcro venosino, rinvenuto sotto il transetto della Chiesa Vecchia: MARCHI 2010, pp. 215-216; BERTELLI 2006, p. 518; CAMPIONE 2000, pp. 68-73; MARCHI,SALVATORE 1997, p. 148; SALVATORE 1991, p. 61;

525 Le reliquie rinvenute in occasione della demolizione dell’altare della SS. Trinità nel 1603 furono attribuite ai tre martiri e alla madre Dominata. A Felice, invece, fu dedicata la cattedrale della metà dell’XI secolo.

526

Il locus era segnalato dalla presunta iscrizione di Massimiano (546-556) (CIL XI 295). Sulla tomba di Apollinare, ancora nota all’epoca di Pietro Crisologo (m. 449) (sermone 128): PICARD 1988; MONTANARI 1992, pp. 244-250; BENDAZZI, RICCI 1992, pp. 208-223; MAIOLI, STOPPIONI 1987, pp. 78-83.

158 ritrovamento di moltissime monete devozionali e dalla proliferazione di tombe ad sanctum, con scheletri adagiati con la testa in direzione delle reliquie.

A Formia e S. Canzian d’Isonzo, i sepolcri venerati erano semplici tombe a cassa, sebbene sia probabile che la tomba del proto-vescovo laziale Erasmo fosse originariamente a fossa e, solo successivamente, rivestita da lastre marmoree527. D’altronde, anche le sepolture del proto-vescovo di Agrigento Libertino e del compagno Pellegrino, nonché quella del martire Agapito di Palestrina, erano semplici fosse scavate nella roccia (fig. 499)528. Le prime due, in particolare, avevano forma trapezoidale, piuttosto comune ad Agrigento tra II e III sec.529. Anche Proto potrebbe essere stato sepolto ad aperto cielo, in un cimitero romano ubicato probabilmente sulla via Gemina, non lontano da Aquileia. La lastra che fu reimpiegata nella colonna mariana a S. Canzian d’Isonzo, resecata per assumere forma semicircolare e recante l’iscrizione “BEATISSIMO / MART(YRI) / PROTO” (CIL V 236), infatti, è stata considerata un frammento di stele o cippo funerario o costitiuiva la copertura di una sepoltura terragna (fig. 500)530. La tomba dei Canzii era invece una cassa pseudo-rettangolare con fondo fittile e un lato breve desinente in un trapezio (figg. 501-502). Conteneva i resti scheletrici di tre adulti, due maschi e una femmina legati da vincoli parentali, nonché oggetti presumibilmente votivi (fig. 503)531. È possibile che alla tomba venerata fosse associata un’ampia esedra con funzione memoriale, indipendente da altre strutture (figg. 504-505)532.

Il caso di Fantino il Vecchio a Taurianum è meno chiaro. A quanto pare, il sepolcro venerato rioccupò un ninfeo ipogeo della villa imperiale in abbandono, in concomitanza della cristianizzazione della necropoli ivi sorta533. Il ninfeo fu forse riutilizzato come battistero poiché nel Bios di S. Fantino (VIII sec.) si fa riferimento a una tomba posta in un luogo basso, in cui affluiva acqua. L’accostamento di battisteri alle reliquie non era inusuale e pare attestato anche a Venosa e Formia, dove una vasca fu costruita in precedenti strutture abitative, in fase e nelle vicinanze dei sepolcri venerati. A Tauriana, in particolare, l’ambiente che fu riutilizzato presentava un pavimento in opus sectile e pareti intonacate, una delle quali interessata da un rudimentale cristogramma inciso (fig. 506). La funzione battesimale delle vasche rinvenute sembrerebbe confermata dalla presenza delle presunte tombe vescovili. L’amministrazione del primo sacramento, a quell’epoca, competeva infatti solamente agli episcopi ed acquisiva maggiore importanza se effettuata in presenza di reliquie.

527 Sul santuario, sorto in un’area cimiteriale romana e ricordato nella Passio Sancti Erasmi episcopi et martiris di Gelasio II e in un’epistola di Gregorio Magno, PUNZO,MIELE,FRECENTESE 1992.

528 In realtà, non è escluso che la tomba di Agapito fosse una cassa o un sarcofago (BONFIGLIO 2013, p. 111).

529SGARLATA 1998, pp. 282-283; BONACASA CARRA 1994; BONACASA CARRA 1987, p. 35

530 Considerata la sua sottigliezza (2 cm.), potrebbe anche esser stata un’epigrafe dedicatoria della più tarda aula memoriale (CUSCITO 2007 (b), pp. 200-202). Il testo, che sottintende il dedicante e la depositio, fu redatto in capitale attuaria rustica di tipo comune, sotto una croce latina a estremità espanse e alla destra di due colombe graffite (MAZZOLENI 2005, pp. 75-78; CUSCITO 2000, p. 65). Stando alla Passio SS. Cantii, Cantiani et

Cantianillae, i tre fratelli, con Proto e Crisogono, furono giustiziati “ad Aquas Gradatas” (vicus dedicato ai

Canziani almeno dal periodo longobardo) in momenti diversi, ma furono seppelliti vicini.

531 Mi riferisco a tre monete, una delle quali attribuibile al vescovo Arlongo (XIII sec.), e, forse, a quattro bottoni d’osso. È probabile che l’inumato fosse deposto in una bara, di cui si sarebberio trovati resti lignei e chiodi. Sul sepolcro, rinvenuto sotto la moderna parrocchiale: CUSCITO 2008, pp. 54-57; TAVANO 2007, pp. 58-70.

532

TAVANO 2007, pp. 237-242. La mancanza di dati stratigrafici, tuttavia, non consente di escludere che la struttura facesse parte di un ambiente di rappresentanza tardo-antico legato alla residenza romana presso cui i tre martiri furono sepolti. Proprio questo complesso abitativo è stato cautamente attribuiti alla famiglia dei Canziani, ricordato nelle fonti proprio in quest’area marginale dell’insediamento antico (VILLA 2007, pp. 353-354).

533

159 CAPITOLO III

I SANTUARI ITALICI DOPO LA PACE DELLA CHIESA

A partire dal IV sec., i santuari ipogei furono interessati dall’allargamento degli spazi confessionali e dalla monumentalizzazione dei sepolcri. In ambito subdiale, invece, si registra la costruzione di basiliche funerarie ad corpus e l’espansione di alcuni complessi, come quello di Cimitile

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 155-159)