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5 - Paolino di Nola e le trasformazioni del santuario di Cimitile

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 175-180)

I SANTUARI I TALICI

IV. 5 - Paolino di Nola e le trasformazioni del santuario di Cimitile

Per iniziativa di Paolino, il santuario di Cimitile raggiunse il suo apogeo (fig. 641)622. Dopo aver fatto lastricare la strada che collegava la città al santuario e avervi costruito uno xenodochio, Paolino vi si stabilì nel 395. Quindi, attingendo al proprio patrimonio personale, promosse una generale riorganizzazione del sito (sistemazione del sepolcro di Felice e dei precedenti edifici, restauro dell’acquedotto di Avella) e, per andare incontro alle esigenze dei pellegrini, costruì ambienti per la comunità monastica e la Basilica Nova. Morto nel 431, fu inumato accanto a Felice.

iv.5a - La valorizzazione della confessio e i restauri dell’Aula ad corpus

La valorizzazione della sepoltura feliciana, presso cui furono deposte anche le reliquie di Gervasio e Protasio donate da Ambrogio, previde la costruzione un recinto costituito da quattro transenne marmoree traforate a losanghe e con cornici a listello, sostenute da pilastrini angolari scanalati e terminanti in bugne conoidi (fig. 642)623. Esso non copriva tutto il sepolcro ma lasciava libera la parte della lastra occupata dai foramina, per consentirne l’utilizzo. Su entrambe le facce dei listelli inferiore e superiore della transenna S, l’unica conservata, correvano iscrizioni bibliche, rese più facilmente leggibili dalla leggera soprelevazione della struttura (fig. 643). Cancelli di questo tipo erano piuttosto comuni nel santuario di Paolino e recavano massime bibliche a carattere morale e parenetico, spesso attestate nei carmi. Forse il sepolcro, o lo spazio adiacente, era monumentalizzato da un apparato architettonico a colonnine, di cui facevano parte parte i due capitelli figurati coi santi Felice e Faustillo (fig. 644)624. Su questa struttura avrebbe potuto trovarsi il titulus che Paolino compose per ringraziare Felice del proprio ritorno dalla prigionia gota, tramandato dal Codex Neapolitanus (VIII.B.3).

Nel carme 28, Paolino ricorda che le pitture con scene neotestamentarie da lui volute, di cui si conservano solo lacerti con motivi geometrici e floreali, ridiedero nuovo splendore al

martyrium. Sul soffitto furono montati pannelli di legno che simulavano rilievi in avorio

mentre sulle pareti scintillavano rivestimenti marmorei (carme 27). La loro illuminazione era garantita da lampade sospese al soffitto con catene d’ottone. I restauri di Paolino interessarono pure l’ingresso, con la sostituzione dei pilastri del triforio con colonne. Anche la triplice arcata che menava alla Nova, costruita in luogo dell’abside dell’Aula, era sorretta da colonne di spoglio. Gli intercolumni erano chiusi da transenne mentre sei tituli erano sistemati sugli archi e ricordati nell’epistola 32. L’iscrizione dell’arco mediano affacciato sulla Nova sottolineava implicitamente che le due basiliche di S. Felice formavano un’insieme unitario e complementare: “Plebs gemina Christum Felicis adorat in aula”. Il testo su uno degli archi laterali, verso la vecchia basilica, alludeva invece a un percorso di pellegrinaggio che dalla tomba conduceva alla Nova: “antiqua digresse sacri Felicis ab aula / in nova Felicis culmina

transgredere”625.

La Basilica Orientale, stando ai carmi, fu sottoposta a interventi simili a quelli dell’Aula: pilastri del triforio sostituiti da colonne; apertura di bifore sugli archi della navata centrale,

622 Paolino giunse a Nola tra il 378 e il 381 in qualità di consularis sexfacalis Campaniae, per divenirvi vescovo tra il 409 e il 410. Sui suoi interventi: EBANISTA 2003, pp. 135-150; 166-170; 208-209; RAINEY 2009, pp. 328-336; PISCITELLI CARPINO 2002, pp. 112-115, 118-126. Una sintesi in PORTA 2012, pp. 122-123.

