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Nel vasto corpus discorsivo che stiamo studiando esiste una ricorrente strategia argomentativa interessata a collocare il recente affermarsi delle nuove tecnologie di proiezione sulla dorsale di un più lungo e radicato processo di filogenesi pedagogica e mediale. Animati dal desiderio di ri- costruire e legittimare una tradizione didattica rimasta per troppo tem- po emarginata, alcuni autori rileggono la storia delle pratiche educative come il racconto di una battaglia plurisecolare tra due visioni opposte: da un lato il metodo logocentrico e astratto della pedagogia scolastica, formalista e dogmatico, difensore di un apprendimento «freddamente meccanico» (cfr. infra, p. 352), dall’altro il metodo basato sulla «lettu- ra del grande libro della natura» (ibidem), incentrato sull’osservazione e sull’esperienza. Il secondo metodo, sicura garanzia per la «ricerca della verità»(ibidem), non nasce con il positivismo, ma ha una lunga storia: vi è chi, come Picozzi, Topi o Costetti, risale addirittura a Orazio e ai suoi celebri versi sul primato della vista (Segnius irritant animos demissa per

aures, Quam quae sunt oculis subjecta fidelibus)9, o chi preferisce invece

partire dal più recente XVII secolo, chiamando in causa Bacone e Galilei, «i titani del naturalismo pedagogico»10 (cfr. infra, p. 353), ma anche – e

soprattutto – Wolfgang Ratke e Comenio, con il suo Orbis Sensualium Pic-

tus, per arrivare ovviamente a Pestalozzi e Fröbel, espressamente citati,

per esempio, da Costetti. Proprio quest’ultimo, peraltro, ci ricorda come il confronto-scontro tra i due metodi germini in fondo da una querelle stori- camente molto più lunga e complessa, i cui confini trascendono l’ambito pedagogico per coinvolgere la questione teologica della rappresentabilità del divino11. In aperta polemica con Giovanni Battista Paganuzzi, espo-

nente di rilievo del movimento cattolico conservatore filo papale, e strenuo oppositore del metodo froebeliano, da lui bollato come «eretico, scomuni- cato e propulsore di materialismo» (cfr. infra, p. 190), Costetti rammenta come già la XXV sessione del Concilio di Trento avesse autorizzato «l’uso delle Immagini come mezzo potente di istruzione religiosa» (cfr. infra, p. 192)12. Anche senza bisogno di scomodare questo più che autorevole pre-

cedente, precisa il canonico emiliano, basterebbe considerare che

9 Orazio, Ars poetica, 180-182.

10 Vincenzo Giannitrapani, Le proiezioni luminose nelle scuole primarie, cit., p. 3. 11 Per un’introduzione storica alla questione delle immagini nelle culture cristia-

ne si veda Graziano Lingua, L’icona, l’idolo e la guerra delle immagini. Questioni di

teoria ed etica dell’immagine nel cristianesimo, Medusa, Milano, 2006.

12 Sul rapporto tra immagini ed educazione nella Chiesa della Controriforma cfr.

nel medio evo, in quel tempo di fede viva ed operosa, [la Chie- sa] aveva tappezzate le pareti delle sue basiliche di una folla di immagini simboliche e di figurazioni storiche le quali servendo all’istruzione degli idioti furono chiamate la Bibbia dei semplici; Biblia pauperum (cfr. infra, p. 192).

Questo legame forte della Chiesa cattolica (e quindi anche di certi suoi orientamenti pedagogici)13 con le immagini viene ulteriormente ali-

mentato, dal Seicento, dalla lanterna magica, la cui invenzione i Gesuiti di «Civlità Cattolica» – tutt’altro che ostili al metodo dell’insegnamento oggettivo – orgogliosamente rivendicano al loro confratello Athanasius Kircher (cfr. infra, p. 274). Proprio la lanterna magica, non a caso, è con- siderata nel dibattito come la «madre» di tutti i media audiovisivi, ossia come la matrice originaria della storia delle proiezioni educative. Spesso l’ormai remota stagione della lanterna è associata all’altrettanto lonta- na infanzia dei protagonisti del dibattito, quasi a voler rafforzare l’idea deterministica di un’evoluzione pressoché naturale, biologica, dei dispo- sitivi. La lanterna magica è ricordata, quindi, con la stessa affettuosa nostalgia, unita al disincanto di un inevitabile distacco, che accompagna i ricordi cari ma perduti dell’infanzia. «Chi non la ricorda?», si chiede per esempio Natalina Baudino, «noi bimbi si rideva, di quello schietto riso che fa buon sangue» (cfr. infra, p. 181). Giovanni Rosadi le fa quasi eco, rievocando con tenerezza, «la lanterna magica che ci affumicò gli occhi attoniti e appuzzò le candide mani nella nostra adolescenza»14.

