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1 - La valorizzazione dei santuari ipogei

Nel documento Santuari paleocristiani in Italia (pagine 103-109)

I SANTUARI DI R OMA

V. 1 - La valorizzazione dei santuari ipogei

V.1 - La valorizzazione dei santuari ipogei

Nella sua opera di valorizzazione dei santuari ipogei, papa Damaso fu coadiuvato da presbiteri e membri delle aristocrazie che, in cambio di cospicue donazioni, ricevevano il privilegio di una sepoltura ad sanctum.

v.1a - Le sistemazioni damasiane

L’organizzazione degli spazi confessionali voluta da Damaso rispondeva ad una logica progettuale coerente e standardizzata che prevedeva tre tipologie di interventi: la creazione di prospetti architettonici che inglobavano i sepolcri per monumentalizzarne l’aspetto; l’allargamento dei santuari e la predisposizione di nuovi punti luce per assicurarne una migliore fruizione; il potenziamento dei percorsi di visita che rendessero comodo e veloce il raggiungimento della tomba venerata negli spazi angusti delle catacombe250.

I prospetti architettonici, schiacciati sulle pareti entro cui erano collocati i sepolcri dei martiri, erano delimitati da colonne o pilastrini che sorreggevano archi ed architravi e racchiudevano le iscrizioni filocaliane e le transenne traforate poste a protezione delle tombe251. Presso di esse, mense quadrate o circolari avevano la funzione di accogliere i lumi e le offerte dei fedeli. In riferimento ai prospetti creati per valorizzare le tombe venerate, i casi meglio noti sono rappresentati dalle tombe dei papi Sisto II e Cornelio a S. Callisto, dei martiri Gennaro e Felicissimo ed Agapito a Pretestato e di Marcellino e Pietro nell’omonima catacomba.

Gli ambienti confessionali, invece, furono allargati e resi più luminosi per mezzo di rivestimenti marmorei (sia ai pavimenti che alle pareti), intonacature bianche, aperture o allargamenti di lucernari. La necessità di non distrarre l’attenzione dei fedeli, da convogliare verso i sepolcri, determinò la scarsa propensione verso le decorazioni pittoriche e mosaicate. L’allargamento dei santuari, invece, trova la sua massima espressione nelle confessiones di Nereo e Achilleo e di Proto e Giacinto, che raggiunsero dimensioni considerevoli.

Il potenziamento dei santuari, infine, si estrinsecò nella creazione di veri e propri itinera ad

sanctos, così come erano definiti in un’iscrizione della metà del VI sec. (ICVR II 4753).

Attestati a S. Callisto e nei santuari di Marcellino e Pietro, Alessandro e Proto e Giacinto,

250 Sui sepolcri ipogei in età damasiana: BONFIGLIO 2013; SPERA 2012, pp. 38-39, 42-45; BISCONTI,MAZZOLENI

2005, pp. 25-61; SPERA 2002, pp. 23-24;PERGOLA 2002, pp. 97-101, 108-239; FIOCCHI NICOLAI 2001,pp. 79-92; Christiana Loca 2001, pp. 102-107; GIULIANI 2000, pp. 23-27; PERGOLA 2000, pp. 100-103; FIOCCHI

NICOLAI, BISCONTI, MAZZOLENI 1998, pp. 48-57; SPERA 1998, pp. 38-44; SPERA 1994, pp. 112-113; MAZZOLENI,BISCONTI 1992, pp. 70-91.

