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I bambini non capiscono né tutto, né nulla: capiscono male. Angelina Buracci1

Tra i tanti meriti della moderna psicologia infantile, dice la Buracci, uno dei più fecondi risiede nella liquidazione dei vecchi luoghi comuni che vanificavano la possibilità di un’analisi scientifica. Per molto tempo, per esempio, si è nutrita la convinzione che l’immaginazione del bambino fosse «superiore a quella dell’adulto» (cfr. infra, p. 326) ma in realtà non è così: «l’infanzia non possiede l’immaginazione in quantità né maggiore, né minore rispetto all’adulto; la possiede diversa»(ibidem) [i corsivi sono nostri]. Il passaggio dalla superiorità alla diversità non è puramente for- male ma implica un nuovo paradigma, sottolineando la necessità di ca- pire i processi mentali infantili dall’interno, nella loro specifica identità, e non in una logica comparativa di rapporti di forza (e di incolmabile di- stanza) tra il bambino e l’adulto. Come si configura però questa diversità dell’immaginazione infantile? Campetti aveva già tentato una risposta nel 1910: «L’immaginazione è dai fanciulli espressa col desiderio di imi- tazione o di rassomiglianza; animali, cose e persone destano simpatie profonde, purché trovino le vie del cuore e della fantasia infantile» (cfr.

infra, p. 161).

Buracci condivide questa analisi e precisa: «Il bambino ha una forte tendenza all’imitazione che lo porta a sostituirsi agli altri esseri, a gioire delle loro gioie, a soffrire delle loro sofferenze» (cfr. infra, p. 334). Questa centralità del fenomeno imitativo nel dibattito sulle proiezioni educati- ve non stupisce, perché sin dal secondo Ottocento le teorie pedagogiche italiane e internazionali2 avevano individuato nel principio di imitazione

1 Angelina Buracci, Cinematografo educativo, cit., cfr. infra, p. 325.

2 Cfr. Lucia Abbondanti Fellicò, Lo spirito d’imitazione nel fatto educativo. Osser-

vazioni e indagini psicologiche, Tip. Fratelli Noviello, Aversa, 1909; Attilio Certo, La imitazione inizio della educazione. Saggio pedagogico, Tip. Reali, Veroli, 1912;

un tipico comportamento infantile («fondato sull’osservazione»3 e inversa-

mente proporzionale allo sviluppo delle facoltà intellettive) fondamentale nei processi di apprendimento. Il fenomeno non è quindi valutato in sé e per sé negativamente: l’imitazione, osserva per esempio Scialdoni, «giova non solo a sviluppare la mente, ma altresì a plasmare il cuore; non solo a educare l’intelletto, ma anche la coscienza e il senso morale» (cfr. infra, p. 315). Uno degli effetti psichici più importanti del fenomeno imitati- vo, osserva la Buracci citando il filosofo francese Pierre-Felix Thomas, è l’identificazione con altri, talora talmente intensa da «farci perdere […] la coscienza del nostro io»(cfr. infra, p. 334). In virtù dei processi iden- tificativi, la visione di un film consentirebbe allora al bambino di vivere un’«esperienza fatta a spese altrui» (cfr. infra, p. 162).

Il fenomeno imitativo è spesso posto in relazione, nel dibattito, con la suggestione. «I due fenomeni», osserva nel 1910 Giuseppina Pistolesi, brillante allieva del filosofo Francesco De Sarlo, «sono correlati ma non coincidenti. Quando si è suggestionati si imita, ma non vale il contrario. La discriminante è l’atto di volizione nel caso dell’imitazione, assente nella suggestione»4. Il concetto di suggestione, all’epoca di gran moda e

ampiamente divulgato non solo tra le comunità scientifiche, rappresen- ta forse la parola-chiave più importante di tutta la riflessione scientifica, pedagogica e morale sul cinema degli anni Dieci, non solo in Italia ma

