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3 - L’oratorio dei Santi Giovanni e Paolo al Celio

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 111-118)

I SANTUARI DI R OMA

V. 3 - L’oratorio dei Santi Giovanni e Paolo al Celio

Alla seconda metà del IV sec., è datato anche un oratorio martiriale intra-muraneo, installato in un precedente edificio residenziale, laddove verrà poi eretto il titulus Byzantis et

Pammachi, la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo al Celio289. Le indagini archeologiche hanno evidenziato, sotto la basilica, una sovrapposizione stratigrafica complessa, con edifici romani, datati tra II e III sec., poi cristianizzati: una domus privata, una casa multipiano, un’insula costituita da botteghe e strutture residenziali, un cortile affiancato da ninfeo affrescato (fig. 282). Nel corso del III sec., alcune di queste strutture furono accorpate in un unico grande complesso residenziale signorile. Sulla volta di uno degli ambienti di questo palazzo, l’Aula dell’Orante, corrispondente ad un ex retro-bottega, il ritrovamento di affreschi cristiani di III-IV sec. (figura femminile orante capite velato, personaggi maschili identificati come apostoli-filosofi, scena simbolica di refrigerio) ha fatto pensare ad una riconversione di parte dell’edificio a domus ecclesia.

Alla seconda metà del IV sec., data l’istallazione della confessio in onore di Giovanni e Paolo, un piccolo ambiente su un pianerottolo rialzato di una scala che conduceva ai piani superiori e sotto la quale, stando alla tradizione, si trovavano i venerati sepolcri (fig. 283)290. Al centro della parete di fondo fu aperta la fenestella confessionis che si affacciava sulle presunte tombe (fig. 284). Le pareti della confessio erano affrescate, originariamente su tre registri, con scene relative alla vita di santi, tra le quali quella di fedeli in proskynesis davanti ad uno dei martiri orante e una rappresentazione violenta di martirio: tre figure inginocchiate e con le mani legate dietro la schiena attendono l’arrivo dei carnefici (fig. 285). Trattandosi di tre

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Assieme a un secondo frammento non iscritto, la lastra fu rinvenuta, nel corso dei vecchi scavi, ca. un metro e mezzo più in basso rispetto alla mensa dell’altar maggiore. Essa fu ritenuta della prima metà del IV sec. da De Rossi (PAPI 2011, pp. 186-187) ma le ipotesi più recenti tendono ad assegnarla ad epoca teodosiana (FILIPPI

2011, p. 110; Christiana Loca, II, 2001, p. 162;TESTINI 1980, p. 196) o a quella di papa Leone I (SPERA 2012, p. 45; BONACASA CARRA 2012, p. 107; DELLE ROSE 2003, p. 106).

289 Sull’oratorio dei SS. Giovanni e Paolo: SPERA 2012, pp. 47-48; SPERA 2012, p. 274; BELARDINI 2003, pp. 49-51; FIOCCHI NICOLAI 2001, pp. 99-100; FILETICI,PAVOLINI,SANTOLINI GIORDANI 2001, pp. 245-246.

290 Stando alla Passio, Giovanni e Paolo furono martirizzati nella loro casa al Celio e ivi deposti. Le versioni più tarde del racconto ricordano che Crispo, Crispiniano e Benedetta, in visita al sepolcro, furono giustiziati.

112 personaggi, si ritiene che la scena alluda alla morte di Crispo, Crispiniano e Benedetta, i santi che la tradizione vuole seppelliti non lontano dalle spoglie di Giovanni e Paolo; anche l’affresco che rappresenta un arresto da parte delle autorità, peraltro, raffigura tre persone, e non due (fig. 286)291. La chiesa dei SS. Giovanni e Paolo fu costruita da Pammachio intorno agli inizi del V sec., occupando il primo piano dell’insula e parte della domus privata.

La confessio celimontana, in definitiva, o rappresentava una singolare eccezione nell’ambito del panorama romano tardoantico, contraddistinto dall’esclusiva presenza di santuari suburbani, oppure non ospitava realmente le tombe dei santi, come voleva la tradizione, ma solamente delle loro reliquie rappresentative. In alternativa, si potrebbe immaginare che il luogo di culto fosse legato alle vicende terrene di Giovani e Paolo, costituendone l’antica residenza o il luogo in cui furono giustiziati.