623 Il recinto è ricordato da Paolino in due circostanze. Nel carme 23, si fa riferimento all’indemoniato che, per essere guarito, fu condotto “sacratis antes fores sancti cancellis” mentre nel 21, in relazione alla ricognizione del sepolcro, si accenna alla rimozione dei cancelli e ai chiodi e alle tavole che vi erano connessi. Della struttura furono rinvenuti in situ una transenna, due pilastrini interi ed uno frammentario. EBANISTA 2006, pp. 56-63, non esclude che Paolino abbia solo rinnovato un recinto già esistente nella seconda metà del IV sec., periodo durante il quale tali dispositivi trovarono diffusione.

624 Sui due capitelli figurati, riutilizzati nell’Altomedioevo,PENSABENE 2003, pp. 142-144.

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176 laddove erano matronei; restauri al soffitto; rivestimenti marmorei e raffigurazioni affrescate tratte dal Nuovo Testamento.

iv.5b - La Basilica Nova

Da Paolino stesso definita Nova, la basilica a N dell’Aula, e ad essa collegata per mezzo di un atrio, fu costruita per far fronte all’afflusso sempre più ingente di pellegrini. Si trattava di un grande edificio munito di fonte battesimale, con soffitto a cassettoni, diviso da arcate in tre navate occupate da sepolture e terminanti in un’abside trilobata e soprelevata (fig. 645)626

. Ai lati delle navate, due piccole cappelle erano destinate, rispettivamente, alle preghiere e meditazioni e alla sepoltura di clero e amici di Paolino. La decorazione era costituita da marmi e, come ricorda il carme 28, da immagini vetero-testamentarie. La basilica era accessibile da triforio sormontato da iscrizioni metriche, aperto su un cortile e fronteggiante quello dell’Aula. I portali contrapposti istituivano tra martyrium (oggetto della venerazione) e

basilica (sede delle celebrazioni liturgiche) un’unione strutturale e simbolica, che garantiva

ai pellegrini l’agevole frequentazione del santuario (fig. 646). Altri tituli, ricordati da Paolino, campeggiavano su abside, altare, arcate del portico collegato alla Vetus e accessi alle sacrestie fiancheggianti l’abside. La redazione di tante iscrizioni si giustifica considerando la funzione pedagogica che Paolino assegnava alle immagini che, pertanto, non andavano fraintese. La Basilica Nova costituisce il primo caso documentato in cui una struttura trilobata non è indipendente, ma parte di un edificio di cui costituisce il completamento (fig. 647)627. Come le cellae trichorae, tuttavia, manteneva la funzione martiriale poiché il titulus sulla volta faceva riferimento a ceneri di martiri e apostoli e a un frammento Croce, dono dell’aristocratica Melania, “intra absidem trichora sub altaria” (ep. 32)628. L’abside centrale era più grande e profonda, forse perché Paolino, nel tentativo di asservire il modello triconco all’uso presbiteriale, intendeva richiamare la forma dell’abside classica. La presenza di numerose finestre (tre nel lobo centrale e una in quelle laterali) costituisce un’altra novità poiché l’utilizzo presbiteriale del triconco, a differenza di quello funerario, rendeva indispensabile un’illuminazione più consona629

.

