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Sul ruolo della storia nella scuola italiana tra Otto e Novecento esiste un intenso dibattito storiografico8 che si è interrogato, in particolare,

sulle funzioni etiche e politiche attribuite all’insegnamento di questa disciplina da parte della classe dirigente liberale. All’interno di tale dibattito non tutti concordano sul fatto che la storia, oggetto, come si vedrà a breve, di continui riaggiustamenti nelle differenti revisioni dei programmi, abbia offerto un contributo sostanziale ai processi di educazione e identificazione nazionale9.

7 Augusto Calabi, Il cinematografo come mezzo di educazione estetica e sociale,

«La coltura popolare», III, 15-16, 1913.

8 Sulla didattica della storia nella scuola italiana tra Otto e Novecento si vedano:

Anna Ascenzi, Tra educazione etico-civile e costruzione dell’identità nazionale. L’in-

segnamento della storia nelle scuole italiane dell’Ottocento, Vita & Pensiero, Milano,

2004; Giuseppe Ricuperati, Storia della scuola in Italia, cit., pp. 41-61; Camilla Weber,

I libri scolastici per l’insegnamento della storia nell’Italia liberale, «Mélanges de l’École

française de Rome – Italie et Méditerranée modernes et contemporaines»,CXXVII, 2, 2015, http://mefrim.revues.org/2276 (consultato il 10 settembre 2016); Antonio Gio- ia, L’insegnamento della storia tra ricerca e didattica: contesti, programmi, manuali, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005; Francesco Bartolini, Roma nella scuola degli

italiani. L’idea della città nei manuali di storia tra 1870 e 1915, «Dimensioni e problemi

della ricerca storica», 1, 1996; Teresa Bertilotti, Una ragionevole compiacenza di ap-

partenere a una gran nazione: insegnamento della storia e valorizzazione dei patrimo- ni locali nella scuola elementare (1860-1923), «Mélanges de l’Ecole française de Rome.

Italie et Méditerranée», CXIII, 2, pp. 789-801; Gianni Di Pietro, La storia nelle scuole

medie dalla fine del 700 all’età della Destra, «Società e storia», 6, 1979, pp. 725-761.

9 Uno dei più convinti sostenitori della necessità di questo ridimensionamento è

Al di là delle valutazioni storiografiche, può essere utile, ai fini del nostro discorso, rintracciare la presenza della storia nei programmi per le scuole elementari. Tale presenza inizia a rafforzarsi sensibil- mente con la riforma Gabelli del 1888, la prima dopo l’introduzio- ne dell’obbligatorietà scolastica (1877), includendo in misura sempre maggiore vicende e protagonisti (primi fra tutti Cavour e Garibaldi) del Risorgimento. Quest’ultima espressione entrerà però ufficialmente nei programmi delle elementari solo con la riforma Baccelli del 1894, tesa a rafforzare l’idea nazionale anche «alla luce del crescente impegno militare italiano nelle colonie»10, e orientata a una drastica riduzione,

nei programmi, dei contenuti storici, limitati di fatto a Roma antica e, appunto, all’epopea dell’unificazione italiana, identificata come punto di partenza per lo studio della storia. Orestano conferma la centralità dei Risorgimento anche nei programmi del 1905: il periodo in que- stione, considerato didatticamente strategico per gli «ammaestramenti altamente patriottici e civili»11, costituisce addirittura «il principio e la

fine del corso di storia nelle scuole elementari»12. Nella visione didattica

di Orestano il nesso tra educazione civile e insegnamento della storia risorgimentale, esplicitato già nelle riforme Gabelli e Baccelli, diventa ancora più intenso. Come traspare pienamente da queste parole:

l’alunno deve formarsi la coscienza di essere cittadino di una Patria e deve sapere che cosa sia costato agli Italiani il farsene una, rompendo catene di secolari oppressioni straniere e abbat- tendo gli artificiosi confini, che le regioni mutavano in Stati13.

Con la riforma Gentile si rafforza non solo la presenza della storia antica, in particolare di quella romana, ma anche l’attenzione alla storia più recente: il Risorgimento (il cui insegnamento viene antici- pato al ciclo inferiore nel caso di scuole elementari che non attivano le classi superiori), naturalmente, ma anche la Grande Guerra e la Rivoluzione fascista, tre fasi storiche ideologicamente saldate da un rapporto di continuità evolutiva.

Appare evidente, quindi, come il Risorgimento rappresenti, quanto meno nei programmi della scuola primaria tra Otto e Novecento, un pe- riodo storico fondamentale e esplicitamente insegnato con finalità ideolo- giche: anche nel dibattito che stiamo studiando si avverte – come si dirà a breve – la centralità didattica e politica di questo periodo storico.

10 Marco Civra, I programmi della scuola elementare dall’Unità d’Italia al 2000,

cit., p. 56.

11 I programmi del 1905 (R. D. n. 45 del 29 gennaio 1905), in Marco Civra, I pro-

grammi della scuola elementare dall’Unità d’Italia al 2000, cit., p. 310.

12 Ibidem. 13 Ibidem.

Un ulteriore dato comune a tutti i programmi citati è il costan- te riferimento a una didattica della storia incentrata sul «metodo del

raccontare a voce e per iscritto»14. Le modalità di insegnamento del-

la storia si affidano in sostanza alla narrazione del singolo episodio, dell’aneddoto, del racconto biografico: con queste premesse metodo- logiche si può bene intuire perché il cinema sia chiamato spesso in causa come sussidio fondamentale nella trasmissione dei primi saperi storici proprio in quanto straordinaria fabbrica di racconti. Nei pro- grammi del 1894, in particolare, si possono leggere alcune riflessioni interessanti per il futuro impiego del cinema nell’insegnamento della storia:

La storia nelle scuole elementari non può essere una esposi- zione continua di nomi, di fatti e di date; ma consisterà princi- palmente in racconti che stiano da sé e valgano a dare un’idea degli uomini e degli eventi che più contribuirono all’opera del rinnovamento d’Italia. Sebbene queste narrazioni si proponga- no di muovere la fantasia ed il cuore e di suscitare entusia- smi di amor patrio, non debbono tuttavia essere destituite delle qualità che sono essenziali alla storia, cioè della veridicità e dell’esattezza nelle circostanze di luogo e di tempo15.