L’oratorio celimontano non costituisce l’unico caso storicamente documentato di santuario intramuraneo di epoca tardoantica. A parte le basiliche ricordate dagli Itinerari sulle tombe di alcuni santi, che potrebbero datarsi all’Altomedioevo, come quelle di Taziana sul Quirinale e Bonifacio sull’Aventino, il Liber Pontificalis (I, p. 249) attribuisce all’iniziativa di papa Simplicio la costruzione di una chiesa sul corpo di Bibiana, presso la porta Tiburtina292. La presenza di quest’ultimo edificio in ambito urbano è stata spiegata variamente: la sepoltura venerata si trovava in una necropoli anteriore alle mura aureliane; reliquie rappresentative erano state deposte in un’abitazione privata, come indicherebbe la passio; un cimitero s’installò precocemente in uno spazio che si avviava alla destrutturazione293

.

291 Sulla decorazione pittorica: BISCONTI 2012, pp. 362-363; BISCONTI,MAZZOLENI 2005, pp. 48-49.

292 Sugli altri santuari urbani: SPERA 2012, p. 47; SPERA 2012, (b), pp. 237-274.

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113 CAPITOLO VI

LO SVILUPPO DEI SANTUARI TRA LA FINE DEL IV E IL V SECOLO

A partire dai primi decenni del V sec., e fino alla metà del VI, come lasciano intravedere le fonti epigrafiche, l’occupazione funeraria delle catacombe cede il passo ad una più intensa utilizzazione delle basiliche martiriali294. È evidente che, in questa fase, prenda corpo la convinzione che la celebrazione eucaristica possa beneficiare al defunto come, se non più, della classica sepoltura ad sanctum. Agostino e Gregorio Magno, non a caso, sottolineavano l’importanza della preghiera per l’anima dei trapassati.

In ambito ipogeo, le uniche sepolture di nuova realizzazione sono quelle che trovarono posto presso le tombe venerate, con un esplosione del fenomeno delle sepolture ad sanctos immediatamente successiva agli interventi di Damaso295.

VI.1 - Le catacombe

I lavori in catacomba, dopo i grandiosi interventi di Damaso, furono piuttosto limitati. In alcuni casi furono finalizzati alla predisposizione di ambienti confessionali legati alla deposizione tardiva di nuove reliquie, traslate da luoghi lontani da Roma. In altri, indirizzati alla cura e manutenzione dei santuari già esistenti, o al restauro di quelli danneggiati da terremoti o guerre.

vi.1a - Traslazioni di nuove reliquie

Tra la fine del IV e il V sec., si registrano deposizioni tardive di reliquie provenienti dall’estero: dei Martiri Greci sull’Ardeatina; dell’africano Panfilo nell’omonima catacomba; del persiano Milix e del pannonico Pollione nel cimitero di Ponziano; dei Quaranta martiri di Sebaste e dei pannonici Quattro Coronati ad duas Lauros; del vescovo africano Cipriano a S. Callisto; del vescovo di Siscia Quirino, in un mausoleo del cimitero di S. Sebastiano, del protomartire Stefano, in una basilica sulla via Latina (fig. 287)296. Questi santi erano solitamente ricordati a Roma negli Itinerari mentre le fonti più antiche, in Geronimiano in particolare, li associavano a contesti provinciali.

Il culto di questi santi, nei diversi contesti, era forse determinato dalla presenza di fruitori loro conterranei, come dimostra la frequentazione del mausoleo di Quirino da parte di pannonici, documentata da un’iscrizione funeraria (ICUR V 13355)297

. Il fatto che in alcuni casi il culto si fosse installato in piccoli ambienti pre-esistenti depone a favore di una loro primitiva fruizione “privata”.

Il cubicolo doppio f-g voltato a botte del cimitero di Panfilo, lungo una delle arterie principali, risale alla metà del IV sec. ma fu interessato dal culto del santo eponimo a partire dalla metà di quello successivo, in concomitanza dell’arrivo delle reliquie dall’Africa durante le persecuzioni vandaliche. La cassa-reliquiario di Panfilo fu deposta nel preesistente arcosolio bisomo della parete di fondo, mediante un’apertura appositamente realizzata, laddove fu

294

Sugli utilizzazione funeraria del suburbio tra V e VI sec., NIEDDU 2003, pp. 545-596.