Nell’abside centrale campeggiava il mosaico descritto nella lettera 32, di cui si conserva qualche lacerto. In alto era una grande croce gemmata cinta dal cielo stellato e da dodici colombe e, sotto di essa, sul monte paradisiaco, l’agnus Dei affiancato da due teorie di sei agnelli (fig. 648); la scena era descritta nei tituli sulla volta dell’abside centrale. Sia le pareti che il pavimento della tricora, inoltre erano rivestiti da sectilia geometrici e floreali (figg. 649-650). In merito all’utilizzo dello spazio trilobo, Paolino chiarisce la funzione delle absidiole laterali, definite “secretaria”: “Una earum immolanti hostias iubilationis antistiti patet, alia post sacerdotem capaci sinu receptat orantes” (Ep. XXXIII). Quella di destra, forse, era quindi riservata alla conservazione e preparazione degli arredi sacri e dell’ostia mentre l’altra alla custodia dei libri liturgici e costituiva il luogo di preghiera dei sacerdoti e di lettura dei fedeli630.

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Se i dati archeologici orientano verso una ricostruzione della basilica con tre navate, un passo di Paolino (“geminis utriumque porticibus… quibus duplex per singulos arcus columnarum ordo dirigitur”) tenderebbe ad accreditare l’ipotesi che le navate fossero cinque.

627 MERCOGLIANO,SIBILLA 1999, p. 34; MOLLO 1991, pp. 138-140;KRAUTHEIMER 1986, p. 140. Ispirata alle

cellae trichorae, la struttura nolana esercitò la propria influenza sulle basiliche trilobate diffuse in area

mediterranea a partire dalla metà del V. Poiché alcune tricore contemporanee vennero trasformate in cori a seguito all’anteposizione di navate, è probabile che l’utilizzo presbiteriale del modulo si sia generalizzato a seguito di un processo di evoluzione naturale, giustificato dalla necessità di creare spazi più ampi per i fedeli che sempre in maggior numero si accostavano alla tricora, sede prediletta del culto martiriale.

628 RAINEY 2009, p. 329;VARALIS 1999, p. 209; TESTINI 1986, p. 215; KRAUTHEIMER 1986, pp. 140, 222-223

629 La tricore necessitavano di un’illuminazione anche maggiore rispetto alle normali absidi poiché la loro peculiare struttura non consentiva un’ottimale diffusione della luce.

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177 iv.5c - Le aree porticate e lo sviluppo di un centro insediativo

Interventi di minore portata furono eseguiti in diversi settori del santuario. Nel mausoleo 14, ad esempio, fu approntata una decorazione pittorica con scene vetero-testamentarie. Nel carme 28, invece, è ricordata un’area porticata esterna al santuario e un cortile interno più piccolo, occupato da tre “modicae basilicae” adiacenti;la centrale, decorata con immagini di martiri, ospitava gli ospiti del santuario mentre le laterali, con personaggi maschili e femminili del Vecchio Testamento, erano frequentate dai monaci631. Al centro del cortile era una fontana a forma di cantharus, racchiusa da un recinto e coperta da un baldacchino bronzeo. Dal carme 21, invece, si evince che i portici del chiostro esterno ospitassero uno xenodochio al piano inferiore e una foresteria per monaci ed ospiti di riguardo a quello superiore. I due complessi porticati potrebbero essere localizzati a N/E dello spazio compreso tra basilica vecchia e nuova ma è anche probabile che il cortile si trovasse tra le due chiese mentre il chiostro a S di S. Felice.

A partire dalla seconda metà del IV sec., quindi, l’area del santuario cominciò a strutturarsi come un primitivo nucleo d’insediamento, con installazioni adibite all’ospitalità dei monaci, della comunità residente e dei pellegrini632. A tal proposito, gli scritti di Paolino, tra il 399 e il 406, ricordano un “vicus” e i suoi abitanti, un “hortulus vel pomarium” su cui si affacciava una delle basiliche e un “hospitium” esterno al santuario e cinto da mura633

