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5 - San Pietro in Vincoli

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 129-135)

I SANTUARI DI R OMA

VI. 5 - San Pietro in Vincoli

Il complesso rinvenuto sotto la basilica dei SS. Giovanni e Paolo al Celio non costituisce l’unico caso di santuario urbano archeologicamente attestato. Menzionato per la prima volta nel 431 come ecclesia Apostolorum, il titolo legato alla prigionia di Pietro è anche detto ad

vincula sancti Petri Apostoli (fig. 378). L’edificio paleocristiano, che conserva tuttora le

catene della prigionia petrina (fig. 379), peraltro ricordate nell’iscrizione musiva dell’abside (ILCU 1781) è stato rinvenuto sull’Esquilino, non lontano dal posto in cui si pensa fosse la Prefettura Urbana, teatro di tanti processi ai martiri378. Su strutture residenziali di epoca romana, la prima basilica (fine IV-inizi V) era absidata, trinave e con facciata aperta da cinque arcate (fig. 380); sulla facciata interna correva l’iscrizione dedicatoria (IC II, p. 110, n. 66). Come attesta una seconda epigrafe tradita da Silloge (ILCU 1779), all’epoca di Sisto III (432-440) risale la ristrutturazione del complesso, resa necessaria da gravi dissesti. Essa fu affidata al presbitero Filippo e finanziata da Licinia Eudossia, figlia di Teodosio II ed Elia Eudocia, imperatori d’Oriente. A questa fase risalgono diverse trasformazioni, le più importante delle quali sono costituite dall’aggiunta del transetto (fig. 381) e dalla realizzazione di un portale a triplice arcata sul perimetrale destro, forse collegato ad un battistero (figg. 382-383).

377 Il monastero sull’Appia doveva trovarsi a Nord della basilica (NIEDDU 2009, pp. 379-380).

378 Sulla basilica di S. Pietro in Vincoli: BARTOLOZZI CASTI 2003, pp. 65-67; Christiana Loca, II (2001), pp. 192-196. Sulle epigrafi, in particolare,CUSCITO 2012, p. 465.

130 CAPITOLO VII

I SANTUARI ROMANI ALLA FINE DELL’ANTICHITÀ

Gli inizi del VI sec. sono segnati dall’attività di papa Simmaco (nel Liber Pontificalis è definito “costruttore di chiese”) che, sostenuto probabilmente da Teodorico, s’impegnò in un’azione di promozione dei santuari ipogei mediante il restauro dei contesti fatiscenti e l’edificazione di nuovi edifici di culto e di servizio (LP I, pp. 261-263). I suoi successori, invece, dovettero far fronte ai danni causati dalla guerra portata in Italia dai Goti (durante gli assedi predisposero i campi militari proprio lungo la fascia suburbana), intervenendo nel restauro degli edifici danneggiati e in rovina.

Alla fine dell’Antichità, la frequentazione delle catacombe avveniva quasi esclusivamente a scopo devozionale, per cui interessava principalmente le aree occupate dai santuari379.

VII.1 - Le catacombe

A partire dal VI sec., la promozione del culto dei santi in ambito ipogeo determinò lo sviluppo degli itinera ad sanctos, i percorsi di visita che, avviati da Damaso, conducevano in modo semplice ed agevole alle tombe venerate. Essi furono rafforzati per mezzo di murature, rischiarati dall’apertura di nuovi lucernari e dall’intonacatura delle pareti e, caratteristica di questo periodo, resi unidirezionali per mezzo dello sbarramento dei percorsi secondari. Itinera di questo tipo, sono stati rinvenuti presso i santuari di Alessandro, dei Quattro Coronati, di Ippolito e dei martiri nel cimitero di Generosa.

vii.1a - Il potenziamento degli itinera

Fu papa Simmaco a concentrarsi in modo particolare sulla predisposizione dei percorsi di invito ai santuari380. La chiusura di alcuni accessi alla catacomba di Massimo dalla basilica ipogea di Silano con murature scialbate è da imputare, probabilmente, proprio ai lavori promossi dal pontefice, ricordati nel Liber Pontificalis (I, 263)381. Lo sviluppo dell’iter indirizzato alla sepoltura di Alessandro, originariamente progettato da Damaso, determinò il restauro della scala Y, la chiusura di alcune gallerie tra questa e l’altra rampa Z, l’apertura di nuovi lucernari e la sistemazione di poderose opere murarie in tufelli (fig. 384)382. La frequentazione esclusivamente devozionale della catacomba, in questa fase, è testimoniata dalla mancanza di sepolture nelle nuove murature.

