• Non ci sono risultati.

(1910)

È convincimento radicato da qualche anno che il cinematografo possegga un non comune potere educativo.

Lo Stato nel bilancio per il Mezzogiorno (anno 1908-1909) ha stanziato una somma per i cinematografi scolastici ed il Comune di Roma ha ultimamente proposto, per iniziativa dell’attuale Amministrazione, l’acquisto di alcuni proiet- tori cinematografici destinati, così almeno si assicura, ad uso delle scuole.

Però di attuato non v’è nulla ancora, perché non può darsi il titolo ed il va- lore di applicazione cinematografica alle proiezioni fisse, adoperate, nella Scuola pedagogica di Roma, e in taluna scuola comunale di Milano, Torino, Firenze ed anche a Roma in quelle di via Palombella e Regina Margherita in Trastevere.

Non si tratta in fondo che della vecchia lanterna magica un po’ perfezionata e messa in azione dalla corrente elettrica, mezzo di cultura scolastica che ha da tempo ampio e razionale sviluppo in Francia, in Svizzera e in Germania.

Le proiezioni fisse sono al confronto di quelle cinematografiche cosa asso- lutamente negativa. La cinematografia, suscitando agli occhi dello spettatore tutta la visione del vero dinamico, variato, rapido, esatto, finisce per diventare la distrazione più interessante dell’epoca nostra.

Le statistiche dei teatri cinematografici son lì a dimostrare il crescente, fortunato diffondersi di simiglianti spettacoli. Roma soltanto ne conta 70. Ormai anche i più lontani, i più difficilmente accessibili paesi di montagna, hanno il loro teatrino cinematografico.

Nessuno può sottrarsi al fascino della pellicola cinematografica: né l’ope- raio della sonante officina, né il piccolo borghese della cittaduzza provinciale, né il contadino analfabeta. Purtroppo le pellicole che si trovano in commer- cio, anche quelle che si dicono di arte o che riproducono quadri o scene sto- riche, sono la negazione o quasi dell’arte o della severa e rigida ricostruzione storica. Ora quello che di meglio si potrebbe fare, sarebbe il preparare delle pellicole cinematografiche realizzanti un alto scopo morale, improntate alla vivezza delle scene dal vero, suggestivamente educatrici.

Ma quali capitali non occorrerebbero per una simile impresa!

Le società che in Italia vengono via via costituendosi debbono per la fer- rea legge della concorrenza seguire la corrente delle rappresentazioni scollac- ciate, fortemente drammatiche o improntate ad un fantastico paradossale e

teatrale, privo d’ogni carattere di finezza estetica e tanto meno morale. Anzi debbono – perché solo la speculazione le guida – eccedere nei soggetti, così da suscitare un maggiore interessamento da parte del basso gusto popolare.

N’è un esempio curioso una società fondata in Roma con capitali cattolici e largamente sovvenzionata da una cattolicissima banca. Accanto agli spettaco- loni cristiani d’occasione – alla frequenza dei quali sono molteplici gl’incitamenti nelle sacrestie, nei circoli cattolici, da parte dei parroci e sino dei predicatori – la Società imbandisce rappresentazioni romantiche di castelli, di grotte, di fughe, di guerrieri, di vendette, di tesori nascosti, che a null’altro riescono se non a solleticare il più puerile spirito del popolo, ad indebolire l’anima delle folle, che ha bisogno di ben altri esempi di vita e di storia, di ardimento e di passione, che non quelli che derivano da un presunto irreale medioevo cantato dalla lettera- tura a un soldo o raccontato nei romanzi di sedicesimo ordine.

E poi d’un elemento non sanno fare a meno sempre: deldelitto [sic]. Il delitto è purtroppo nella vita e specialmente nella vita del popolo. Non è però tutta la vita. Né devesi ovunque e sempre metter sotto gli occhi della massa popolare. È quindi dolorosa, angosciosa questa perpetuazione dello spettaco- lo criminoso, del sangue!1

Non basta dunque la quotidiana realtà della vita, non basta l’aureola fosca, tragica, clamorosa, di cui la circonda la stampa, anche la sola mani- festazione artistica che al popolo è dato oggi godere: il cinematografo deve insistere, ingigantendone i particolari, su di essa. Eppure se una campagna c’è da iniziare e da sostenere tenacemente in Italia è questa appunto: di elimi- nare per quanto è possibile, dagli occhi e dalle orecchie del pubblico, il fatto di sangue.

