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Le voci di coloro che riflettono sul destino delle proiezioni educati- ve nella scuola e nella società sono legate a contesti ideologici non solo diversi ma spesso anche in conflitto. Malgrado l’età giolittiana sia segnata dalla controversa ricerca di un’intesa, anche culturale, tra certi settori del liberalismo e del cattolicesimo, e anche se le diffe- renti posizioni sul cinema non sempre corrispondono a determinate e distinte posizioni ideologiche, tagliando invece obliquamente il pano- rama ideologico-politico dell’epoca76, resta innegabile che l’Italia laica

e anticlericale a cui aderisce il massone Orano non è quella cattolica di Costetti e dei Gesuiti, così come l’Italia popolare e anticapitalista di Fabietti non è quella liberale e borghese di Orlando. In tutti i casi, però, è sempre in gioco solo il punto di vista di un’élite, ben distinta da più ampie fasce della popolazione. La questione morale, così legata alla questione educativa, non coinvolge infatti lo spettatore borghese, adulto, colto, capace di discernere il bene dal male, la realtà dall’illu- sione: gli spettatori a rischio sono piuttosto i bambini e i proletari (per non parlare delle donne e dei nevrotici). Che siano, metaforicamente, «un vaso da riempire» o un «focolare da accendere», per riprendere una distinzione di Giovanni Rosadi77, gli scolari, i garzoni di bottega, gli

operai, i disoccupati non beneficiano, in larga parte dei discorsi peda- gogici sul cinema, di una piena, matura autonomia cognitiva, morale o estetica, né sono in grado di recepire in modo consapevole ciò che vedono al cinema. Sono spettatori reattivi, ingenui, eccitabili. Ciò che sembra in parte sfuggire ad alcuni di questi autori, in particolare di

74 Mario Ponzo, Di alcune osservazioni psicologiche fatte durante rappresentazio- ni cinematografiche, «Atti della R. Accademia delle scienze di Torino», XLVI, 15,

1911, ora in Silvio Alovisio, L’occhio sensibile, cit., p. 184 ss.

75 Agostino Gemelli, Le cause psicologiche dell’interesse nelle proiezioni cinemato- grafiche, «Vita e Pensiero», XII, 17, 4, aprile 1926.

76 In altri termini, ci possono essere dei liberali e dei cattolici ostili al cinema (rispet-

tivamente, Avellone e i Gesuiti) e altri favorevoli (rispettivamente Orlando e Costetti), così come ci possono essere dei socialisti che non si oppongono all’introduzione della Censura, come Treves, e altri che invece la criticano, come Fabietti.

77 Giovanni Rosadi, [Discorso per l’inaugurazione della sala “Minerva” di Roma],

quelli più legati al positivismo78 – e che invece era stato colto nei primi

testi teorici sul cinema (vedi in particolare Fossi)79 – è che il pubblico

cinematografico si sta sempre di più connotando come una «imper-

sonal community»80 nella quale i consumatori vanno integrandosi in

una prospettiva interclassista, intergenerazionale e intersessista. Oltre al comune elitarismo, i discorsi pro o contro il cinema pre- sentano almeno due ulteriori aspetti di condivisione, meritevoli, in queste considerazioni introduttive, di un breve approfondimento.

In primo luogo la visione del cinema e della sua potenza comunica- tiva è sempre ambivalente. Quasi paradossalmente, nei discorsi meno euforici rispetto all’uso educativo del cinema, questo è anche celebrato come un medium straordinario mentre nei discorsi più costruttivi è visto anche come un medium pericoloso. I Gesuiti, per esempio, pur molto allarmati dal cinema, dichiarano che «nessuna invenzione moderna […] coopera in modo più efficace, intensivamente ed estensivamente, alla dif- fusione delle idee tra le moltitudini»81. Per i sostenitori del cinema edu-

cativo, invece, il nuovo medium (come si dirà meglio nel capitolo IV) è in prima battuta un’influente «anti-scuola» (Fabietti, cfr. infra, p. 343), at- traente, efficace, moderna; proprio nella sua potenza negativa si annida quell’energia comunicativa che occorre convertire in una scuola positiva. In tutti i casi, comunque, il cinema appare come una sorta di super me- dium, sempre vincente nel confronto con altri mezzi di comunicazione, siano questi il libro (Orlando, Fabietti), la pubblicità (Orlando), l’oratoria tradizionale (Orano), l’illustrazione (Fabietti) o il teatro (Orano, Orlando). Il paradosso di queste ambivalenze nella definizione e nella valutazione sociale del cinema è in realtà solo apparente, o quanto meno non deve sorprendere. Nei discorsi del primo Novecento votati all’intervento politi- co e sociale è infatti tipica la tendenza a individuare in un determinato fenomeno della modernità la causa di un problema e al tempo stesso la sua possibile soluzione: il paradigma di questa visione ambivalente è l’elettricità, percepita non solo come l’indizio dei mali della civiltà ma

78 La pedagogia idealista si mostra infatti più sensibile di quella positivista al rap-

porto tra il discente e la dimensione etica, vedendo in questa una funzione non regolativa ma costitutiva dell’azione pedagogica, e proponendo una concezione dell’alunno come soggetto responsabile delle proprie azioni e del proprio pensiero (su questi aspetti cfr. le illuminanti riflessioni di Hervé A. Cavallera, Pedagogia e

modernizzazione: tappe e problemi, in Franco Cambi, Simonetta Ulivieri [a cura

di], Modernizzazione e pedagogia in Italia, Unicopli, Milano, pp. 31-32).

79 Giovanni Fossi, Il pubblico del cinematografo, «La rivista fono-cinematografica»,

11, febbraio 1908, p. 20; poi in «Il Secolo Illustrato», 27 marzo 1908.

80 Rachel Low, Roger Manvell, The History of the British Film 1896-1906, Allen and

Unwin, London, 1948, p. 15.

81 Cinematografo e moralità pubblica, «Civiltà Cattolica», LXV, IV, 1546, 21 novem-

anche – si pensi all’elettroterapia – come un rimedio per combatterli82.

Quest’ultima considerazione ci porta al secondo aspetto comune a tutti i discorsi educativi sul nuovo medium: il cinema è sempre visto come un fenomeno della modernità, come un prodotto della scienza più avanzata. Si legga per esempio quanto dice Rosadi:

Già di per se stessa la proiezione, che pare il prodigio di un ne- gromante, rappresenta uno di quegli avanzamenti nel cammino delle conquiste tecniche, il quale sarebbe tanto più maraviglio- so quanto meno ci avessero abituati alla maraviglia le ultime scoperte del fonografo, dei raggi Roentgen, del motore a scoppio, del telegrafo senza fili. […] La proiezione è dunque in se stessa una nota di progresso83.

Già nel primo decennio del Novecento, la nascente riflessione teo- rica italiana aveva colto con lucidità i legami tra il cinema e l’esperien- za moderna. Nei testi pedagogici del decennio successivo, così come in quelli scientifici, però, il focus della riflessione si sposta: da un’atten- zione più generale all’esperienza della modernità si passa al confronto con alcuni aspetti specifici della modernità stessa, considerati anche dal punto di vista della loro gestione sociale: l’intensificazione quasi traumatica dello sguardo, l’eccitazione nervosa, l’estensione e imme- diata accessibilità dei contenuti, la nascita di un pubblico nuovo.