anche nel contesto internazionale5. Come si può dedurre dalle rifles-

sioni della Pistolesi, ciò che inquieta del fenomeno suggestivo è la sua capacità di assoggettare la volontà del singolo. Nonostante queste pre- occupazioni, tuttavia, nel dibattito sulle proiezioni educative va rilevato un dato che in parte può sorprendere: nella sezione antologica di questo volume, le parole (verbi, avverbi, sostantivi ecc.) riconducibili diretta- mente all’area semantica della suggestione sono oltre cinquanta, ma di queste la grande maggioranza sono utilizzate in un’accezione positiva. Il cinema, dice per esempio Picozzi, detiene uno «straordinario e mirabile Fileno Verrone, Lo spirito d’imitazione nei bambini, F. Cavotta, Santa Maria Ca- pua Vetere, 1913; Emanuele De Caro, L’imitazione e l’educazione dello spirito, Tip. G. Maltese Abela, Modica, 1923; per il contesto francese si rimanda all’ormai classico Paul Guillaume, L’imitazione nel bambino, tr. it. Edizioni Paoline, Fran- cavilla al Mare, 1970 (ed. or. 1925).

3 Giovanni Antonio Colozza, Il giuoco nella psicologia e nella pedagogia, Paravia,

Torino, 1895, p. 42.

4 Giuseppina Pistolesi, L’imitazione, Studio di psicologia, Bocca, Torino, 1910, pp.

91-113.

5 Si vedano per esempio Francisco De Barbéns, La moral en la calle, en el cine-

matògrafo y en el teatro, Ed. Luis Gili, Barcelona, 1914; Édouard Poulain, Contre le cinéma école du vice et du crime. Pour le cinéma école d’éducation, moralisation et vulgarisation, Imprimerie de l’Est, Besançon, 1917; National Council of Public

Morals. Cinema Commission of Inquiry, The Cinema: Its Present Position and Fu-

[…] potere suggestivo»6. Ancora più esplicito è Michele Mastropaolo, se-

condo il quale, «sotto la forma suggestiva, la verità appare più evidente e con maggior rapidità penetra nello spirito» (cfr. infra, p. 303). Fabietti allarga la riflessione e ritiene che la suggestione rappresenti «il fine su- premo di ogni arte rappresentativa» (cfr. infra, p. 346), anche se, come osserva la Chellini, «i quadri non daranno mai la visione suggestiva che porge una bella proiezione cinematografica» (cfr. infra, p. 286). Quasi in opposizione a quanto ha scritto vent’anni prima la Pistolesi, Gabrielli, nel 1925, sempre riferendosi all’esperienza cinematografica, contesta che la suggestione implichi per definizione una sospensione della vo- lontà: «Lo spirito osserva e raccoglie, confronta, forma giudizi, elabora il suo atto volitivo prossimo o lontano, opera insomma e non sta a rice- vere. Lo spirito non riceve mai, si può dire, passivamente, è sempre un motore in attività»7.

Chi, però, più di ogni altro insiste sulla necessità di introdurre nelle scuole un cinema educativo fondato sulla suggestione è Luigi Cremaschi. La sua proposta, singolarmente antitetica rispetto a quella del prefatore al suo volume, il noto pedagogista Raffaele Resta, è chia- ra: a scuola occorre far vedere pochi film, e fuori dalla lezione ordina- ria, ma durante le proiezioni occorre «creare l’atmosfera di suggestione necessaria e sufficiente a incatenare la mente del fanciullo»8. Proprio

per raggiungere questo fine, i film non vanno proiettati in classe ma in una grande aula, capace di assicurare, si potrebbe dire oggi, la po- tenza immersiva e ipnotica del dispositivo:

Rimanga dunque, la sala di proiezioni un poco il tempio oscu- ro d’un rito sui generis e gli alunni ne guardino la soglia, da varcare una sola volta per settimana, con il desiderio suscitato in essi dal piacere delle lezioni e dallo stimolo dell’eccitata fan- tasia9.

