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2 - Evoluzione delle pratiche rituali tra età romana e Cristianesimo

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 55-58)

Quando i cristiani dovettero predisporre una liturgia che fosse consona all’adorazione delle spoglie dei martiri non esitarono a rielaborare tradizioni già consolidate. Sin dall’inizio, tuttavia, ci si pose il problema d’individuare i riti a cui fosse lecito attingere e il modo adatto per ricontestualizzarli senza cadere nell’idolatria.

97 Sul rapporto tra il culto dei martiri e quello degli eroi:TARQUINI 2005,p. 29; CANETTI 2002, pp. 43-44, 79, 143, 148;KRAUTHEIMER 1986, p. 20; BROWN 1983, pp. 13-14; TESTINI 1980, p. 89; ZOVATTO 1965, p. 13.

56 iv.2a - Il rifiuto del paganesimo

Costantino, al momento del suo primo ingresso a Roma (29 ottobre 312), aveva messo in crisi il tradizionale sistema di valori del Paganesimo rifiutando d’ascendere al tempio di Giove Ottimo Massimo, pur avendo visitato i luoghi tradizionalmente legati alle cerimonie degli

adventa imperiale. Questo rifiuto metteva in evidenza la rottura tra esercizio del potere

politico e pratica del sacerdozio che, sin dell’età repubblicana, erano stati assolti in forma congiunta dai magistrati e, a partire da Augusto (assunse la carica di Pontefice Massimo), dagli imperatori. La visita alla basilica di Pietro che i successori di Costantino, e finanche Alarico durante il saccheggio del 410 e Totila dopo la conquista del 546, non mancarono di effettuare, dimostra che nell’Urbs si erano create nuove polarità98

. Già Girolamo, infatti, notava che: “Il Campidoglio dorato diviene sudicio per l’incuria; la fuliggine e le ragnatele hanno ricoperto tutti i templi di Roma. La città si sposta dalle sedi che le sono proprie e il popolo romano, riversandosi per i templi semidiroccati, accorre alle tombe dei martiri” (Lettere 107, 1). A tal proposito, la contrapposizione tra la spiritualità cristiana e il paganesimo demoniaco era manifesta in buona parte della produzione agiografica contemporanea e, in particolare, nel

Peristephanon, dove la grandezza di Roma viene accresciuta dal sacrificio dei martiri.

Col consolidamento del Cristianesimo, vescovi e teologi dovettero adoperarsi per estirpare le usanze pagane, e condannare i refrigeria. In alcuni casi, s’intervenne a livello normativo, come dimostrano il Codice Teodosiano e i decreti del Concilio di Elvira (inizi IV), che comminavano dure penitenze ai cristiani colpevoli d’aver partecipato in veste di flamines municipali o sacerdotes provinciali a giochi e riti pagani. Una dura battaglia, in particolare, fu combattuta contro la pratica dei sacrifici, ancora persistente nel V sec. in ambito rurale, al punto che Massimo di Torino sosteneva che: “Dovunque si girasse, uno non poteva che vedere altari, auguri pagani, e teste di pecore appese alle porte delle case” (Sermo 91, 25-30).

iv.2b - L’influenza della tradizione romana sul culto dei santi

A dispetto dell’avversione per alcune forme cultuali, i Cristiani non esitarono a rielaborare le tradizioni pagane quando dovettero predisporre le proprie liturgie martiriali. In alcuni casi esse non erano proprio ortodosse. Paolino di Nola (Carm. XX), Gregorio di Tours (Lib. in

gloria mart. 96) e Gregorio Magno (Reg. Ep. XI, 56) attestano l’usanza, in alcune comunità

già cristianizzate, di offrire carni immolate ai santi, con l’intento d’assicurarsene il favore99. D’altronde, l’associazione tra olocausto e eucaristia (o reliquia) e, conseguentemente, tra ara pagana e altare cristiano, dovevano apparire immediati.

I punti di contatto tra le culture pagana e cristiana sono evidenti anche in ambito letterario. Negli Acta, ad esempio, le esecuzioni acquisivano una connotazione diversa poiché nell’ottica cristiana tutto appartiene a un piano trascendente avente un significato salvifico: i criminali condannati sono martiri, la loro morte è una vittoria, l’impresario dei Ludi non è un magistrato ma Dio e così via dicendo.