A Roma questa campagna dovrebbe apparire agli occhi di tutti: [sic] ur- gente, sacra, necessaria, perché il nostro popolo difetta completamente del senso dell’integrità della vita, perché gli italiani in genere e i romani in specie serbano la triste, feroce eredità del sangue, vena orrida che discende dalle oscure origini laziali, in cui tutto fu rapina, aggressione, sfregio e che i regimi sacerdotali materiati di perversità inquisitrice e ostentatori di lugubri spetta- coli, hanno ingrossato per via. Vi dovrebbe essere la censura, ma esiste essa? Certo in tutt’altre faccende occupata, non si dà cura di verificare se certe rap- presentazioni ultra veriste siano – come sono – un eccitamento dei più bassi istinti latenti del popolo, un vero e proprio eccitamento a delinquere.

È dovere quindi di tentare un ben altro uso del proiettore cinematografico. Io penso che questa e tutte le altre meravigliose invenzioni ed applicazio- ni della scienza moderna, debbano stimarsi piuttosto una mala cosa, se da esse non sia per derivare un benefizio a coloro che più degli altri, che più di tutti hanno bisogno di essere aiutati per uscire dalle tenebre truci, dalle quali non iscorgono il faro luminoso della verità e della giustizia.

1 Vedi «Riv. ped.», II, fasc. 8, p. 783, Letteratura criminale e cinematografo [Germania.

Letteratura criminale e cinematografo, «Rivista pedagogica», II, 8, maggio 1909, p. 783 nella rubrica “Notizie”, pp. 779-784].

Sia il cinematografo un altro mezzo d’innalzamento dell’anima popolare. Con l’appoggio dell’Educatorio Roma ho al Testaccio tentato l’impresa.

***

Il bisogno di sapere, di sognare, di assistere quasi da spettatore diretto alle scene istoriche, ai drammi di altre classi della società, di vedere in una parola realizzati i sogni più immaginosi, che è latente in ogni essere umano, fa del ci- nematografo un mezzo poderoso, così di educazione quanto di corruzione.

Perché il popolo in genere ed i poveri in ispecie, mancano delle condizio- ni essenziali per le quali possano partecipare alla vita del libro, del teatro e persino della scuola e possano insieme ricevere il disciplinamento morale che dal libro scelto con senno, dalla rappresentazione teatrale di drammi, ispirati a nobili intenti e dalla scuola frequentata con assiduità, sogliono o possono venire. Privo di questi tre freni dello spirito, il popolo s’abbandona alla pas- sione facile ad esorbitare del fattaccio di cronaca, e ciò sfruttano con abile astuzia di speculazioni i proprietari di sale cinematografiche, dando in pasto alla sovraeccitabilità dei pubblici rozzi, i drammoni a forti tinte passionali, le scene fantastiche a colori, non regolate da alcun gusto artistico o educativo e le scene comiche finali, d’un comico sgraziato, grottesco, al quale manca ogni sentimento eccitatore di correzione e tanto meno di addolcimento di co- stumi.

Il popolo manifesta tutto sé stesso, con gli ardori melanconici e gl’irruenti entusiasmi, con le sue fedi e i suoi feticismi, nella penombra di una rappresen- tazione cinematografica. Ivi si può coglierlo – e a me fu dato di farlo, nei tre mesi di esperimenti fatti – in tutto quanto ha di nobile e di puro, in tutto quanto ha di basso e di bestiale, ivi egli rivela l’immenso tesoro delle sue idealità e l’abisso fosco dei suoi istinti. Ad occhi e bocca aperta, questo pubblico segue, fissa, con crescente ansietà, pronto a condannare con urla frenetiche l’abbominio [sic] o l’applaudire gagliardamente lo spettacolo che gli si presenta, si agita e gli sfugge dinanzi, lanciato dallo stridio della macchina misteriosa.

È tipico il caso del popolano repubblicano del Testaccio, il quale assistendo in questa sala alla rappresentazione della morte di Marat, quando vede l’eroina della vecchia Francia, Charlotte Corday, colpire il cittadino nel bagno, si leva, brandendo il bastone quasi a colpirla e ad impedirle di uccidere il Tribuno.

È tipico anche il caso dei due vaccinari, i quali non seppero trattenere le lacrime allo spettacolo dei Carbonari del 1821.

Ora siccome nelle classi popolari gli istinti prevalgono sulla idea e sui nobili sentimenti, è chiaro che qualsiasi influenza eccitatrice degli stimoli più bassi dell’uomo, può decidere di conseguenze morali e sociali gravissime.

Al contrario, appunto perché istintive e quindi impulsive le classi popolari, esse hanno nel fondo una salutare ingenuità che può venir fecondata e plasma- ta da spettacoli, sia pure suggestivi, d’amore, di delitto, di forza, di passione, ma ispirati da un criterio morale che vada diritto al rimorso, al senso della giustizia, alla fede nobilitante della riabilitazione, al bisogno ideale della sanzione, a un

concetto insomma della vita che continuamente innalzi lo spirito e lo tenga sal- vo dal contatto dei sensi frenetici e selvaggi.