251 Sui prospetti, in particolare, PORTA 2012, p. 121. Le epigrafi filocaliane appartenevano al genere delle iscrizioni monumentali d’apparato e, in un generale contesto di decadenza della capitale epigrafica, richiamavano la grandezza delle tradizioni del I secolo. Erano caratterizzate dal tratteggio fortemente contrastato delle lettere, dall’accentuato schiacciamento delle forme, dalla presenza di arricciature ornamentali sulle protuberanze che occupano le aste verticali (fig. 214) (CUSCITO 2012, pp. 456-457; CARLETTI 2008, pp. 78-85; MAZZOLENI 2005, pp. 78-82; FIOCCHI NICOLAI,BISCONTI,MAZZOLENI 1998, pp. 174-176; FERRUA,CARLETTI

104 costituivano percorsi “unidirezionali” creati mediante la realizzazione di nuove scale, l’apertura di lucernari (illuminavano il “cammino”) e la costruzione di strutture murarie addossate alle pareti e rivestite d’intonaco.

v.1b - La Cripta dei Papi e la catacomba di San Callisto

Ancora una volta, il cimitero della Chiesa costituisce un punto di vista privilegiato per analizzare l’evoluzione dei santuari poiché i lavori condotti nella Cripta dei Papi furono piuttosto consistenti (figg. 215-216)252. Sul soffitto furono aperti due ampi lucernari mentre l’accesso fu rimodernato mediante il restauro della scala originaria settentrionale (A) e l’edificazione di un terzo scalone (C); i pellegrini, entrati dalla prima, uscivano dal secondo dopo essere passati dai retrosanctos adiacenti la cripta (fig. 217). Sulla parete d’ingresso, datati tra la seconda metà del IV e la metà del V sec., i graffiti devozionali chiedevano l’intercessione di Sisto, Balbina e, genericamente, delle sante del cimitero (ICVR IV 9524, 9522) (fig. 218)253. Particolarmente sentito era il culto di Sisto II, come dimostrano l’epigrafe redatta in suo onore, di cui si conservano due frammenti ma nota attraverso le sillogi (LP I, p. 236; ICUR IV 9516) (fig. 219), e le iscrizioni devozionali in sua memoria che affollavano le pareti dello scalone. Se l’elogium damasiano era posto proprio sopra la tomba, al di sotto si trovava una seconda iscrizione, di cui si conservano centoventisei frammenti, che ricordava genericamente tutti i santi della catacomba: i quattro diaconi del pontefice-martire, i papi deposti nella cripta stessa e i cosiddetti martiri greci (ICVR IV 9513) (fig. 220). La costruzione di un muretto funzionale all’apposizione delle iscrizioni determinò la chiusura dell’imboccatura della tomba a mensa che, tuttavia, restò visibile per mezzo di una fenestella transennata. La parete su cui si trovava il sepolcro fu rivestita di lastre marmoree e ad essa si addossò una mensa-altare retta da quattro pilastrini, fondata su di una pedana in muratura ed illuminata da un piccolo lucernario, che affiancò quello già esistente (figg. 221-222).

Sempre a S. Callisto, gli interventi di Damaso determinarono l’ampliamento dell’adiacente cripta di S. Cecilia (fig. 223), messa in comunicazione con la Cripta dei Papi mediante un iter breve (una scala interposta tra le due primitive dell’Area I creava con la A dei veri gradus), e la valorizzazione delle confessioni di Cornelio, Gaio ed Eusebio. I restauri della prima interessarono sia il sepolcro che il cubicolo. Quest’ultimo fu reso più luminoso con l’apertura di un nuovo lucernario mentre la scala D, costruita in prossimità della tomba, istituiva un collegamento diretto con l’Appia. Il sepolcro fu delimitato da due pilastrini e da un parapetto e sopra di esso fu apposta l’iscrizione damasiana che ricordava i lavori condotti per l’apertura del lucernario e, più in generale, per assicurare una migliore fruizione della sepoltura (ICVR IV 9368) (fig. 224). Nell’ambito di questi lavori, la tomba a mensa fu chiusa per mezzo della collocazione in verticale dell’originario epitaffio che ne costituiva la base.