Non sempre il richiamo all’antico si palesava in modo netto. I rituali di elevatio e traslatio, ad esempio, erano debitori di una tradizione che prevedeva forme esteriori apparentemente differenti, ma simili nella sostanza. Il rito dell’elevatio (esumazione che sanciva la santificazione) ricalcava la consecratio, la “consacrazione” dell’imperatore per mezzo del

funus imaginarium, il rogo dell’immagine di cera successivo all’incinerazione del cadavere.

Si trattava, in entrambi i casi, di “seconde esequie”, aventi lo scopo di glorificare un personaggio per mezzo dei suoi resti mortali o della loro riproduzione. Anche i racconti di

traslationes sembrano ricalcati sul modello narrativo romano. Numerose narrazioni di assedi

contenute nelle fonti (Livio, Servio, Plinio, Valerio Massimo, Macrobio) furono risolte a

98 Giovanni Crisostomo documenta un fenomeno analogo per quanto riguarda i martyria costantinopolitani. Sull’ingresso di Costantino a Roma, FRASCHETTI 2000, pp. 310-319. Sul difficile tentativo di conciliazione tra riti pagani e cristiani: BOESCH GAJANO 2012, pp. 6-7;CHAVARRIA ARNAU 2009, pp. 167-157.

99

57 seguito dell’evocatio del nume tutelare della città nemica. In cambio della promessa di un culto più intenso, la divinità straniera acconsentiva al trasferimento, manifestando la propria volontà. Così, ad esempio, la statua di Giunone regina si rese più leggera per essere più facilmente trasportata dai Romani (opportunamente purificati) che, in occasione della presa di Veio del 396, avevano promesso alla dea un tempio degno della sua grandezza. Le somiglianze tra questo genere di testi e le traslazioni medievali sono molteplici: competizioni tra comunità (talvolta si trattava di guerre); diffusione su larga scala di un determinato culto (determinava gelosie reciproche); carattere collettivo del furto (portava benessere all’intera comunità); condizioni di crescita demografica, economica e politica delle città che gestivano il trasferimento (cercavano di accrescere il proprio prestigio per mezzo dell’acquisizione di un culto importante); movente del furto (si radicava in una situazione di particolare emergenza); autorevolezza dei committenti, che avevano la facoltà di manomettere la statua/reliquia; presenza di manifestazioni performative (leggerezza, prodigi, miracoli); accoglienza trionfale (l’arrivo di reliquie in città richiamava l’adventus imperiale).

Il “riutilizzo” di simboli e riti determinò il curioso sincretismo con temi mitici greco-romani. Il motivo del guerriero che sconfigge il mostro, simbolo del male, esteriorizzato nella vittoria di S. Giorgio sul drago, sembra ricalcare le battaglie tra Eracle e l’Idra di Lerna o tra Perseo e la Medusa. Anche il culto dei santi medici Cosma e Damiano non è del tutto originale perché già ai Dioscuri, gemelli anch’essi, erano attribuiti poteri terapeutici. Il rituale stesso dell’incubatio, consistente nel trascorrere la notte nel santuario affinché la divinità potesse manifestare le proprie capacità taumaturgiche, caratterizzava sia i culti di Asclepio e di Castore e Polluce che quello dei santi guaritori. Ad altri due fratelli, ben più importanti, erano paragonati Pietro e Paolo, rifondatori dell’Urbs cristiana; l’attributo di nova sidera, loro conferito negli elogi di Damaso e nel Liber Pontificalis (I, p. 212), infatti, connotava tradizionalmente Romolo e Remo. Le funzioni sacre legate alla fecondità e spesso attribuite alla Vergine, infine, sembrano derivare dagli antichi culti di Hera e Persefone100.