. iv.5d - Il sepolcro di Paolino

Il corpo del vescovo, deceduto nel 431, fu deposto “ad beatissimum Felicem” (Epistula Uranii

presbiteri de obitu S. Paulini ad Pacatum), in un sepolcro in laterizi rivestito di marmo, a

ridosso di quello venerato (fig. 651)634. Assieme a un’adiacente tomba fittile non rivestita, forse della moglie Tarasia, era coperto da un’unica lastra di marmo. La tomba di Paolino fu inglobata nel recinto di transenne, all’uopo allargato con tre nuovi cancelli e due pilastrini (figg. 652-654). Il pluteo conservato che ne faceva parte è decorato a bassorilievo da pelte sulla faccia O e losanghe su quella opposta; su entrambi i lati, recava massime bibliche incise sui listelli, una delle quali (“NON POTESTIS SERVIRE CHRISTO et mammonae”), ricorreva ben

cinque volte nelle epistole. iv.5e - La basilicula di Fondi

Anche Paolino, come Ambrogio, estese la propria sfera d’influenza fuori della propria sede episcopale. Nell’epistola a Sulpicio Severo (404), il nolano si vantava d’aver edificato a Fondi una basilicula, in luogo di un preesistente edificio, piccolo e fatiscente635. La chiesetta fu consacrata con reliquie degli apostoli Andrea e Luca e dei martiri milanesi Gervasio, Protasio e Nazaro, ricevuti in dono proprio dal vescovo milanese. Sull’abside campeggiava, a mosaico o dipinta, un’immagine della Croce sormontata da corona e colomba, sotto la quale un agnello in un paesaggio paradisiaco rappresentava Cristo (fig. 655); alla base correva un’iscrizione in versi con la quale Paolino commentava la raffigurazione. Un secondo titulus ricordava la

631 Sulle informazioni desunte dagli scritti di Paolino: RAINEY 2009, pp. 329-330; TESTINI 1986, pp. 213-220. I tre oratori monastici, assieme alle due chiese di S. Felice, costituivano l’insieme di cinque basiliche di cui era dotato il santuario (carme 18, epistola 32).

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Sulla funzione catalizzatrice del santuario, la cui natura cimiteriale ha determinato la denominazione dell’attuale abitato (da Cimiterium, attestato nell’839): EBANISTA 2005, pp. 313-377; EBANISTA 2003, 560-576 .

633 L’ascesa del complesso martiriale e lo sviluppo dell’abitato circostante andava di pari passo con la crisi della città di Nola dove, già a partire dal III sec., si manifestarono i primi sintomi di destrutturazione.

634

Sulla tomba di Paolino, che utilizzava come spalletta la facciata del mausoleo A, EBANISTA 2006, pp. 64-68. Stando a Uranio, in occasione della morte del nolano, come avvenne per Ambrogio, ci furono intense manifestazioni popolari. Il suo culto è attestata nella seconda recensione del Geronimiano (592).

635SPERA 2012(b), p. 277; DE SANTIS 2012, p. 323; FIOCCHI NICOLAI 2002, pp. 166-168, 178-184; PISCITELLI

178 deposizione delle reliquie (cineres, ossa e pulvis contenuti in un’arcula coperta da lastre di porfido) sotto un ben illuminato altare (ep. 32, 17, 19-23, 40-50).

L’ubicazione della basilica paoliniana, presumibile cattedrale, alla quale faceva riferimento anche Gregorio Magno (Libro III), è incerta. Poteva trovarsi nel sito della medievale Collegiata di S. Maria (presso il foro), sotto la cattedrale medievale di S. Pietro (presso le mura), o in luogo della chiesa medievale dei SS. Gervasio e Protasio.

IV.6 - Simmaco, Vigilio, Spes, Massimo. I contesti minori

Il vescovo capuano Simmaco, il trentino Vigilio, il narnese Massimo (376-416) e lo spoletino

Spes (prima metà V), nel tentativo di emulare i propri colleghi più noti ma disponendo di

risorse inferiori e coordinando diocesi meno popolose, si concentrarono su un unico contesto martiriale. La memoria capuana e quella narnese sorsero sui sepolcri dei rispettivi proto-vescovi, Prisco e Giovenale, da poco defunto. Consacrata con reliquie recenti fu anche la basilica trentina dedicata ai martiri anauniesi Sisinio, Martirio e Alessandro, periti nell’opera di evangelizzazione promossa da Vigilio. Spes, il “Damaso umbro” si rese invece protagonista dell’inventio di Vitale nelle campagne della città.