Anche sul loculo di Gaio fu affissa un’epigrafe, mentre le alterazioni del cubicolo di Eusebio furono più radicali: trasformazione in nicchioni rivestiti di mosaici delle originarie tombe a mensa; decorazione con opus sectile dell’ambiente confessionale; apposizione dell’iscrizione sul parapetto dell’arcosolio venerato, poi ricopiata da Vigilio (fig. 225). Quest’ultima, di cui si conservano tredici frammenti, riporta, caso unico, la firma del calligrafo Filocalo: “Furius

Dionisius Filocalus Damasi papae cultor atque amator” (ICVR IV 9514) (fig. 226). Tutta la

regione di Gaio e Eusebio, in collegamento con l’area I, fu resa più facilmente praticabile grazie alla predisposizione di un iter devozionale (figg. 227-228). La sistemazione dei sepolcri di Partenio e Calocero è perduta ma le fonti agiografiche ne serbano vagamente il ricordo ed inducono ad ipotizzare che non dovesse differire molto dalle altre dell’Appia254

.

252 Sui lavori damasiani a S. Callisto e nella Cripta dei Papi: SPERA 2004 (b), pp. 41-42; PERGOLA 2002, pp. 197-200; SPERA 1998, p. 39.

253 Sui graffiti all’ingresso della Cripta dei Papi, CARLETTI 2008, p. 275.

254

105 v.1c - Gli altri contesti ipogei

Come nella Cripta dei Papi, i lavori intrapresi nel santuario dei SS. Marcellino e Pietro furono particolarmente consistenti, ma indirizzati più a renderne comodamente fruibili gli spazi che a decorarli255. L’ingresso orientale fu bipartito per mezzo di due arcate, mentre l’edificazione di una nuova scala a N assicurò il collegamento diretto col sopraterra (figg. 229-230). Contestualmente, le gallerie che raggiungevano il sepolcro furono potenziate ed intonacate di bianco (fig. 231). Il percorso dei pellegrini prevedeva l’ingresso dalla scala originaria (X), la percorrenza del settore orientale dell’ambulacro trasversale (X1) illuminato da tre lucernari, il cammino della galleria ortogonale (X14) rischiarato da un’apertura e, quindi, il raggiungimento della cripta venerata (figg. 232-233). Analogamente, la fruibilità del cubicolo di Alessandro fu assicurata dalla predisposizione di una nuova scala di accesso (Z) e di un apposito iter (fig. 234). Pare si debbano all’iniziativa di Damaso, che dedicò al santo un carme (ICUR IX 24310), gli interventi decorativi all’interno del vano, che portarono al rivestimento con lastre marmoree delle pareti e sono attestati dal ritrovamento di resti di colonnine e mosaici. Proprio i rivestimenti marmorei, dovevano accrescere la luminosità delle cripte damasiane, assicurata dall’ampliamento o installazione di grandi lucernari, come nella cripta di S. Gennaro (fig. 235).

Nel cimitero ad Catacumbas e in quello di S. Ermete, non ci si limitò all’organizzazione di nuovi percorsi di visita ma si intervenne in modo più radicale per dilatare gli spazi confessionali, in contesti divenuti evidentemente troppo angusti. L’ampliamento della galleria confessionale di S. Sebastiano determinò la costituzione di una cripta rettangolare, della quale il sepolcro del martire occupava il centro (figg. 236-239); le pareti erano intonacate mentre il pavimento occupato da sepolture (figg. 240-241). Alla scala che collegava la cripta alla basilica superiore ne fu aggiunta un’altra, che menava alla navata sinistra e una terza verso l’ingresso256

. Si ritiene che la cripta, a partire dall’epoca damasiana o poco dopo, fosse priva di volta e pertanto collegata visivamente alla soprastante basilica, sebbene nessun elemento possa provarlo con certezza257. Il santuario di Proto e Giacinto fu anch’esso ingrandito, le pareti rinforzate da murature, munito di lucernario e di una nuova scala a due rampe proveniente direttamente dal sopraterra; una finestra con lunetta fu aperta sul pianerottolo per rendere visibili le due sepolture258. Tali lavori furono eseguiti dal presbitero Teodoro, come attesta un’iscrizione in caratteri pseudo-filocaliani (ICVR X 26672).