Nel cimitero di S. Pancrazio, la navata sinistra della basilica simmachiana fu messa in comunicazione, per mezzo di una grossa scala, con alcune gallerie dell’area L, sottostanti il presbiterio e rivestite da murature. Questa circostanza ha indotto ad ipotizzare che in quell’area dell’ipogeo si trovasse la tomba del martire eponimo383

. Genericamente datati al VI sec., sono gli interventi che portarono alla chiusura di ambulacri secondari e alla creazione di

itinera devozionali a Panfilo, dove fu ampliato lo scalone B, ai SS. Marcellino e Pietro (la

galleria verso il santuario fu foderata da murature), nel Coemeterium Maius e a Calepodio. In quest’ultimo caso, in particolare, si assiste alla costruzione di una nuova grossa scala (S4) di

379 Sugli interventi sulle tombe venerate:BONFIGLIO 2013;BISCONTI,MAZZOLENI 2005, pp. 25-61; PERGOLA

2002, pp. 103-105; 108-239; FIOCCHI NICOLAI 2001, pp. 119-137; FIOCCHI NICOLAI,BISCONTI, MAZZOLENI

1998,pp. 59-65; MAZZOLENI,BISCONTI 1992, pp. 70-91.

380

FIOCCHI NICOLAI 1991, pp. 114-118, ritiene che l’interesse per i santuari da parte di questo papa si debba al fatto che fu relegato in Vaticano durante lo scisma laurenziano. Sui percorsi di visita, SPERA 1998, pp. 56-58.

381 BISCONTI 2006, p. 61

382 Sui lavori nelle catacombe di Massimo e dei Gordiani, PERGOLA 2002, pp. 122, 127.

383

131 fronte alla tomba di Callisto che, assieme a quella preesistente (S1), determinò la formazione di un sistema di “gradus acensionis et descensionis”, riducendo considerevolmente la capienza del santuario (fig. 385)384. Successivamente, il sepolcro venerato fu isolato dalla catacomba mediante la chiusura della galleria con un muro semicircolare (fig. 386). Presso di esso, decorazioni in rosso su fondo bianco potrebbero ascriversi all’opera di Giovanni III. Tra i graffiti devozionali lasciati dai pellegrini in questo spazio, si segnala quello all’ingresso della cripta, che citava probabilmente i nomi di Callisto e Calepodio.

Nel Cimitero Maggiore, stando agli Itinerari, il percorso di visita cominciava dall’ignota basilica di S. Emerenziana, per proseguire, tramite la neo costruita scala C e le gallerie ipogee rinforzate e illuminate da lucernari, verso la cripta di S. Emerenziana e da qui, guadagnare l’uscita passando dalla scala santificata dalle reliquie di Papia e Mauro385

.

Nella catacomba di Ponziano, lo sbarramento mediante un muro affrescato con fenestella

confessionis della galleria A, dov’erano i resti di Pollione, avvenne forse in concomitanza

della costruzione della basilica subdiale e del trasferimento al suo interno delle reliquie cimiteriali386.

Sporadici sono i lavori che non avevano strettamente a che fare con la predisposizione dei percorsi di visita. Nel santuario di Panfilo, un altare a blocco, foderato di lastre di porfido e pavonazzetto, e munito di un loculo confessionale rivestito di una lastra funeraria pagana iscritta (fig. 387), fu addossato alla parete occupata dalle reliquie, forse per alloggiare

brandea387. Interventi parziali interessarono il cubicolo di Gaio a S. Callisto e quello di Calocero e Partenio, rafforzato da murature ed interessato dall’apertura di una nicchia per lampade sulla parete adiacente i loculi venerati; un graffito, d’incerta datazione, riportava il nome dei due santi (ICUR IV 9543).