***

È vecchio il desiderio di raggiungere con una forma piacevole uno scopo profondamente educativo. Molti letterati e anche non pochi attori, vagheggiaro- no nei secoli scorsi un teatro a vantaggio unico della educazione delle masse.

Di nuovo quindi, resta solamente l’inattuato ideale, di nuovo resta quella che taluni sogliono dire, irraggiungibile arma di moralizzazione.

La mancanza d’uomini che vogliano sacrificarsi interamente al bene altrui e le spese ingenti a cui occorre andare incontro per mantenere sempre rigo- glioso il teatro popolare e infine, confessiamolo, la eccessiva fortuna di opere drammatiche tutt’altro che oneste, hanno fatto sì che molti parlino dei benefici del teatro popolare e pochi, o meglio nessuno, s’adoperino per attuarlo.

Il cinematografo viene in soccorso delle nostre buone intenzioni con una efficacia che noi stessi non aspettavamo. Il naturale desiderio dello spettaco- lo, le forze dell’anima che traggono alla ricerca di qualche oggetto, onde tener desta l’attenzione, il quasi bisogno comune di raccoglimento, trovano in esso una soddisfazione grandissima.

E senza per nulla nuocere al senso dell’arte, di quella grande arte spon- tanea che diede al mondo la tragedia greca, noi ci compiacciamo del cinema- tografo come del più docile strumento educativo.

Mentre un teatro anche avviato da mente severa può tralignare e quasi sfuggire per l’astuzia degli attori al controllo continuo dello spirito direttivo, il cinematografo non può ingannare chi lo impianta, lo istituisce, lo dirige con la ferma volontà dell’educazione delle anime. E a chi mi dicesse che più educati- vo e più morale ancora del teatro e del cinematografo è il discorso risponderei: non è vero. Non è vero, perché il teatro conferma una necessità psicologica, perché il teatro rivela la tendenza dello spirito verso la forma spettacolo. E noi servendoci del cinematografo tendiamo un tranello al teatro, ci liberiamo dei pericoli di esso, servendoci però dei medesimi mezzi di allettazione.

Il discorso può piacere, piace qualche volta, quando è la voce dell’oratore che lo innalza a forma teatrale, ma nulla conquista, appassiona, convince, come lo spettacolo. La simpatia dello spettacolo è uno di quei fenomeni che il pedagogista, lodando, dovrebbe sfruttare a vantaggio assoluto delle anime di cui vuole il nobilitamento. La simpatia dello spettacolo va sempre incoraggia- ta, perché è quella animazione pacifica che spinge l’uomo alla conoscenza del mondo. E i popolani la sentono profondamente. Chi ne è privo, invece, com- piuto il proprio mestiere, si chiude in una bettola non desideroso d’altro che di prendere la millesima ubriacatura o non si giova neppure del giorno festivo per allungare un piede fuori del quartiere.

Ora per i fanciulli il cinematografo è anche superiore al teatro, perché può persino mostrar loro tutte quelle divine leggende che in un gioco incan- tevole di vedute conducono ad una realizzazione etica. Il cinematografo, anzi

che perdere la naturale tendenza al conoscere, la sviluppa, l’ingigantisce se vogliamo, perché conduce lo spirito non solo a fatti gloriosi e a meditazioni nobili, ma lo avvia agli studi della storia, delle scienze fisiche e naturali.

Io insisto sulla importanza della simpatia dello spettacolo, perché so quan- to sollevi l’anima la conoscenza della grandezza del mondo. Non c’è vizio che sia colpa di poco discernimento, che non risulti dalla ristrettezza dell’anima.

Il Dostojewschi [sic], quando racconta le sue Memorie dell’ergastolo [sic], si ferma più che altro a parlare del giorno in cui i detenuti ottennero di orga- nizzare uno spettacolo. Perché tanta importanza a questo che per un erga- stolano, per un uomo rotto a tutte sofferenze, può parere una sciocchezza? Perché il Dostojewschi si è trovato dinanzi a un fatto che lo ha costretto alle più alte osservazioni. Egli soltanto allora capì cosa volesse significare offrire a uno spirito chiuso e magari abbietto uno spettacolo nuovo, che in qualche modo assuma la fisionomia artistica. Egli conferma quindi che di nulla l’edu- catore deve così giovarsi, come della comune simpatia dello spettacolo.

«Dalla bellezza universale pregustai il sentimento dell’universale bontà». Dice il Nievo2, narrando la grande, la insuperata emozione che provò, quando

fanciullo, uscito per la prima volta dalle angustie della casa, vide il mare e su di esso il tramonto. E cadde in ginocchio, come egli stesso dice, a simiglianza del Voltaire sul Grütli3, quando pronunciò, chinandosi dinanzi a Dio, l’unico

articolo del suo credo.