v.1d - I prospetti damasiani

Tra i casi meglio noti di prospetto damasiano si annovera quello di Marcellino e Pietro. I due loculi, ornati con marmi e trasformati in una sorta di arcosolio, erano inquadrati da due pilastri scanalati, sorreggenti un architrave ed affiancati da una mensa (figg. 242-243). Sopra di essi, era uno pseudo-arco costituito da una lastra marmorea addossata alla parete, di cui si conservano due frammento iscritti; ancora più in alto, correva l’elogio del pontefice (ICUR VI 16961) (fig. 244). La tomba di Gennaro era invece fiancheggiata da due colonne in porfido, tuttora conservate, sormontate da un arcone che poggiava su un parapetto in muratura (figg. 245-246)259. La struttura, rivestita di marmo, era probabilmente decorata sulla fronte da

255

Sugli interventi ai SS. Marcellino e Pietro: Christiana Loca, II (2001), p. 111; GUYON 1987, pp. 361-403.

256 Almeno due di questi tre accessi risalgono ad epoca damasiana ma gli autori sono a tal proposito in disaccordo.

257 Sugli interventi a S. Sebastiano: NIEDDU 2009, p. 19; GIULIANI 2004 (b), pp. 90-91. Essi sono generalmente attribuiti a Damaso, che affisse la lastra presso le reliquie apostoliche, ma non è escluso che risalgano agli inizi del V secolo. Anche le scale che raggiungevano la confessio potrebbero essere pertinenti alla seconda metà del IV e non alla prima.

258 Su S. Ermete: BONFIGLIO 2013, pp. 23, 25-26; BISCONTI,MAZZOLENI 2005, p. 27; PERGOLA 2002, p. 117.

259

106 diverse lastre: una traforata tra la lunetta dell’arco e la trabeazione forse sorretta dalle colonne; una chiusa tra l’architrave e l’imboccatura del loculo; una transenna in corrispondenza di questo. L’elogio, rinvenuto in numerosi frammenti nella cd. “cripta quadrata” o “delle quattro stagioni”, occupava il parapetto sottostante e, a differenza degli altri, era molto breve: “beatiss(i)mo matyri Ianuario Damasus epis[c]op(us) fecit” (ICUR V 13871) (fig. 247). Non è escluso, che la stringata iscrizione damasiana fosse integrata da quella di un architrave superiore, di cui sono stati rinvenuti i frammenti. Nello stesso cimitero, un prospetto simile con colonne architravate chiuse da transenne traforate, dovette interessare il sepolcro di papa Urbano (fig. 248) e quello di Felicissimo e Agapito (fig. 249)260. In quest’ultimo caso, l’elogio (ICVR V 13812) era certamente sistemato sulla parte bassa ed è stato rinvenuto in tre frammenti (fig. 250). Nei pressi di questa sistemazione è stata trovata anche una lastra di marmo che riporta, graffiti, i nomi dei due martiri (ICVR V 13878). Il prospetto di Felice e Adautto si distingueva dagli altri poiché il sepolcro era sovrastato da un affresco raffigurante i due martiri nell’atto di acclamare un cristogramma, sebbene non sia escluso che esso risalga al pontificato di Siricio261. La pittura doveva occupare la lunetta superiore di un organismo monumentale a pseudo-ciborio, sormontato da arco traforato (fig. 251). Stando all’iscrizione filocaliana sistemato sopra di esso, di cui si conserva un solo frammento ma che è tramandata dal De Locis (ICUR II 6016), i lavori furono eseguiti dal presbitero Vero, che restaurò il venerato “tumulum”, “limina adornans”. Un dispositivo per traguardare i sepolcri e produrre reliquie da contatto, forse una grata o fenestella confessionis, si trovava anche ai Crisanto e Daria, sebbene sia ricordato solo da Gregorio di Tours (glor.

mart. 1, 37)262.