Sorta presso la porta Veronensis (suburbio S), la basilica di Vigilio, entro cui egli stesso fu inumato, era mononave e preceduta da nartece (fig. 656)636.

L’icnografia di S. Prisco, in un cimitero del suburbio O, è invece ignota637

. Stando ai disegni del Granata e del Monaco, la cupola e l’abside erano originariamente decorate a mosaico. Due teorie di otto martiri, affrontate e trasportanti corone, campeggiavano nel catino absidale (fig. 657). Quelli effigiati a sinistra, guidati da Pietro, erano santi romani, mentre al centro e a destra campeggiavano i martiri capuani ricordati nel Geronimiano: Quartus e Quintus,

Lupulus, Priscus, Sinotus, Marcellus, Rufus, Augustinus, Felicita638. Alcuni di essi erano rappresentati, accoppiati, anche nei riquadri della cupola, assieme ad altri martiri campani. Al vescovo Simmaco si deve anche la presunta cattedrale urbana di S. Maria Maggiore, forse santuario devozionale legato al luogo in cui, stando alla tradizione, l’apostolo Pietro e il vescovo Prisco, da lui consacrato, officiavano. La basilica, presumibilmente a cinque navate, fu infatti edificata su un ipogeo scavato nella roccia che, pur non essendo occupato da sepolture, fu rischiarato da lucernari e rinforzato da murature639. L’abside della basilica era decorata con l’immagine della Vergine Nicopea in trono col Bambino, alla cui base correva l’exauguratio: “Sanctae Mariae Symmachus episcopus”.

L’iscrizione che ricordava l’inventio di Vitale (ICI VI) faceva riferimento a un altare, evidentemente parte di una basilica martiriale di cui non si sa nulla (fig. 658)640. La scoperta di Spes dovette fare molto clamore, ma non quanto quella di Vitale e Agricola a Bologna, a cui assistette Ambrogio641. È probabile che le reliquie dei due, prima di essere trasferite nella basilica ricordata da Gregorio di Tours, fossero state inizialmente deposte nella cappella

636 CROSATO 2008, pp. 198-200; ROGGER,CAVADA 2001.

637

Il Geronimiano ricorda che la depositio avvenne sulla via Aquaria. Su S. Prisco, distrutta nel ‘700 per fare posto all’attuale chiesa trinave: EBANISTA 2011, p. 408; FIACCADORI 1992, pp. 145, 160; MIELE 1992, pp. 17-21.

638 Sui mosaici, OTRANTO 2012, pp. 47-48.

639 Sull’edificio, di cui restano colonne di spoglio e frammenti dei mosaici del vescovo Germano (516-541), e la cui dedica fu forse stimolata dalla proclamazione della Theotokos nel Concilio di Efeso (431): SPERA 2012(b), pp. 266-267; BOVA 2002, pp. 21-56; FIACCADORI 1992, p. 160; MIELE 1992, pp. 31-40. In una fase più tarda, la basilica ospitò le spoglie dello stesso Simmaco, a voler dare credito al Monaco. Un’epigrafe del 1729, invece, celebrava le reliquie rinvenute sotto l’altare maggiore, sotterrate da S. Germano.

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Sull’epigrafe, rinvenuta alla fine del ‘500 nella basilica di Terzo la Pieve, laddove si trovava il sepolcro di Vitale: FIOCCHI NICOLAI,SANNAZARO 2012, p. 201; CUSCITO 2012, p. 459.

