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(1911)

Quanto più l’insegnamento veniva perdendo l’impronta aristocratica per di- scendere agli strati sociali più diseredati del sapere, tanto più i suoi metodi dovevano in correlazione mutarsi ed arricchirsi di processi dapprima inau- diti. Invero il rigido insegnamento classico, che si rivolge unicamente alla ragione e procede attraverso gl’implacabili sillogismi, mal poteva adattarsi alle menti popolane incapaci a seguire i meandri della logica astratta ed avi- da piuttosto di palpabili dimostrazioni. Perciò l’elemento logico e raziocinante doveva assumere nell’insegnamento una parte sempre meno ragguardevole, di quanto invece dovevano prevalervi le forme didattiche più materiali e con- crete, il bozzetto, l’esposizione, la visione degli oggetti e delle loro scambievoli relazioni. Ma frattanto, ed anche più efficacemente, l’insegnamento giovavasi di più squisite invenzioni, quali la fotografia ed il cinematografo. Già la foto- grafia erasi adottata con grande successo quale strumento didattico, e, cosa notevole, più specialmente in quei paesi, che noi siamo avvezzi a considerare più sordi alla voce della civiltà. Così mi rammento di aver notato all’Esposi- zione di Parigi del 1900 una serie di fotografie a colori su lastre di vetro, di- sposte attorno ad un perno girante, e designate a rappresentare ai giovanetti delle scuole tutti gli orrori dell’alcoolismo.

Ma la fotografia ha fornito all’insegnamento un ausilio anche più rag- guardevole grazie al cinematografo, che già s’intende, e molto opportunamen- te, sfruttare ad intento didattico. Di tale concetto si è fatto fervido apostolo il prof. Levi Morenos di Venezia1, il quale vorrebbe che il cinematografo si

usasse a documento educativo ed istruttivo, o ad illustrazione delle mani- festazioni più varie della vita animale e vegetale. E già stiamo per avere un cinematografo pacifista, che darà alle aspirazioni più sante della nostra età il più palpabile e luminoso commento, schierando in bell’ordine innanzi agli sguardi del pubblico tutti gli orrori della guerra o della strage. Mai io vorrei inoltre che il cinematografo descrivesse le nefandità dei tuguri e delle soffitte, delle zolfare e delle miniere: che sarebbe questo il modo più efficace a diffon- dere negli animi l’obbrobrio di cotali enormezze [sic]. Per esempio, un cinema-

1 [David Levi Morenos (1863-1933), insegnante di storia naturale, botanico, pedagogi-

tografo il quale descrivesse i costumi e le miserie dei contadini dell’Agro Ro- mano farebbe più per la redenzione di quella nobile e sciaguratissima plaga, che non tutta una miriade di articoli e di conferenze arroventate o di ponzanti Commissioni governative.

Ora, data la grande e crescente importanza, che la fotografia, il cinema- tografo, le proiezioni luminose, vanno assumendo nel sistema della didattica moderna, e in ispecie della didattica popolare, era perfettamente logico che le associazioni più tenere della istruzione nelle più dimesse sue forme si preoc- cupassero del modo più adatto a fornirle dell’apparato tecnico necessario. Ma qui appunto gravi difficoltà si opponevano a motivo delle imperfezioni della mano d’ opera nazionale, frutto esse stesse di un sistema didattico per molta parte arretrato e inadatto. Sembra, invero, che noi qui ci avvolgiamo in un circolo vizioso.

L’istruzione popolare, a poter penetrare efficacemente nelle vergini menti del volgo, ha d’uopo di diapositive possenti e magistralmente preparate. Ma appunto a tale preparazione mal si confanno le nostre popolazioni lavoratrici nutrite di un’istruzione incoerente, astrattissima, e, ciò che è peggio, defi- ciente nell’aspetto professionale. Da codesto circolo, due soli sono i modi di uscita: o cioè che le associazioni dedite all’istruzione popolare riformino l’in- segnamento popolare sovra basi nuove e più precise, che pongano gli operai nostri in grado di fornire i nuovi strumenti didattici, o che esse si addossino la produzione diretta di siffatti strumenti, organizzandola secondo i propri scopi superiori.

Né v’ha alcuna ragione perché debba prevalere l’uno o l’altro di questi due metodi che possono pacificamente coesistere con vantaggio comune. Ma non è men vero che, mentre il secondo metodo può immediatamente adottarsi, il primo è invece, nelle condizioni odierne dell’insegnamento popolare, im- possibile, per la incapacità di questo a formare una squisita ed addottrinata maestranza. Perciò immediatamente è forza ricorrere al secondo metodo, od alla produzione diretta degli apparati didattici più evoluti; senza che possa escludersi la speranza che appunto il miglioramento derivante da questi me- todi più squisiti e dall’universale fervore di impulsi, all’istruzione popolare, riesca alfine ad affinare le menti dei nostri operai ed a renderli adatti alla produzione dei mezzi didattici perfezionati.

Ecco perché io applaudo di gran cuore al disegno di codesta rispettabile associazione e veggo in esso la sola strada di uscita da una contraddizione altrimenti inestricabile. Ed applaudo con tanto più intenso fervore, quanto che veggo per tal guisa attuarsi con intenti democratici dei metodi che fin qui erano usati a scopo aristocratico e sfruttatore. Fin qui infatti era costu- me riserbato alle grandi coalizioni d’imprenditori d’annettere alla produzione della merce compiuta, quella della materia prima, all’intento di vincere più facilmente nella concorrenza i produttori più deboli, inadatti a simili concen- trazioni. Ebbene è assai lodevole che un tal metodo, fin qui usato dai trusts onnipossenti a scopo di accaparramento e di lucro, sia invece imbrandito dai sodalizi didattici allo scopo eminentemente democratico della universalizza-

zione del sapere, o che si torca a stromento della pace e del bene quella che era stata finora un’arme di guerra e di sterminio.

Che una tale organizzazione debba presentare difficoltà tecniche non lie- vi è ciò che niuno oserebbe contestare. Ma tuttavia non conviene nemme- no esagerarne le difficoltà. Basterebbe infatti ad assicurare la riuscita della nuova impresa, che alcuni volonterosi anticipassero il capitale necessario al primo installamento, ricevendo in contraccambio un certo numero di azioni, e che poi si fondasse una prima officina cooperativa, in un centro ove per avventura si trovasse un manipolo di lavoratori capaci. Questi dovrebbero ottenere immediatamente, oltre ad un salario, una partecipazione al profitto dell’impresa: ma si dovrebbe però stabilire che codesta parte del profitto aves- se ad impiegarsi in acquisto delle azioni, fino al totale loro riscatto dai primi sottoscrittori. Per tal guisa il capitalista dovrebbe intervenire nulla più che all’inizio della nuova impresa, la quale finirebbe per essere esclusivamente ed essenzialmente operaia. Tale per somme linee, potrebbe essere l’ordinamento del nuovo istituto, al quale auguriamo che la scienza sia madrina, il disinte- resse padrino, altare il civile progresso e che sotto le navate delle nuove scuole del fatto, s’incalzino numerose ed assidue le nuove genti assetate di sapere e di verità.