Stando all’elogio di Damaso (ICVR X 26668) e all’iscrizione di Teodoro, i lavori nel santuario di Proto e Giacinto furono condizionati dalla presenza di un accumulo di terra che si era depositato sul pavimento, forse la conseguenza di una frana. Probabilmente, s’intervenne rialzando il piano di calpestio, ma occultando così il sepolcro di Giacinto. Per rimediare a questo inconveniente, il presbitero Leopardo ricopiò l’epigrafe funeraria del martire e l’affisse su un loculo più alto e meglio visibile (ICUR X 26673). A quest’epoca, pare risalgano anche i frammenti di architrave recanti l’iscrizione “sepulcrum Proti martyri” (ICVR X 26671). Il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche all’impegnativo lavoro di Damaso, che forse si esplicitava anche nell’assunzione dell’onere economico, era spesso esplicitato nelle iscrizioni263. Sulla transenna iscritta che valorizzava il sepolcro di Abdon e Sennen (ICUR II 4530) (fig. 252), in caratteri filocaliani, è chiamato in causa un altro prete, questa volta ignoto, mentre l’iscrizione dipinta di rosso sulla tomba di Novaziano, delimitata da una fascia clipeata dello stesso colore, risalente alla seconda metà o alla fine del IV sec., faceva riferimento a un diacono: Novatiano beatissimo / marturi Gaudentius diac(onus) / fec(it) (ICUR VII 20334) (fig. 253). I lavori di restauro di Gaudenzio s’ispirarono alle trasformazioni operate da Damaso sul sepolcro di Gennaro. La tomba si sviluppò in verticale con l’apertura di un arco in muratura e fu valorizzata da un parapetto in tufelli e mattoni recante l’iscrizione dedicatoria, sotto il quale la parete tufacea era intonacata di rosso (figg. 254-255). La struttura

260 In realtà, in questi due casi si assiste a una versione semplificata della sistemazione ianuariana. Le colonne e l’epistilio del sepolcro di Urbano erano di piccole dimensioni mentre le decorazioni parietali di quello di Quirino erano di semplice fattura (SPERA 2006 (e), pp. 257-259).

261 Sul prospetto di Felice e Adautto: BONFIGLIO 2013, p. 210; CARLETTI 2004 (b), pp. 137-138.

262 Del dispositivo doveva far parte l’iscrizione rinvenuta nel ‘600 ([--- b] eati Ch[--]) (SPERA 2012, p. 40; CIPOLLONE 2004, pp. 98-101).

263

107 funeraria fu illuminata da uno stretto lucernario della volta e rivestita di lastre di marmo; non è escluso, sebbene non vi siano evidenze, che fosse anche interessata da transenne264.

v.1e - Interventi testimoniati dalle iscrizioni

Talvolta, i restauri dei sepolcri promossi dal pontefice, non attestati archeologicamente, sono ricordati dalle iscrizioni, conservate integralmente, in parte, o note da sillogi. L’epigrafe di Eutichio e quella di Agnese (ICUR VIII 20753) (fig. 256), che era reimpiegata nel pavimento della basilica, sono perfettamente conservate265. La prima (ICVR V 13274), alta un m. e larga circa due, rappresenta uno dei migliori esempi di scrittura filocaliana (fig. 257)266. La lastra fu rinvenuta nel XVI sec. nella cripta di S. Sebastiano per cui è probabile che il sepolcro venerato, alla cui inventio contribuì un sogno premonitore di Damaso, si trovasse in quel cimitero, a dispetto dell’indicazione, forse errata, del Geronimiano (MH, pp. 347-348), che la localizzava a S. Callisto. Si è ipotizzato che il locus depositionis vada ubicato nella catacomba dell’ex vigna Chiaraviglio, a nord del cimitero di S. Sebastiano (fig. 258), come indicherebbero alcuni elementi: lo sviluppo intensivo post-costantiniano di questo spazio funerario (da mettere in relazione proprio all’inventio); il rinvenimento di un’epigrafe frammentaria menzionante l’acquisto di un loculo “ad limina domni / [Euti]ci”; la presenza in quell’area di graffiti devozionali, con invocazioni al martire267

.