vii.1b - I restauri di papa Vigilio

Particolarmente attivo, fu papa Vigilio (537-555), impegnato nel difficile compito di rimediare ai danni della guerra greco-gotica e alla conseguente devastazione dei sepolcri venerati388. Il pontefice, stando a due iscrizioni (ICUR X 27258, ICUR IX 23572) intervenne sul sepolcro di Diogene “Ad Clivum Cucumeris” e restaurò il cubicolo che ospitava la tomba di Alessandro389. Il loculo di questi fu coperto da un muretto, forse per motivi statici, ma restò visibile grazie ad una fenestella confessionis foderata di lastre di marmo; l’adiacente mensa venne ingrandita mentre un’iscrizione affissa sulla sepoltura (ICVR IX 24313) serbava memoria dei danni causati dai Goti, tra cui la distruzione dell’iscrizione damasiana (fig. 388)390. Un’altra epigrafe, invece, ricordava gli interventi presso la tomba di Ippolito (ICVR VII 19937), che si sostanziarono nell’istituzione di un collegamento tra la cripta del martire e la scala d’accesso per mezzo di una galleria piuttosto ampia. A quest’epoca, data anche l’iscrizione che ricordava il restauro del santuario di Generosa (ICUR II 4753) e la pittura sulla parete occidentale del cubicolo venerato, presso una sepoltura bisoma foderata di marmo, inglobata nel muro e nella quale si apriva una fenestella confessionis. L’affresco rappresentava Cristo che porge la corona del martirio a Simplicio, alla presenza di Faustino, Beatrice e Rufiniano.

384

Sulle trasformazioni del santuario callistiano: VERRANDO 2004 (b), p. 55; Christiana Loca, II (2001), p. 132.

385 NIEDDU 2006 (b), p. 15

386 Secondo un’altra ipotesi, le reliquie, dapprima deposte in catacomba, furono trasferite sul sopraterra tra VI e VII secolo per prevenire i danni causati dalla risalita della falda freatica (NIDDU 2008, p. 366).

387

NIEDDU 2008, p. 354. Non è escluso, che parte degli interventi di valorizzazione della confessione che abbiamo attribuito al V sec., siano stati invece realizzati in questa fase.

388 Per un inquadramento dell’azione di Vigilio e dei danni causati dalla guerra, TARQUINI 2005, pp. 49-53.

389 CARLETTI 2004, p. 118

390

132 vii.1c - Le decorazioni pittoriche

Proprio i pannelli affrescati con scene di santi, a partire dal VI sec. e durante l’Altomedioevo, trovarono grande diffusione, in concomitanza con l’assunzione delle catacombe di esclusiva valenza devozionale. Un programma figurativo di grande impegno interessò, nella catacomba di Ponziano, sia la regione del Battistero, originariamente interessata dalle sepolture di Abdon e Sennen, che il cd. santuario della galleria sbarrata. Gli affreschi risalirebbero ad un intervento unitario, forse promosso da quel Gaudiosus la cui attività evergetica è rimarcata da due iscrizioni, l’una sul dipinto con busto di Cristo (fig. 389), l’altra su quello con Abdon e Sennen (ICUR II 4532a, 4532c)391. Le pareti del battistero, evidentemente nato in seguito alla risalita di acqua di falda e alla conseguente traslazione delle reliquie sul sopraterra, erano decorate da un battesimo di Gesù, da una croce gemmata nella sottostante nicchia (muro O), e da Cristo che porge le corone ai due martiri persiani, tra Milix e Bicentius (muro S) (figg. 390-391). Il battistero era direttamente raggiungibile da una scala con pianerottolo, che partiva dal recinto funerario entro cui era il mausoleo abdidato attribuito da uno dei santi eponimi o ai papi Anastasio e Innocenzo.

Il dipinto che ornava la parete frontale della galleria sbarrata, sopra la fenestella confessionis, invece, rappresentava Pollione con la corona gemmata del martirio, affiancato da Marcellino e Pietro, tutti e tre identificabili dalla didascalia onomastica (figg. 392-393). Alla destra, un secondo muro affrescato era interessato da un pannello su cui campeggiano le figure di Milix e Pumenio fiancheggianti la croce gemmata (figg. 394-395); la sottostante fenestella

confessionis consentiva di traguardare la camera sepolcrale ipoteticamente legata al culto del

primo, laddove esisteva un prcedente sepolcro “a finestra” che potrebbe aver ospitato, come l’arcosolio di Panfilo, le reliquie traslate392

.