641 L’inventio avvenne forse nel cimitero rinvenuto presso la chiesa del Crocifisso (MARTORELLI 2012, p. 233). Anche Vercelli, intorno al 360, aveva ottenuto nuove reliquie per iniziativa del proprio vescovo Eusebio, quelle di Teonesto, forse provenienti dall’Oriente

179 tricora con nartece che faceva parte del complesso martiriale di S. Stefano (fig. 659)642. Quest’edificio, forse adiacente il cimitero dei proto-martiri bolognesi, è oggi scomparso ma è rappresentato in un disegno seicentesco643.

La memoria di Giovenale doveva essere più semplice delle altre. Il santo fu deposto a ridosso della parete rocciosa sottostante le mura S/E, in una necropoli tardoantica intensivamente occupata da fosse nel piano roccioso, presso la “porta Superior”, laddove la Flaminia penetrava in città644. Stando alle fonti, il successore Massimo edificò sul sepolcro un sacello funerario, la cui esistenza sembrerebbe indirettamente confermata dalla Vita che, narrando della trafugazione altomedievale delle reliquie, ricorda la distruzione di sarcofagi e mausolei presistenti. Il sacello si trovava laddove ora è l’Oratorio di San Cassio, annesso alla cattedrale, costruito e decorato con materiali di spoglio eterogenei e di diversa cronologia, in parte riconducibili all’antica confessio (fig. 660)645. L’addossamento dell’oratorio a una parete rocciosa conferma le indicazioni delle fonti, secondo cui Giovenale fu deposto in una grotta. La memoria paleocristiana doveva trovarsi in corrispondenza di uno sperone sporgente di alcuni metri dalle mura urbiche. Le sue pareti, di cui si sono conservate l’occidentale e parte della settentrionale, erano state parzialmente intonacate per regolarizzarne le superfici. L’ambiente aveva natura funeraria, come attestano le sepolture rinvenute nell’ambiente I, non sappiamo se venerate. Una cappuccina era scavata nella roccia mentre una fossa si presentava sconvolta, con un fianco costituito da suolo roccioso regolarizzato e l’altro da spalletta in muratura, e con copertura di tegoloni (fig. 661).

642 Sulla tricora e il disegno, tradizionalmente attribuito a Ottaviano Mascherino, PORTA 2012, pp. 125-126.

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MARTORELLI 2012, p. 238

644 Sulla sepoltura di Giovenale, ubicata nell’area della cattedrale romanica e ricordata da Gregorio Magno, nella

passio (post IX) e nella Vita seicentesca: ROMANO,PERISSINOTTO,VAKALIS,DE TURRES,ANGELELLI 1998, pp. 246-288; PANI ERMINI 1998, pp. 85-92 ; MONACCHI 1998, pp. 69-84; PANI ERMINI 1991, pp. 139-151.

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Sulla porta è l’epitaffio del vescovo Cassio mentre l’interno è costituito da un ambiente entro cui fu murato quello di Pancrazio. Un vano comunicante, per buona parte costituito da pareti rocciose, è occupato dal sarcofago altomedievale di Giovenale, entro cui furono collocate le reliquie di ritorno a Narni dopo la traslazione. Un terzo locale, con piano roccioso, si trova tra il sacello e la Cappella della Madonna del Ponte. Lo studio del contesto è stato incoraggiato dai recenti restauri.

180 CAPITOLO V

L’EVOLUZIONE DEI SANTUARI TRA LA FINE DEL IV E LA PRIMA METÀ DEL V SECOLO

La linea dettata dai vescovi delle principali città italiche fu seguita anche negli altri centri, favorita dalla circolazione di reliquie provenienti da luoghi anche distanti, spesso da contatto. Grazie ad esse, fu possibile consacrare nuovi edifici di culto che, come a Roma, formavano anelli santificanti e protettivi. Laddove le risorse erano più contenute, ci si limitò a promuovere un unico santuario.

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 175-180)