In alcuni casi, i contenuti degli elogi ci forniscono informazioni sull’articolazione dei contesti confessionali. Stando al carme di Gorgonio (ICUR VI 16962), ad esempio, il sepolcro del martire era valorizzato da un altare; una mensa era dedicata anche a S. Lorenzo e fu ornata di marmi (ICUR VII 18368-18369). La mera attestazione degli Elogi ci indica quali santuari furono interessati dall’azione di Damaso. Si ricordano quelli dedicati a: Nemesio a Commodilla, facente riferimento ai lavori sul sepolcro che era stato a lungo ignorato (ICUR VI 15763); Tarsicio e il protomartire Stefano (erano accomunati dal martirio per lapidazione), contenuto nella silloge di Lorsh (ICVR IV 11078); Pietro e Paolo nella Memoria

Apostolorum, ricordato nel Liber Pontificalis (I, p. 212) (ICVR V 13273) e ubicato più

probabilmente presso la memoria della circiforme che non nella Cripta di S. Sebastiano268; Saturnino (ICUR IX 23755); Mauro, nel cimitero di Trasone (ICUR IX 23754). Probabilmente, si riferiva al tribuno Quirino l’iscrizione lacunosa rinvenuta a Pretestato, che riportava il termine “castra” e, sul margine, la firma di Filocalo (ED 27) (fig. 259). Sempre a Pretestato, un carme fu dedicato ad un gruppo di martiri (ICUR IX 23751), caso eccezionale di convergenza tre fonte epigrafica ed agiografica (VZ II, pp. 39, 144).

L’iscrizione che riferisce dei lavori di ristrutturazione del presbitero Leone al santuario di Ippolito (ICUR VII 19936) non è in caratteri filocaliani ma è da collegare probabilmente all’azione di Damaso. A questi interventi, forse, si riferisce la testimonianza di Prudenzio (Peristephanon XI, 125-126, 215-230), che ricorda un’edicola, un altare e una rappresentazione pittorica del martirio presso il venerato sepolcro, forse una megalografia con scene diverse, tra le quali è la raccolta delle reliquie da parte dei compagni269. Del santuario di questa fase, sono rimaste solo poche tracce nel più tardo piano pavimentale270.

264 Sulle trasformazioni del sepolcro di Novaziano: ROCCO 2008, pp. 326-333; ROCCO 2006, pp. 224-226. L’intervento di Gaudenzio fu così radicale da non consentire una corretta interpretazione delle fasi precedenti e da indurre il sospetto che la deposizione stessa del martire scismatico risalga a questo periodo.

265

Sull’elogio di Agnese, caratterizzato da litterae inclusae e da numerosi nessi ricavati dalla sovrapposizione di aste verticali per inscrivere il testo in un rettangolo perfetto, FERRUA,CARLETTI 1985, pp. 39-42.

266 Sull’elogio di Eutichio, sistemato nella cripta di Sebastiano in un momento imprecisato (fu visto dal prete Giovanni) : CARLETTI 2008, pp. 275-277; GIULIANI 2004 (b), pp. 88-89; Christiana Loca, II (2001), pp. 106-107; FERRUA,CARLETTI 1985, pp. 32-34.