Le denunce, ricordate nel capitolo III, della passività spettatoriale si rovesciano dunque di segno, l’«incatenamento» mentale del pubbli- co, che «nella società agisce così spesso a danno, fomentando il vizio ed il delitto»10 può diventare «nella scuola sorgente preziosa di perfe-

zionamento morale e di formazione del carattere»11. Cremaschi ritiene

talmente importante, sul piano educativo, la suggestione, da propor- re un’estensione ambientale della sua azione anche nell’ambito delle

6 Giovanni Battista Picozzi, Il cinematografo nella scuola dei sordomuti, cit., p. 80. 7 Giorgio Gabrielli, Studi ed esperienze, cit., p. 163.

8 Luigi Cremaschi, Le proiezioni luminose nella scuola, cit., p. 53. 9 Ivi, p. 58.

10 Ivi, p. 78. 11 Ibidem.

proiezioni fisse. Già don Costetti, dieci anni prima, aveva intuito che anche le grandi immagini luminose delle diapositive, in questo caso re- ligiose, avevano un positivo potenziale suggestionante, legato al fascino quasi misterico dell’apparizione dell’icona: «l’apparizione istantanea del quadro luminoso sullo schermo che sembra quasi una creatio ex nihilo e la sua scomparsa pure istantanea che si direbbe una visione evane- scente, e voi capite che tutto questo dà allo spettacolo una certa aria di mistero che conviene perfettamente ai soggetti religiosi» (cfr. infra, p. 194). Rispetto a queste considerazioni di Costetti, tuttavia, la proposta di Cremaschi è ben più esplicita. Anche le proiezioni fisse, dice l’auto- re, devono creare suggestione, quindi è inutile, come si faceva invece da anni, brevettare fantomatici schermi per proiezioni a luce diurna: nell’aula deve dominare il buio, proprio come al cinema: «È appunto nell’oscurità che l’effetto suggestivo raggiunge la sua pienezza. Il fan- ciullo non scorge nulla intorno a sè: tutte le sue facoltà convergono al quadro lucente che gli sta dinanzi»12. Ma le analogie con l’esperienza

cinematografica non si fermano qui: Cremaschi aggiunge infatti che le proiezioni fisse non vanno mai interrotte, le domande e le discussioni sono da rimandare alla fine, pena la frantumazione dell’effetto sugge- stivo. Le proiezioni fisse devono trasportare gli studenti «in un mondo incantato»13, fluido e compatto, senza interruzioni di ritmo. «Ogni lacuna

nella successione delle immagini rompe l’incanto cui è legata la mente dei piccoli ascoltatori»14: ecco perché l’autore raccomanda più volte ai

maestri-proiezionisti di curare al meglio la scorrevolezza dei cambi tra un quadro fisso e l’altro, quasi fossero raccordi cinematografici di un montaggio invisibile, premurandosi, per non aprire vuoti, di preannun- ciare l’immagine successiva mentre ancora il quadro non è cambiato. Da quest’ultima osservazione si può intuire quanto sia importante, nel modello di proiezione fissa «suggestiva» auspicato da Cremaschi, il ruolo svolto dalla parola del maestro. Questi, dice l’autore, deve collocarsi alle spalle degli allievi, in modo che la sua voce giunga loro da un punto indefinibile e invisibile dell’aula, accrescendo così l’effetto suggestivo. È proprio la parola a garantire la «continuity» di quel mondo incantato che si è appena descritto. Il maestro, dice Cremaschi, deve infatti proporre

non un commento sporadico e slegato alle vedute che sfilano, ma l’esposizione continuata che determina la necessità della fo- tografia, in quel dato punto e con quei dati elementi […]. Il lega- me tra il soggetto dei vari fotogrammi deve essere continuo15.

12 Luigi Cremaschi, Le proiezioni luminose nella scuola, cit., p. 24. 13 Ibidem.

14 Ivi, p. 25. 15 Ibidem.