Nell’alveo del VI sec., si ascrive anche l’affresco sovrastante il deposito reliquiario dei Quaranta martiri di Sebaste ai SS. Marcellino e Pietro. Gli eponimi del cimitero, identificati da didascalie, accolgono il culto dei nuovi santi, stanti dietro di loro (figg. 396-397). Nel codice aperto tra le mani di Marcellino, seduto su un trono, si legge “+ Hic do / [na] nt / [---] / scr / inium”, chiara allusione al sottostante deposito quadrangolare che accoglie le reliquie393. Nella basilica di Felice e Adautto, l’immagine della nobildonna Turtura, presentata dai martiri eponimi al cospetto della Vergine in trono con bambino, attesta che le scende d’introduzione in paradiso, di committenza privata, erano sempre in voga (fig. 398). Già altomedievali, infine, sono gli affreschi che rappresentavano il martirio di Callisto nella sua confessione (VII-VIII) (fig. 399) e i “posters” dei santi lungo gli itinera e nei loro santuari, come S. Luca nella basilica ad corpus di Felice e Adautto (seconda metà VII) e i santi nel cubicolo di Cornelio (VII sec.) (fig. 400)394. Proprio sull’affresco di S. Luca furono tracciati i graffiti dei pellegrini che, assieme a quelli che interessarono le pitture di Ponziano (fig. 401) e i santuari di Crescenzione, Panfilo e Marcellino e Pietro, restituiscono un interessante spaccato del pellegrinaggio altomedievale395.

vii.1d - Le basiliche ad corpus

391 Sugli affreschi della catacomba di Ponziano, MINASI 2012, pp. 567-579. RICCIARDI 2006, pp. 216-217, li ritiene già di VII secolo. Una struttura sepolcrale per due inumati presso la deorazione pittorica e la vasca battesimale potrebbe essere attribuita ai committenti.

392

NIEDDU 2008, pp. 366-367. È stato anche ipotizzato che la sepoltura di Pumenio fosse costituita dalla tomba parietale che fu ostruita proprio dal muro di sbarramento (si veda RICCIARDI 2006, p. 218).

393Sulla decorazione pittorica nel santuario dei Quaranta martiri di Sebaste, GIULIANI 2012, pp. 399-411.

394 L’affresco di Turtura è anche datato al VI sec. (BONFIGLIO 2013, p. 210).

395

Sui graffiti devozionali altomedioevali: CARLETTI 2008, pp. 90-97, 282-283; MAZZOLENI 2005, pp. 91-93;

Christiana Loca 2001, pp. 128-131; FIOCCHI NICOLAI,BISCONTI,MAZZOLENI 1998, pp. 179-180; SPERA 1998, pp. 77-78. Il riscontro di nomi anglosassoni (ICUR II 6449) e longobardi (ICUR VI 15979; ICUR X 26320; ICUR II 6449), nonché quello scritto in alfabeto runico, attesta che realmente il pellegrinaggio aveva acquisito una connotazione sovranazionale.

133 Il VI sec. è segnato da un programma d’interventi che portò alla definizione di diverse basiliche ipogee funzionali alla fruizione dei sepolcri venerati, di dimensioni piuttosto consistenti se rapportate ai contesti ipogei entro cui trovarono spazio ma certamente ridimensionate rispetto alle basiliche apostoliche (fig. 402)396.

A papa Simmaco, si deve l’edificazione di una prima aula ad corpus ipogea di S. Agnese, che determinò la distruzione delle preesistenti gallerie della Regio I (fig. 403)397. Il sepolcro venerato, in questa sistemazione, venne a trovarsi nell’abside, presso la quale erano sepolture privilegiate, come quella di Serena abbatissa, defunta nel 514 (ICVR VIII 20836) (fig. 404). Probabilmente, un nuovo scalone fu edificato per assicurare il collegamento con la basilica del sopraterra mentre altre rampe davano accesso agli ambulacri restanti della catacomba. I successori di Simmaco non si limitarono a costruire basiliche ad corpus ma, come attestano i ritrovamenti epigrafici, organizzarono anche spazi di sepoltura privilegiati, sebbene poco sfruttati. Le basilichette erano destinate anche alla celebrazione eucaristica, per cui al sepolcro venerato corrispondeva solitamente l’altare. Quest’ultimo poteva essere costituito da una mensa ricavata dalla tomba stessa, per mezzo di un sapiente lavoro di riadattamento, o da una struttura indipendente, costruita ex novo. Gli edifici, invece, ricavati dalla distruzione di precedenti gallerie e cubicoli, erano accessibili da ampi scaloni, scarsamente decorati e muniti di cibori ed elementi di recinzione analoghi a quelli delle basiliche subdiali.

Le costruzioni patrocinate da Giovanni I e Vigilio, rispettivamente presso le tombe di Felice e Adautto ed Ippolito, erano totalmente ipogee, di dimensioni modeste e planimetria irregolare. L’anonima sulla Via Ardeatina e le basilica di Pelagio I sul sepolcro di Ermete, invece, erano semipogee, precedute da un vestibolo o endonartece, e più ampie e regolari. Sebbene nessun edificio sia attribuito alla sua iniziativa, Giovanni III s’interessò in modo particolare ai luoghi di culto, riorganizzando il servizio della liturgia eucaristica domenicale e, sulla scia di Vigilio, “amavit et restauravit cymiteria sanctorum martyrum” (LP I p. 305).