Ma sono necessarie queste citazioni per dimostrare il valore che hanno sull’anima gli spettacoli grandiosi?

A noi resta soltanto il compito, è non so se sia piccolo, di essere ancora una volta grati alla scienza che ci porge un così largo aiuto. E a noi spetta di formulare sul cinematografo tutto un metodo educativo. Non basta godere della gioia del fanciullo, bisogna servirsi del divertimento per educare.

Divertire per divertire sarebbe poco, molto è condurre al bene senza la mini- ma noia. Quella stessa ragione che muove il maestro a servirsi dell’abbecedario prima della grammatica, deve spingere noi a coordinare gli spettacoli cinemato- grafici perché un fanciullo ritragga un vantaggio durevole, bisogna cominciare dall’abbecedario delle proiezioni semplici, dalle scene patriarcali per arrivare alle fantastiche, alle storiche e alle sentimentali. Occorre una graduazione lenta ed accorta che risponda in tutto e per tutto alla psiche infantile. Io credo, anzi che non convenga stancar troppo il fanciullo con eccessivi spettacoli.

Egli deve poter dimostrare d’aver compreso la cinematografia precedente per essere ammesso alle successive. Si desta così più che mai l’attenzione e si costringono i fanciulli a non perdere una parola di chi fa precedere da una lezione le meditate proiezioni.

2 [Cfr. Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano, a cura di Simone Casini, Guanda,

Parma, 1999, vol. I, p. 189].

3 [Nievo cita un episodio che sarebbe avvenuto nel 1775: il vecchio Voltaire volle assi-

stere allo spettacolo dell’alba vista dalla cima di un piccolo monte svizzero, e lì, emo- zionato, prosternandosi di fronte allo spettacolo della natura, avrebbe pronunciato parole di fede in Dio. Cfr. Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano, cit., p. 189].

L’azione che gli psichiatri hanno voluto esercitare sulla coscienza infanti- le per mezzo della suggestione, noi crediamo più raggiungibile con la rappre- sentazione. Spettacoli sentimentali non possono non aprire il varco al senti- mento e gli eroismi e tutti gli atti di magnanimità non possono non lasciare qualche germe fecondo di bene negli uomini del domani. E poiché l’infanzia è l’età più facile al riso, noi non dobbiamo per nulla ostacolare questa beata forma di vitalità. Ma conviene dare il bando a quella ilarità meno che onesta, suscitata dalle miserie altrui o dalle altrui colpe.

Il fanciullo non deve sporcar mai la sua bocca con un sorriso meno che puro.

Ho potuto constatare che i bambini specialmente i più piccoli, racconta- no con calore e felicità di particolari tutto quello che hanno veduto al cine- matografo. Le scene fantastiche e simboliche, le fiabe esercitano invero una profonda suggestione sulle piccole anime ingenue e le profumano di quella gentilezza e di quella grazia affettuosa che dà a sperare per l’avvenire dell’uo- mo, come molto dà a sperare la pianticina che fiorisce con un bel verde sin dalla prima fase del suo sviluppo.

Né vanno trascurate le cinematografie per adulti, perché noi crediamo anche molto possa acquistare in virtù colui che, invece di oziare per via, profonda l’anima nei misteri del mondo. Noi siamo certi che il cinematogra- fo, questa scuola dell’avvenire, questo linguaggio universale, questo maestro chiaro dell’erudizione infinita, congiunto alle conferenze e sottoposto ad un metodo, possa eccitare al lavoro e alla gioia e mostrare quante miniere di vir- tù il più modesto degli uomini racchiuda nell’anima.

Quello del Testaccio è un esperimento, il quale ha bisogno dell’aiuto mo- rale di quanti a fatti e non a parole s’interessano della scuola e della scuola popolare, ch’è in Roma – confessiamolo apertamente – un mito; un mito per- ché la scuola deve vivere nella vita e non essere una cosa morta, fuori delle aspirazioni, dei desideri, dei bisogni, delle finalità del popolo.

Se la scuola popolare esistesse, se la scuola laica così altamente procla- mata funzionasse, noi non avremmo migliaia di ragazzi analfabeti, le scuole clericali a Roma non raccoglierebbero ancora venticinquemila alunni.

La cinematografia scolastica è una di quelle iniziative che in quest’epoca di ricchezze immani e di diffusa terribile miseria degli uomini, può dimostra- re in piena luce il destino luminoso delle scoperte e delle applicazioni della scienza, essa è forse la sola – s’io non erro – che può avere per risultati la benedizione della scienza da parte del cuore redento e dell’anima emancipata degli umili.

«Rivista pedagogica. Pubblicazione mensile dell’associazione nazionale per gli studi pedagogici», Roma, II, 10, luglio 1909, pp. 956-961.