267 Sull’identificazione dell’area venerata:GIULIANI 2004 (b), pp. 92-93; Christiana Loca, II (2001), p. 106.

268 NIEDDU 2009, pp. 91-95

269 Sulla rappresentazione pittorica, BISCONTI,MAZZOLENI 2005, pp. 42-43.

270

108 Gli elogi non esauriscono la casistica delle iscrizioni damasiane nei santuari. Epigrafi con caratteri filocaliani, redatte sui frammenti architettonici, infatti, potevano far parte integrante dell’arredo scultoreo della confessione, come documenta il pluteo del cimitero di Ponziano. Probabilmente, risale al papato di Damaso, più che a quello del suo successore Siricio (384-399), anche l’epistilio rinvenuto nel cimitero di S. Ermete, sebbene i caratteri non presentino una perfetta aderenza alle norme scrittorie filocaliane, essendo le apicature piuttosto semplificate (ICUR X 26670)271. Il pezzo, opistografo, presenta sulla faccia anteriore l’iscrizione “Herme [---]” (fig. 260), chiaramente allusiva al martire a cui era dedicata, mentre quella posteriore reca la clausola “[---]t inherens” (fig. 261). È possibile che sulla faccia anteriore dell’intero epistilio corresse una frase dedicatoria a cui corrispondeva, sul lato opposto, un esametro d’incerta articolazione. Il ritrovamento di questo pezzo presso la più tarda basilica semi-ipogea, unitamente all’attestazione dell’elogio (ICUR X 26669), permette di attribuire a Damaso un primitivo santuarietto, forse già absidato.

Un’iscrizione semifilocaliana riportante “[--- Cyri]aci ad[que---] / [---] martyr [---]” consente solamente d’ipotizzare interventi di monumentalizzazione del sepolcro venerato sull’Ostiense intorno alla fine del IV secolo272

. v.1f - Le basiliche ad corpus

Papa Damaso patrocinò l’edificazione di nuovi luoghi di culto ipogei, semi-ipogei e subdiali, eccezionalmente decorati se vogliamo prestar fede alle rimostranze che i preti Faustino e Marcellino (Faustini et Marcellini libellus - CSEL 35, I), nel 382, manifestarono a Teodosio, criticando l’eccessiva ricchezza delle chiese damasiane, rilucenti d’oro e colme di rivestimenti marmorei273. L’episodio dimostra che, a differenza dell’epoca precedente, i committenti delle basiliche non erano più le autorità imperiali ma il pontefice in persona.

La basilica dei SS. Nereo ed Achilleo è stata ipoteticamente attribuita a Damaso, che compose il carme per i due santi, noto da sillogi, e di cui si conservano due grossi frammenti (fig. 262). Il ritrovamento di un’epigrafe del 390 (ICVR III 8156) nelle gallerie distrutte per far posto alla basilica, tuttavia, suggerisca di attribuire la fondazione a papa Siricio o, addirittura, a papa Giovanni I (523-526) che “refecit cymiterium beatorum martyrum Nerei et Achillei” (LP I, p. 276)274. È probabile che un primo edificio costruito da Damaso sia stato ristrutturato da un suo successore, forse Siricio, poiché il rinvenimento di un’iscrizione di V sec. (ICVR III 8337) menzionante una “basilica noba”, lascia presupporre che ne esistesse una più vecchia. Il santuario damasiano, qualunque fosse la sua articolazione, era valorizzato da un ciborio timpanato e decorato, che sovrastava il sepolcro coperto da una mensa in marmo. Una delle colonnine della struttura riporta in rilievo la scena del martirio di Achilleo: il santo, identificato dalla didascalia (Acilleus), indossa la tunica militare e ha le mani legate dietro la schiena, mentre un altro personaggio sta per decapitarlo con la spada; la corona di alloro sul fondo allude evidentemente al premio per il martirio (fig. 263)275. Confrontando il racconto della morte dei santi, così come ci viene tramandato dall’elogio, con il rilievo scultoreo figurato, sembrerebbe che il primo abbia condizionato la realizzazione del secondo. La fuga,

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