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(1896)

È stato detto – e mi sembra assai giustamente – che l’uomo, il quale sta serio quando v’è argomento per ridere, è altrettanto stolto quanto l’uomo che ride quando v’è da star seri; anzi taluni hanno soggiunto esser più savio l’uomo che negli atti umani sa scoprire il lato allegro prima che il doloroso.

Eppure, il timore di parer leggeri, di parer da meno della propria «posizio- ne sociale» guasta spesso de’ bei caratteri e delle buone idee. Così, per rifles- so, si ritengono poco pratiche le persone d’indole lieta, e si dà fede di grandi uomini a certe mediocrità solo perché camminano adagio, parlano adagio, mangiano adagio, non sorridono mai e stanno contegnosi e dritti come pali, e, salutando, accennano col capo, come Giove dall’Olimpo omerico.

Questa presunta dignità delle persone ha il suo riscontro nella dignità dei luoghi. Si pensa, infatti, che una cosa volgare, anche se utilissima, non si debba accettare se in disaccordo con la solennità dell’ambiente.

Sentite: nei musei di Berlino, di notte, si liberano dei grossi mastini, per- ché facciano, come si dice, la guardia alle preziose raccolte. Naturalmente i ladri ne hanno paura, perché i mastini al più piccolo rumore ringhiano, abbaiano e non ascoltano ragione e non si lasciano corrompere, così come potrebbe fare qualche guardia alla promessa di una fortuna, e mettono tosto il vicinato a rumore e addentano maledettamente chi si senta d’affrontarli. Ebbene: chi oserebbe proporre un uguale provvedimento per le gallerie e i musei italiani senza incontrare il ridicolo presso gli uomini serii, presso co- loro che vedrebbero contaminata la dignità e la solennità dei nostri istituti, sguinzagliando in essi dei cani, come per le aie dei contadini, o presso le mandre?

Nella chiesa di S. Antonio a Padova si è creduto bene di liberare, a notte, simili custodi; ma quante critiche non si son fatte!

Quante lamentanze sentimentali non si sono levate! «I cani in chiesa» an- che il proverbio non li approva, e poi... e poi... pensate come, in mancanza di senso religioso, potranno condursi a notte! E vero che, tanto a Berlino che a Padova, conoscono bene le cucce, tratte fuori ogni sera per loro, e rispettano le sale nitide e le navate; ma a parte questo, quanto poco riguardo nel latrare alla luna verso i lucernari e le finestre in cospetto di un sant’Antonio trecen- tesco o di un busto romano di Giulio Cesare!

Che volete? I pregiudizi non si vincono facilmente. Intanto a Berlino e a Padova stanno tranquilli, mentre noi siamo in un sospetto e in una pena continua per le nostre raccolte.

Ad un vantaggio, del resto, molto evidente per l’istruzione elementare, si è, fino a pochi anni indietro, rinunziato, per lo stesso falso concetto, della solennità o decoro o venerazione delle scuole. Il motto fratesco «in studium, non in spectaculum» ha valso ad allontanare per secoli e secoli tutto ciò che poteva presentare un diletto per gli scolaretti. Si è avuto un sacro scrupolo di sceverare quanto si credeva che costituisse lo studio, da quanto pareva giuoco: non si è capito che il giuoco stesso poteva venire a servigio dello stu- dio. Di qui un’antipatia dei fanciulli per la scuola, una malinconia, una svo- gliatezza tanto maggiore quanto maggiori erano la salute e l’intelligenza e la vivacità loro. In iscuola si doveva stare per ore seduti, con le braccia conserte. I raccontini che si leggevano dovevano essere seri e bigottamente morali, pre- parare insomma lo spirito del «saputello in conversazione». Guai alla facezia che avesse fatto ridere, alla figurina che avesse distratto! Immobilità assoluta dell’anima e del corpo. Questo si voleva, e, convien riconoscere, si otteneva.

Certo le cose oggi sono mutate: ma si è fatto ben poco, in confronto di ciò che si può fare. I libri di lettura, specialmente, per la varietà piacevole dei rac- conti e per le illustrazioni sono assai migliorati e i fanciulli li leggono con più diletto, e, quindi, con più attenzione e profitto. Ma quanto maggiore sviluppo si può ancora dare alla rappresentazione grafica!

Mi sono trovato in una villa (dove erano raccolte diverse famiglie e quindi un nuvolo di bambini) proprio nei giorni nebbiosi e piovosi di un malinconico ottobre.

Dalla città ho portato per divertirli una lanterna magica (veramente ma- gica), per la quale passavano luminosamente scenette campestri, animali, fiori e i monumenti principali delle città italiane.

Ho diviso i fanciulli in due schiere: i più piccoli ho ammessi al godimento della lanterna magica; invece ho mostrato disegnetti e incisioni e libercoli scola- stici, dove sono riprodotti presso a poco gli stessi animali, gli stessi fiori, gli stes- si monumenti, ai più grandi. Questi ultimi dapprima si sono mostrati attenti e curiosi, hanno ascoltate le mie parole con qualche interesse, hanno guardato «le figure» e fatto qualche osservazione; poi si sono mostrati un po’ stanchi e sono tornati ai loro giuochi prediletti, con visibile piacere. Così per alcuni giorni.

Dai piccoli, intanto, non mi potevo liberare: ad ogni momento mi erano intorno per rivedere le grandi e splendide figurazioni proiettate sul muro. Che gridi d’ammirazione all’apparire dell’elefante! Che paurosa attenzione al pas- saggio del leone, del serpente boa, della tigre! Che lieta sorpresa al balenare del Canal Grande di Venezia, della chiesa di S. Pietro in Roma, della torre pendente di Pisa, del golfo di Napoli col Vulcano fumante! Che occhi spalan- cati per meraviglia quando si presentava l’ingrandimento di un insetto, di un fiore, di un’erba! E su tutto quale delizioso e profondo desiderio di vedere, anzi di rivedere e di sapere. Se minacciavo qualcuno, più clamoroso, d’allontanar- lo, erano preghiere e promesse di essere quieto e buono.

E il risultato? Eccolo... disegni, incisioni, libercoli e lanterna magica, tut- to fu chiuso in un armadio per sette giorni con poco dolore dei grandi e con molto dei piccoli: poi si riprese fuori ogni cosa per un’ultima rappresentazione perché io dovevo andarmene.

Come riconobbi da quel momento la «felicità» di quella lanterna, di quel giuocattolo, quale elemento di studio! E sì che si trattava di cosa molto primi- tiva e imperfetta, al confronto di quelle che si possono fare o trovare con l’in- serzione di negative fotografiche, che potrebbero riprodurre anche capolavori d’arte, e così educare il senso estetico dei giovanetti fin dal primo svegliarsi dell’intelletto.

Ma che sperare? Come hanno gridato contro i cani dei Musei di Berlino e della chiesa di S. Antonio a Padova, le persone serie si leveranno contro l’idea di fornire le classi elementari d’una buona lanterna magica, e magari ne rideranno.

Diamine! Dove andrebbero la dignità della scuola e la solennità dell’in- segnamento?

«Corriere della sera», XXI, 301, 1-2 novembre 1896, pp. 1-2, poi in Corrado Ricci, L’arte dei bambini, seconda edizione, Zanichelli, Bologna, 1919 (poi: Armando, Roma, 1959; Fogola, Torino, 1978).

G. Fossa