Anche l’idea della reliquia intesa come pignus con funzioni apotropaiche affonda le proprie radici nel mondo ellenistico-romano e, in particolar modo, nelle tradizioni confluite nella letteratura augustea sulle “sette cose fatali”, i pignora imperii garanti della salvezza di Roma: l’ago della madre degli dei; la quadriga di creta dei Veienti; le ceneri di Oreste (erano reliquie in senso stretto); lo scettro di Priamo; il velo di Ilione; i dodici scudi Ancili; il Palladio101. In merito ai rapporti tra religiosità e fenomeni naturali, le feste cristiane, basate sui dies

natalis, erano meno legate che in antico ai cicli stagionali di morte e rinascita della natura e ai

culti presso grotte, fonti e alture. Ciò nonostante, il fatto che la Madonna del Granato di Capaccio Vecchia abbia ereditato tutti gli attributi dell’Hera venerata alla foce del Sele, compresa la melagrana, e che S. Michele abbia conservato determinate caratteristiche legate alla signoria sulle forze delle natura (al punto da essere venerato in grotta), attesta che, anche in quest’ambito, la cesura tra Paganesimo e Cristianesimo non fu netta102

. iv.2c - L’evoluzione dei calendari

La dicotomia tra rispetto dei cicli della natura e adozioni di nuove festività ad essi estranei si riscontra chiaramente nell’evoluzione dei calendari. Nel segno della continuità si colloca la celebrazione della conversione di Sauro, la festa di S. Paolo dei Segni (25 gennaio), considerato una sorta di capodanno contadino perché strettamente legato all’agricoltura; si credeva, infatti, che le condizioni meteorologiche di quel giorno potessero influenzare il raccolto. La ricorrenza della nascita di S. Giovanni (caso unico di celebrazione della nascita fisica di un santo), invece, corrisponde nel calendario proprio al solstizio d’estate (24 giugno),

100 Sul sincretismo dei pantheon: NIOLA 2007, pp. 56, 110-112, 126; TARQUINI 2005, pp. 25-26.

101 CANETTI 2002, pp. 114-116

102

58 mentre la festa di Natale, già celebrata dai romani come Natalis Solis Invicti, cade in quello d’inverno. Il calendario cristiano, quindi, collocava le nascite di Gesù e Giovanni in due date astronomiche fondamentali, già legate al culto del sole. Non è un caso che proprio il Battista, riferendosi alla venuta del Messia, abbia profeticamente alluso: “Egli deve crescere, io invece diminuire103

.

In altri casi, le feste cristiane sostituivano ricorrenze pagana con le quali avevano evidenti contatti. Nel calendario di Polemio Silvio (redatto intorno alla metà del V sec., registrava congiuntamente ricorrenze cristiane e precristiane) il 24 marzo era il giorno del Natalis

calices, celebrazione dell’eucaristia, in sostituzione delle feste della Magna Mater (24-28

marzo) durante la quale i devoti della divinità si flagellavano facendo sgorgare grandi quantità di sangue. La celebrazione della depositio di Pietro e Paolo del 22 febbraio, il natale Petri de

cathedra, invece, era giustapposta alla cerimonia romana della cara cognatio. Entrambe

prevedevano un banchetto: “Ci fu infatti consuetudine tra i vecchi pagani di allestire banchetti ogni anno, in un certo giorno del mese di febbraio presso le tombe dei loro parenti, banchetti che di notte consumavano i demoni, mentre se ne deduceva in maniera non meno falsa che ridicola che fossero le anime a riconfortarsene. Credevano infatti che quei banchetti fossero consumati dalle anime che vagavano intorno alle tombe. I cristiani stentavano ad estirpare una simile consuetudine e l’errore di questa falsa credenza. Quanto i santi uomini se ne accorsero, volendo che quella consuetudine si estinguesse fino in fondo, istituirono la festa della cattedra di san Pietro […], in quel medesimo giorno in cui i pagani compivano quei riti esecrandi […]. Così anche da quei banchetti questa festa fu chiamata la (festa) dei banchetti del beato Pietro”.

Agli attacchi di Fausto e dei manichei, che accusavano la Chiesa di utilizzare gli stessi rituali pagani, Agostino ribatteva che era la religio a richiedere signa e sacramenta. Solo il modo in cui erano utilizzati (per il bene della comunità o a scopi privati) poteva o meno determinarne l’ammissibilità. Come i riti cristiani si fossero cristallizzati dopo il 313 è palesato nei racconti agiografici104. La sconfitta del paganesimo era rappresentata, a livello dottrinario, dal tracollo della sua ritualità e dalla presa in carico dei suoi elementi essenziali da parte della nascente spiritualità cristiana.

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 55-58)