Da questo condiviso attaccamento per la lanterna magica si apre però una discussione a distanza tutt’altro che concorde sulle ascen- denze storiche dei due diversi regimi della visione, fisso e animato. Le

13 Sulle culture pedagogiche ed educative cattoliche tra Otto e Novecento cfr. Eva

Maria Hohnerlein, Development and Diffusion of Early Childhood Education in

Italy: Reflections on the Role of the Church from a Historical Perspective (1830-2010),

in Harry Willekens, Kirsten Scheiwe, Kristen Nawrotzki (a cura di), The Develop-

ment of Early Childhood Education in Europe and North America. Historical and Comparative Perspectives, Palgrave Macmillan, New York 2015, pp. 71-91; Giorgio

Chiosso, Profilo storico della pedagogia cristiana in Italia (XIX e XX secolo), cit.; La

pedagogia cristiana del Novecento tra critica e progetto, La Scuola, Brescia, 2000;

Luciano Pazzaglia, Cattolici, scuola e trasformazioni socio-economiche in Italia tra

Otto e Novecento, La Scuola, Brescia, 1999; Carla Ghizzoni, Educazione e scuola all’indomani della Grande Guerra. Il contributo di «Civiltà Cattolica» (1918-1931), La

Scuola, Brescia, 1997; Mario Cattaneo, Luciano Pazzaglia (a cura di), Maestri,

educazione popolare e società in «Scuola italiana moderna», La Scuola, Brescia,

1997; Carmen Betti, Religione e patria. Cattolici e scuola nell’Italia giolittiana, Centro Editoriale Toscano, Firenze, 1994; Luciano Pazzaglia, Movimento cattolico

e questione scolastica, in Francesco Traniello, Giorgio Campanini, Dizionario sto- rico del movimento cattolico in Italia, vol. I, t. 2, Marietti, Torino, 1981, pp. 72-84.

principali interpretazioni filogenetiche che attraversano il dibattito ci paiono almeno due. Una prima tesi, convinta sostenitrice del primato educativo delle proiezioni animate, vede nel cinema un’innovazione tecnologica e comunicativa talmente moderna da emanciparsi total- mente rispetto alla senescenza, quasi imbarazzante, della lanterna magica. In questa visione, il cinema appare come l’esito più compiuto di un’unica catena evolutiva: «Il trionfo pieno dell’immagine come au- siliario all’insegnamento», dice Ettore Fabietti, «si ebbe solo con l’ap- plicazione del cinematografo, che attuò l’ultimo dei desiderata, la vi-

sione delle cose in movimento»15. La lanterna magica, scrive Corrado

Bressan, «vale ben poca cosa» (cfr. infra, p. 201), e fino alla sua recente riabilitazione a fini educativi, egli aggiunge, «era stata dimenticata e aveva dormito sonni profondi relegata in qualche soffitta» (cfr. infra, p. 202). Ancora più severo è il giudizio storico di Domenico Orano, se- condo cui la proiezione di immagini fisse in chiave istruttiva è irrime- diabilmente legata al passato, a esperienze già collaudate e superate, e a nulla possono valere i posticci tentativi di modernizzarla: «Non si tratta in fondo che della vecchia lanterna magica un po’ perfezionata e messa in azione dalla corrente elettrica, mezzo di cultura scolastica che ha da tempo ampio e razionale sviluppo in Francia, in Svizzera e in Germania» (cfr. infra, p. 174).

Una seconda tesi, invece, contesta questa visione evolutiva a di- rezione unica (dalla lanterna magica al cinema) che giustificherebbe la superiorità delle proiezioni animate sulle fisse. «L’osservazione che la visione animata rappresenta un superamento di quella fissa non è fondata: tanto varrebbe dire che la macchina cinematografica rap- presenta un superamento di quella fotografica», osserva per esempio Cremaschi, «l’una e l’altra sussistono con una propria ragion d’essere, con compiti diversi, rispondendo a bisogni diversi»16. In questa visio-