295 Sugli interventi di V sec. sulle tombe venerate: BONFIGLIO 2013; PERGOLA 2002, pp. 98-101, 108-239; BISCONTI,MAZZOLENI 2005, pp. 25-61; FIOCCHI NICOLAI 2001,pp. 113-114, 131-134; SPERA 1998, pp. 70-72; FIOCCHI NICOLAI,BISCONTI,MAZZOLENI 1998,p. 59; MAZZOLENI,BISCONTI 1992, pp. 70-91.

296

Sul culto dei martiri stranieri, NIEDDU 2008, pp. 351-376. Per “stranieri” s’intendono i martiri morti e sepolti lontano da Roma, presso cui giunsero reliquie reali o rappresentative solo in un secondo momento. Come già metteva in evidenza Damaso, infatti, i santi non italici giustiziati nell’Urbs ne avevano acquisito automaticamente la “cittadinanza” (ED, pp. 188-189, n. 46, 3; p. 195, n. 48; pp. 142-143, n. 20, 4-6).

297

114 addossato il tardo altare (fig. 288)298. Il nuovo santuario, raggiungibile da un iter originato da uno scalone, fu ristrutturato: lastre marmoree di spoglio furono stese sul pavimento (figg. 289-290) mentre la parete di fondo fu forata per sostenere ganci di lampade. In concomitanza di queste trasformazioni, l’iscrizione dei fondatori del cubicolo gentilizio (ICUR X 26460), posta sopra l’ingresso, fu rimossa299. L’interesse dei fedeli per questa confessione si manifestò presto: tombe privilegiate occuparono il pavimento, mentre alcuni graffiti con nomi e invocazioni furono tracciati sulle pareti (fig. 291). Uno di essi, minutissimo, era dedicato proprio a Panfilo (s(an)c(tu)s Panfilu) (ICVR X 26317) e consentì l’identificazione dello spazio confessionale.

Nel cimitero di Ponziano, non lontano dall’ingresso e dal cd. battistero, furono traslate le reliquie del martire pannonico Pollione, in un arco cronologico compreso tra il 431 (il Geronimiano lo ricorda ancora a Cibali) e il VI sec., quando una sua raffigurazione pittorica fu realizzata. La deposizione avvenne probabilmente in un deposito all’estremità di una galleria, poi sbarrata dal muro trasversale occupato dal più tardo affresco, da una fenestella

confessionis e dai graffiti devozionali300.

In luogo della più tarda basilica loro dedicata, nel cimitero di Balbina, furono inumati, in seconda deposizione, i cosiddetti Martiri Greci, nell’ambito del tardo IV secolo. A questo periodo, infatti, risale l’ambulacro cimiteriale ove si trovava, nei pressi della scala d’ d’accesso collegata al sopraterra, la loro sepoltura multipla (fig. 292). Essendo essa stata inglobata nel più tardo altare della basilica ipogea, è difficile ricostruirne l’assetto originario. Sembra, tuttavia, che si trattasse di un arcosolio ricavato sulla parete di fondo di un nicchione, sotto il quale era un’altra deposizione, intaccata da una tomba a forno, nel cui piano del loculo fu ricavata un’ulteriore piccola sepoltura coperta da una mezza cappuccina. Dall’iscrizione commemorativa dei Martiri Greci (ICUR IV 12520), forse originariamente posta sulla loro tomba, si ricava che i santi, sepolti al I miglio della via Appia secondo la passio (VI sec.), fossero cinque301.

I culti di massa anonimi attestati negli Itinerari potevano, talvolta, essere determinati dall’arrivo di reliquie straniere. Nel cimitero dei SS. Marcellino e Pietro è probabile esistessero due santuari di questo tipo, oggetto di venerazione tra la fine del IV sec. e gli inizi del V. Gli Itinerari (VZ II, pp. 83, 113, 146) e il Martirologio Geronimiano (pp. 8, 156), in particolare, fanno riferimento a due nuclei di trenta e quaranta martiri, il secondo forse riconducibile al gruppo di Sebastia302. Il cubicolo quadrangolare Cs, intensamente occupato da loculi, sembra legato alla venerazione dei Trenta poiché al suo interno, quasi al centro, era una cassa in muratura con cavità ad imbuto nella parte superiore, forse ricettacolo di reliquie, illuminata dal soprastante lucernario e circondata da sepolture di devozione (fig. 293)303.