Giovanni I (523-526), stando alla biografia papale (I, p. 276), restaurò la basilica damasiana di Nereo e Achilleo e costruì quella di Felice e Adautto a Commodilla (I, p. 312). In realtà, come abbiamo visto, la datazione della prima è controversa per cui non si esclude che l’edificio possa essere stata innalzato ex novo proprio nel VI secolo. La costruzione della basilica semi-ipogea di Felice e Adautto fu propiziata dall’allargamento della galleria B che ospitava i sepolcri venerati e determinò la distruzione della primitiva scala d’ingresso, sostituita da una nuova rampa in G6 (E) (figg. 405-407)398. Il pavimento dell’edificio di culto fu rialzato nel settore settentrionale mentre nell’angolo nord-est furono aperte due absidiole. Nella basilica trovò spazio, in posizione estremamente privilegiata, la sepoltura della vedova Turtura, che forse aveva contribuito economicamente alla fondazione dell’edificio.

La basilica di S. Ippolito era invece completamente ipogea e voluta da Vigilio in seguito alle incursioni gote (ICUR VII 19937)399. La sua costruzione fu determinata dall’espansione del santuario sui lati orientale ed occidentale. L’edificio, diviso in tre sezioni (Q, R, S) e munito di arcate, non era rettilineo e presentava un piano pavimentale più alto rispetto a quello del precedente santuario (figg. 408-409). Il presbiterio fu generato dall’apertura di un’abside nel lato occidentale e la costruzione di un altare sulla tomba venerata e in questo spazio fu ricollocata l’epigrafe damasiana. Le iscrizioni dei pellegrini con invocazioni al santo eponimo ne occuparono le pareti intonacate (ICUR VII 19940-19944). L’accesso alla basilica era scandito dall’alternanza di scala (V), vestibolo monumentale (U), e largo corridoio ad angolo retto (T), foderato da muri in vittatum (fig. 410); esso venne a costituirsi per mezzo del

396

Sulle basiliche ad corpus: SPERA 2002, pp. 25-27; FIOCCHI NICOLAI 2001, pp. 121-127; Christiana Loca, II (2001), pp. 124-126; SPERA 1998, pp. 50-54. Sulla loro occupazione funeraria, NIEDDU 2003, pp. 562-570.

397 Sull’aula simmachiana: BONFIGLIO 2013, p. 75; PERGOLA 2002, pp. 142-143; BARBINI 2001 (c), p. 35.

398 Sulla basilica dei SS. Felice e Adautto: CARLETTI 2004 (b), pp. 138-138; PERGOLA 2002, p. 220.

399

134 collegamento di ambienti e gallerie cimiteriali originariamente distinti. Dal corridoio T, a loro volta, si aprivano accessi che menavano ad altri settori della catacomba.

La basilica semipogea sul sepolcro di Ermete, la cui primitiva esedra era forse stata edificata da Damaso, risale al pontificato di Pelagio II (570-590), in linea con quanto tramandato dal