ne filogenetica non si avverte mai un’ostilità misoneista nei confronti del cinema, anzi: educatori come Baudino e Picozzi affidano in pro- spettiva al nuovo medium «i futuri, augurati rinnovamenti dei metodi d’insegnamento» (cfr. infra, p. 187). Ciò che però i sostenitori di questa tesi intendono negare con forza è che nelle conferenze o nelle lezioni scolastiche le proiezioni rappresentino qualcosa di arcaico: al contra- rio, esse si distinguono dalla vecchia lanterna magica proprio in virtù della loro avanzata modernità tecnologica. «L’odierna proiezione con diapositivi», asserisce per esempio Geisser, convinto sostenitore del primato delle proiezioni fisse, «è la lanterna magica della nostra in- fanzia trasformata mercé i progressi della tecnica moderna» (cfr. infra, p. 269). «La scienza», ribadisce dieci anni dopo Alessio, «ha fatto di

15 Ettore Fabietti, L’immagine nell’insegnamento, «Proiezioni luminose», III, 2,

1923, p. 1.

questo vecchio giocattolo un apparecchio molto utile […] anche a sco- po istruttivo ed educativo»17.

Le proiezioni fisse, secondo questa tesi, non rappresenterebbero quindi il vecchio scalzato dal nuovo (il cinema), bensì, al contrario, il nuovo che ha soppiantato il vecchio. Quest’ultimo è rappresentato non solo e non tanto dalla lanterna magica quanto dagli strumenti che co- stituiscono, per dirla con Fabietti, la «preistoria dell’impiego didattico dell’immagine»18, ossia i materiali tradizionali dell’insegnamento ogget-

tivo: «gli antichi cartelloni sdrusciti [sic] dall’uso, le stampe e le fotogra- fie ingiallite dal tempo, e gli stessi libri più recenti, ricchi d’incisioni,

con le loro serie di racconti muti»19. Ma anche, come rileva Lombardo

Radice, il «vecchio, semplice cliché, che è diventato cosa preistorica»20.

Il disegno evolutivo restituito dalle posizioni espresse nel dibattito, dunque, postula due diverse gemmazioni dal ceppo della lanterna ma- gica: da un lato le moderne proiezioni diascopiche, dall’altro il cinema. La distinzione tra i due medium è sottolineata dai sostenitori di en- trambe le tesi filogenetiche. Per i difensori dell’immagine fissa, la bifor- cazione evolutiva è essenziale perché sottintende un giudizio di merito: il cinema patirebbe, a differenza delle proiezioni luminose, una sorta di predisposizione alla corruttibilità delle sue ascendenze. Il nuovo me- dium infatti, come sottolinea nel 1923 Annibale Correggiari, diretto- re dell’IIPL, «ha una storia ancora più breve di quella, già corta, della

fotografia»21, eppure secondo Lombardo Radice è già da «purificare [e

da] riabilitare»22, per ragioni che approfondiremo nel capitolo III.

Per i sostenitori, invece, delle immagini animate, da loro concepite non già come perfezionamento quanto come radicale superamento del- la lanterna magica, il fatto di smarcarsi dai debiti storici contratti con le proiezioni fisse, significa – come si dirà meglio nel prossimo para- grafo – attribuire al cinema la capacità, e la responsabilità, di fondare un rapporto nuovo e fecondo tra le immagini e la realtà23.

17 [Alessio], Le proiezioni fisse-cinematografiche nelle scuole comunali, cit., p. 43. 18 Ettore Fabietti, L’immagine nell’insegnamento, cit., p. 1.

19 Giovanni Battista Picozzi, Il cinematografo nella scuola dei sordomuti, «Rivista

di pedagogia emendatrice per l’educazione dei sordomuti e degli anormali affini», III, 3, 1909, p. 86. I «raccontini muti» di Ernesto Ciralli sono ricordati da Scialdoni come tra i più recenti antesignani delle proiezioni educative (cfr. Luigi Scialdoni,

Il cinematografo nella scuola, cit., infra, p. 310 ss.).

20 Gli atti del primo congresso nazionale dei cinematografi educativi e delle proie-

zioni scolastiche, «Proiezioni luminose», II, 7-10, 1923, p. 2.

21 Ivi, p. 3. 22 Ivi, p. 2.

23 A questa tesi del superamento, che caratterizza le posizioni dei difensori

dell’immagine animata nella prima fase del dibattito, si affianca poi, non solo in Italia, anche una tesi più moderata, interessata invece a dimostrare l’armoniosa continuità del cinema rispetto alla lanterna magica: il fine dei sostenitori di tale