298 Sul santuario di Panfilo, santo ignoto nelle fonti anteriori gli Itinerari: NIEDDU 2008, pp. 352-356; GRANELLI

2006, p. 162. Un secondo foro sulla parete di fondo, decentrata rispetto all’arcosolio, fu realizzata in un momento successivo, forse per asportare le reliquie.

299

Proprio quest’epigrafe, contraddistinta da caratteristiche tipicamente africane, induce a ritenere che tra i Panfilo stranieri ricordati dal Geronimiano, il nostro provenisse proprio dal continente nero.

300 Sul santuario di Pollione: NIEDDU 2008, pp. 364-367; RICCIARDI 2006,p. 215. Reliquie rese fruibili da una parete munita di fenestella non erano inusuali nol panorama paleocristiano di Roma, come dimostra il caso dei SS. Giovanni e Paolo al Celio, la basilica pelagiana di S. Lorenzo e il riferimento di Gregorio di Tours ad un organismo analogo nel santuario di Crisanto e Daria.

301 Sui Martiri Greci: BONFIGLIO 2013, P.141; PERGOLA 2002, pp. 208-210; FIOCCHI NICOLAI 1996, pp. 134-135.

302

L’Itinerario malmesburiense, facendo riferimento a un gruppo di soldati, è probabile che si riferisse proprio ai santi di Sebaste, la cui vicenda è ricordata dalla passio (NIEDDU 2008, p. 356) .

303 BONFIGLIO 2013, p. 120. NIEDDU 2008, pp. 356-358 e PERGOLA 2002, p. 166, avevano erroneamente riconosciuto, in quest’ambiente, il santuario dei martiri di Sebaste, portato alla luce solo di recente. Le prime proposte d’identificazione in GUYON 1987, pp. 404-406.

115 L’ambiente, inoltre, era in collegamento con il deambulatorio della basilica circiforme per mezzo di una scala, a sua volta interessata da graffiti (ICUR VI 15954).

Il polo legato ai martiri Sebaste, come hanno messo in evidenza recenti ricerche, si sviluppò in una zona di poliandri preesistenti al cimitero, in un ambulacro all’uopo allargato (X53), valorizzato da mensa oleorum, e posto in comunicazione con l’iter damasiano (fig. 294)304. Sulla parete Nord di questa galleria, una piccola apertura rettangolare, sottoposta a successive manomissioni e riparazioni, doveva costituire lo scrigno delle reliquie (fig. 295), a cui sembrerebbe riferirsi la didascalia (scri / [ni]um) (fig. 296) che si legge sul soprastante affresco (VI-VII) illustrante proprio l’ammissione al novero dei santi di un gruppo di persone, forse i martiri armeni. In fase con il deposito reliquiario, era la prima stesura pittorica della parete: zoccolatura con crustae marmoree nella parte più bassa, presunta decorazione floreale ai lati dell’apertura quadrangolare (fig. 297).

Pare che non fosse legato alla deposizione di reliquie il culto del vescovo-martire cartaginese Cipriano, attestato dalla Depositio Martyrum sia in Africa che nel cimitero di S. Callisto305. La sua rappresentazione pittorica nel cubicolo di Cornelio (VII sec.) e il fatto che il De Locis (II, p. 111) li ricordasse sepolti insieme si spiega considerando il forte legame che univa i due vescovi, documentato dalla produzione epistolare di quello africano.

Se nuovi culti si diffondono nel V sec., altri invece sono completamente abbandonati. Mi riferisco a quello di Novaziano, soppresso nel corso della repressione novazianista da Innocenzo I (401-417) e Celestino I (422-432). La traslazione delle reliquie, forse a Costantinopoli, determinò la violazione della sepoltura, la sua colmatura da interri e il conseguente abbandono del cimitero306. In realtà, poco prima di questo evento, è probabile che la tombe fosse stata anche abbellita mediante l’apposizione di un’epigrafe marmorea in luogo dell’iscrizione dipinta (è testimoniata dalla stesura preparatoria in malta) dalla stesura di decorazioni a mosaico di cui si conserva qualche traccia e nella sistemazione di un’adiacente pilastrino intonacato e munito di ripiano marmoreo307