Liber Pontificalis (I, p. 309)400. Si tratta di un edificio mal conservato, essendo stato profondamente restaurato da Adriano I (772-795). Raggiungibile per mezzo del vecchio accesso alla catacomba (K) e di una nuova scala ad L (X), aperta sulla parete di fondo, la navata quadrangolare, sostenuta da arconi di contenimento che la scandiscono in tre campate (fig. 411), si concludeva in un’abside semicircolare con nicchia, originariamente destinata a una cattedra (fig. 412). La chiesa era pavimentata in marmo e decorata da pitture, mentre il settore alto della parete occidentale era occupato da una galleria, forse un matroneo; da qui si poteva osservare, per mezzo di un’apertura, la tomba venerata che si trovava nell’abside. Pelagio costruì una basilica a ridosso della sepoltura di Lorenzo (LP I, p. 309) e, come quella poi voluta da Onorio I (625-638) a S. Agnese, era in parte costruita nella collina occupata dalla catacomba e in parte all’esterno401. Il piano inferiore ipogeo, con tre navate ed endonartece, ospitava il sepolcro mentre quello superiore era formato da matronei su tre lati, accessibili dalla sommità della collina (figg. 413-415). Nell’abside correva un’iscrizione musiva che ricordava gli indispensabili lavori preliminari di taglio della collina e distruzione di precedenti gallerie cimiteriali finalizzati ad ottenere spazi edificabili e a salvaguardare la tomba di Lorenzo da una frana incombente (ICUR VII 18371)402. Nell’arco trionfale, erano le rappresentazioni dei santi Lorenzo, Pietro, Paolo, Stefano e Ippolito, identificati da iscrizione (ICUR VII 17671), nonché quelle di Cristo e di Pelagio in qualità di dedicante (fig. 416)403. L’ambiente funerario ad L, che si trovava alle spalle dell’abside, fu ingrandito e munito di una spaziosa esedra sul lato orientale, mentre una larga apertura quadrangolare al centro dell’abside della basilica era perfettamente allineata con il pozzo-cataratta costruito sulla tomba del martire. Il martyrium era poi illuminato da altre due (o forse quattro) finestre aperte nell’abside e raggiungibile da due accessi all’estremità occidentale delle navate laterali. La nuova basilica ad corpus così costituita fu collegata alla circiforme iuxta corpus (fig. 417). La sepoltura di Crisanto e Daria nell’“altera ecclesia” (rispetto a quella di Saturnino) nel cimitero di Trasone (VZ II, pp. 38-39, 76, 116, 144) rimase probabilmente ipogeo. Lo lascia intendere la descrizione di Gregorio di Tours (Liber in Gloria Martyrum I, 37) che allude a una chiesa sotterranea sostenuta da arcate, con parete divisoria munita di apertura e delimitante un ambiente secondario404. Quest’ultimo conteneva tombe multiple o un ossario riconducibili a quei fedeli che pare fossero stati sepolti vivi nella cripta. Presso la confessione dei due martiri doveva trovarsi l’iscrizione riportata da Silloge (ICUR II 1135) che, alludendo a devastazioni e restauri, era presumibilmente successiva alla guerra greco-gotica.

Nel portico della basilica di S. Lorenzo, stando alla Notitia (VZ II, p. 81) e al De Locis (VZ II, p. 114), si venerava la pietra con la quale Abbondio era stato gettato nel pozzo, mentre in una vicina basilica, una passio altomedievale collocava la sepoltura di Ciriaca. Il luogo di culto doveva corrispondere alla cappella medievale ubicata lungo la navata settentrionale della basilica onoriana, ambiente posto proprio vicino al sepolcro venerato e alla quota corrispondente a quella della fase pelagiana405.

400

Sulla basilica di S. Ermete, BELARDINI 2003, p. 122.

401 Sulla pelagiana: SERRA 2007, pp. 363-364; DI LIELLO 2003, pp. 118-119; Christiana Loca, II (2001), pp. 166-168.

402 Sull’iscrizione, CUSCITO 2012, pp. 466-467. Il contrasto tra l’angustia del vecchio santuario e la spaziosità di quello nuovo, sottolineata da Pelagio, è comune nelle dediche romane di V-VI secolo: di Sisto III a S. Pietro in Vincoli (432-440) (ILCV 975a); di Leone I a S. Paolo (ICVR II 4786b); di Simmaco a S. Pietro (ICVR II 4107).

403 Sul mosaico, RIZZARDI 2012, p. 378

404 Sull’ecclesia di Crisanto e Daria, CIPOLLONE 2004, pp. 98-101.

405

135 Ad Onorio I, dicevamo, si deve anche l’edificazione della basilichetta di S. Agnese e quella dei SS. Marcellino e Pietro. La prima riprese il modello della laurentina voluta da Pelagio (figg. 418-419) mentre la seconda era costituita da un edificio di modeste dimensione, con navata unica quadrangolare ed ampia abside occupata dal tumulo-altare contenente i loculi venerati (figg. 420-423). La basilica dedicata a Ciriaco sull’Ostiense (LP I, p. 324), invece, va riconosciuta in un piccolo edificio absidato in cui fu rinvenuta un’epigrafe mosaicata parietale recante: “[---] s(an)c(tu)s C[yriacus vel Crescentianus]”406.

vii.1e - La Basilica dei Martiri Greci

La cd. basilica Anonima della via Ardeatina si trovava nel cimitero di Balbina, tra l’Appia e l’Ardeatina, nel comprensorio di S. Callisto. Fu edificata in luogo della galleria occupata dal sepolcro multiplo dei Martiri Greci407.

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 129-135)