. vi.1b - Le basiliche ad corpus

Anche nella catacomba di Massimo, la costruzione di una basilichetta ipogea fu propiziata dalla deposizione di reliquie. Mi riferisco a quelle di Silano, forse ritrovate da Innocenzo I (402-417) dopo la trafugazione dei novazianisti avvenuta nella prima metà del IV secolo. Se non si deve all’iniziativa di questo pontefice, fu il suo successore Bonifacio (418-422), a cui è attribuito l’abbellimento del sepolcro venerato (LP I, p. 227), a commissionare l’edificio di culto. L’altare che conteneva le reliquie, non centrato, nacque forse dal risparmio della roccia presso la quale esse si trovavano prima del trafugamento ed era decorato con transenne marmoree308. Un sistema di scale di discesa e risalita consentiva la fruizione del santuario. Gli archi trasversali su pilastri addossati alle murature della basilica sottendono l’esistenza di un edificio soprastante, forse la chiesa ad aperto cielo di Felicita voluta da Bonifacio309.

A papa Siricio, come abbiamo visto, si deve probabilmente la basilica semi-ipogea di Nereo e Achilleo, la cui abside inglobò il ciborio di Damaso. L’edificio aveva tre navate separate da quattro colonne di spoglio ed endonartece munito d’ingresso all’estremità meridionale,

304 Sul santuario dei martiri di Sebaste, GIULIANI 2012, pp. 399-411.

305 ROCCO 2008, pp. 367-369

306 BONFIGLIO 2013, pp. 92-93

307

ROCCO 2008, pp. 333-334

308 Sul santuario di Silano, BONFIGLIO 2013, p. 40. BISCONTI 2006, p. 61, ritiene la basilicula anteriore al 390 perché a questa data risale l’epigrafe di Costantia, sepolta ad sancto(rum) (lo)cum (ICUR VIII 23425). Bonifacio si sarebbe limitato a decorare il sepolcro (LP I, 227).

309

116 collegato direttamente col sopraterra (figg. 298-299)310. Le preesistenti strutture condizionarono la regolarità dell’impianto, caratterizzato da navate divergenti, abside non centrata e forma trapezoidale.

vi.1c - Gli interventi di pontefici, presbiteri e aristocratici

Se si escludono le due basilche ipogee, i restauri dei preesistenti santuari furono limitati all’apporto di nuovi partiti decorativi, arredi scultorei e cicli affrescati. Ad attestarlo sono i ritrovamenti archeologici ma anche le informazioni desunte dal Liber Pontificalis. Le fonti epigrafiche, invece, documentano la notevole importanza acquisita in questo periodo dall’evergetismo aristocratico311. All’epoca di Siricio, è ancora possibile documentare una preponderanza del ruolo dal pontefice. Egli si fece forse promotore di lavori nel santuario di Agnese, poiché nel suo retrosanctos è stato rinvenuto un monogramma che, pur ricordando il

labarum costantiniano, riporta l’iscrizione “In hoc signum Sirici [vinces]” (fig. 300)312. Si tratta di un pezzo di marmo traforato, colmato, negli spazi vuoti, da pasta vitrea di colore verde, e mancante di parte del lato destro. Modifiche piuttosto consistenti interessarono il santuario di Cornelio a S. Callisto. Siricio appose sotto il sepolcro un epigrafe, che ricordava generici restauri della confessione, forse il completamento dei lavori avviati da Damaso313. Una migliore accessibilità dello spazio confessionale fu poi garantita da due nuove scale volute da Leone Magno. Anche per le tombe di Felice e Adautto, gli interventi di un certo prete Felice, alla fine del IV sec., sono attestati dai frammenti di un’iscrizione (ICVR II 6017) (fig. 301).

Particolarmente attivo fu anche Papa Sisto III (432-441), che fece apporre un’iscrizione sopra l’ingresso della Cripta dei papi (ICUR IV 9516), con l’elenco dei santi ivi deposti (LP I, p. 234), di cui si conservano gli incassi. Quindi, reintegrò la decorazione in argento e porfido del santuario di Lorenzo (LP, I, p. 233), dove trovò sepoltura assieme ad altri due pontefici di V sec., Zosimo (417-418) e Ilaro (461-468) (LP I, pp. 225, 235, 245). I tre sepolcri, che non sono ricordati dagli itinerari, probabilmente scomparirono in seguito ai grandiosi lavori di Pelagio. La confessione del protomartire dovette essere nuovamente danneggiata, se Anastasio II (496-498) dovette intervenire nuovamente per ristrutturarla (LP I, p. 258). Per restare in ambito ecclesiastico, risalgono forse al pontificato di Gelasio (492-496) i lavori di restauro promossi da un certo presbitero Leone, nel santuario di Ippolito (ICVR VII 19936). A partire dal V sec., la committenza dei lavori di restauro compete frequentemente a fedeli particolarmente facoltosi. Risalgono agli inizi di quest’epoca, i lavori approntati nel

Coemeterium Maius, presso la confessione di Papia e Mauro: costruzione di murature atte a

rafforzare le pareti della scala, nicchia semicircolare di fronte al sepolcro entro cui fu vista l’immagine di cinque personaggi stanti ed edificazione di un arcosolio sormontato da nicchia rettangolare sulle tombe venerate314. Il finanziamento dei lavori fu rivendicato da un’evergeta, poiché la transenna che forse chiudeva l’incavo di una grossa nicchia rettangolare sopra i sepolcri santi, rinvenuta in frammenti, costituiva un ex voto di Patricia (fig. 302). Vi sono iscritti i nomi dei santi locali Alessandro, Vittore, Mauro, Papia e Felice: “[Alexa]ndro

Victo[ri Mau[ro Papie et Felici Patricia [- - - vot]um solvit” (ICVR VIII 21592).

Un’iscrizione rinvenuta ai piedi della scala A ricordava la loro festa (ICVR VIII 21590).

310

Sulla basilica di Nereo e Achilleo:BISCONTI,MAZZOLENI 2005, p. 47; PERGOLA 2004, p. 206; BELARDINI

2003, pp. 111-112; FIOCCHI NICOLAI 2001, pp. 123-124; PERGOLA 2002, p. 314; SPERA 1998, pp. 50-51.

311 Sull’evergetismo aristocratico:SPERA 2012,pp. 42-45; MAZZOLENI 2012, p. 504; SPERA 1998, pp. 70-72.

312 Sul monogramma di Siricio, Christiana Loca, II (2001), pp. 108-109. È meno probabile che il frammento scultoreo fosse pertinente ad una struttura funeraria di qualche tipo poiché la sepoltura del pontefice è tradizionalmente ubicata nel cimitero di Priscilla (LP I, p. 216).

313 SPERA 2004 (b), p. 42, attribuisce anche quest’iscrizione ad epoca damasiana.

314 Il soggetto connotato come vescovo potrebbe essere riconosciuto in Vittore. Sugli interventi di valorizzazione della confessione, NIEDDU 2006 (b), pp. 14-15.

117 Numerosi erano gli ex-voto donati ai santuari da fedeli particolarmente devoti. Un certo Marcellino, intorno agli inizi del V sec., offrì un “abacus”, forse una mensa, per la tomba di Alessandro nel cimitero dei Gordiani, quale ringraziamento per una guarigione ottenuta con l’aiuto del martire (ICVR IX 24312) mentre una mensola in marmo presso la tomba di Callisto costituiva un ex voto di un tale Alfius (fig. 303). Dallo stesso contesto, proviene un’epigrafe pseudo-damasiana, di cui è stato trovato un frammento, recante “[mart]yr

Ca[llistus]”. Un'altra iscrizione marmorea, in caratteri semifilocaliani, rinvenuta nel cimitero

al VII miglio dell’Ostiense, essendo integrabile col nome di Ciriaco, lascia presupporre interventi di restauro alla sua memoria sul finire del IV secolo. Il presbitero Vincenzo, anche in questo caso è un’iscrizione a documentarlo (ICUR II 15762), promosse lavori sulla tomba subdiale di Gordiano, mentre doni non specificati, tra IV e V sec., furono offerti al sepolcro di Castulo da un certo Venerio, per aver superato l’ira di un nemico (ICUR VI 15894). L’epistilio marmoreo con l’iscrizione “[mar] tyre Agneti Potitus serbus Dei ornavit” (ICUR VIII 20758) doveva essere in connessione con un piccolo ciborio su uno degli altari dedicati alla santa della Nomentana. Come accadeva in ambito ipogeo, anche i sepolcri inglobati dalle basiliche potevano essere oggetto di restauro.

Di particolare impegno furono i lavori alla confessione di Sebastiano315. Due presbiteri del

titulus Byzanti, Proclino ed Urso, sotto il pontificato di Innocenzo I (401-417) decorarono con

transenne marmoree il sepolcro. Il recinto era sormontato da una mensa in porfido recante l’iscrizione commemorativa dei due fedeli (ICUR V 13122)316

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 111-118)