Le parole di Baccelli prefigurano, senza ovviamente averne l’inten- zione, i due principali termini del dibattito su cinema e insegnamento scolastico della storia: da un lato il delicato problema della fedeltà nel- la ricostruzione del passato, questione legata alla supposta capacità del cinema di restituire il vero; dall’altro lato il ruolo determinante del- lo stimolo emotivo (senza il quale, si dice in sostanza, la propaganda patriottica fallisce).

La questione della fedeltà è molto sentita nel dibattito, e può con- durre a posizioni di netta opposizione all’uso didattico del film storico di finzione, pur in quegli stessi anni tra i generi più popolari e insieme artisticamente più apprezzati del cinema italiano. Non si deve dimenti- care tuttavia che i primi anni Dieci segnano non solo l’avvio della fortu- nata parabola delle produzioni storiche italiane ma anche il momento di massima affermazione dei «dal vero». Proprio la crescente popolarità delle attualità sulla guerra italo-turca (ampiamente citate nel dibattito, come si dirà a breve), e il loro progressivo addensarsi in film dalla durata decisamente estesa rispetto ai precedenti standard, di norma più ridotti, del genere documentario, si affianca al processo di costante e uniforme aumento dei metraggi dei film di finzione, concorrendo così insieme a

14 Ivi, p. 313.

15 Guido Baccelli, Relazione a S.M. il Re, in R.D. 29 novembre 1894, n. 525. Riforma

questi ultimi all’affermazione del lungometraggio nel nostro paese16. La

querelle tra i sostenitori del «dal vero» e quelli del film di finzione, dunque, non fa riflettere, in chiave didattico-pedagogica, una dialettica storica già interna al contesto produttivo e alla riflessione proto-teorica del periodo. Alberto Geisser, nel 1914 (l’anno di Cabiria…) scrive che le «pelli- cole di storia saranno inevitabilmente rievocazioni fittizie, artificiose, create nell’ambiente odierno (per es. con ferrovie o fumaioli industriali accanto a monumenti millenari) e da attori-burattini, per quanto ar- tisti» (cfr. infra, p. 271 ss.). Un’analoga ostilità verso il cinema storico narrativo si può cogliere nelle parole del socialista Emidio Agostinoni, direttore dell’INM, che esclude dai programmi produttivi dell’ente «la riproduzione di scene, che, quasi sempre finiscono con l’offendere la verità storica»17, preferendo invece la «riproduzione cinematografica dei

luoghi celebri per fatti storici ed alla riproduzione, in proiezioni fisse, di opere d’arte, grafiti, cimeli e quant’altro potrà essere utile alla ricostru- zione ideale delle lontane vicende»18. Già da alcuni anni, la Baudino,

praticava nella sua scuola elementare torinese una tecnica nell’inse- gnamento della storia analoga a quella prospettata nelle ultime parole di Agostinoni, ossia la proiezione di diapositive dei principali monumen- ti storici italiani, capaci, lei dice, di esercitare «sull’animo dei fanciulli una ben più efficace azione educativa che non una filza di aridi nomi di città e di luoghi che ingombrano la mente e lasciano freddo il cuore» (cfr. infra, p. 187). Malgrado questa sua predilezione per le proiezioni fisse, dettata anche da ragioni tecniche ed economiche, la Baudino non è in prospettiva contraria all’eventualità che il cinema possa costituire un supporto didattico per l’insegnamento della storia. Ben più intran- sigente è invece, nel 1919, il filosofo Giovanni Tinivella, che parla, nel caso dei film che ricostruiscono la storia, di «deformità costituzionali» (cfr. infra, p. 350).

Non sposa invece queste convinzioni Corrado Ricci, con una scelta che può sorprendere considerando il suo ruolo di pioniere nelle proie- zioni di diapositive artistiche. Secondo Ricci, la finzione e l’invenzione sono legittime anche nelle ricostruzioni storiche così «come l’arte ha sempre ammesso la pittura e la scoltura storiche, come la letteratura

ha sempre ammesso il dramma e il romanzo storici»19. Resta però in-

dispensabile, ovviamente, garantire la massima cura nel rispetto delle fonti d’epoca:

16 Sul rapporto tra i film legati alla guerra italo-turca e il lungometraggio cfr.

Luca Mazzei, Sila Berruti, “Il giornale mi lascia freddo”: I film ‘dal vero’ dalla Libia

(1911-12) e il pubblico italiano, «Immagine», 3, 2011, pp. 53-103; Luca Mazzei, La celluloide e il museo. Un esperimento di “cineteca” militare all’ombra della prima Guerra di Libia (1911-1912), «Bianco e Nero», 571, 2011, pp. 67-85.

17 Cfr. Giovanni L. Livoni, Il cinema e l’insegnamento, cit., p. 21. 18 Ibidem.

le ricostruzioni dovranno essere integralmente opera accura- ta di ricerca e d’arte, opera atta a rivelare il grado di coltura e di gusto di chi la ideò e la tradusse in azione. La scelta dei tipi umani avveduta, il costume, le architetture, il paese ugual- mente studiati e riprodotti. Mettere gli attori e i costumi nuovi, mettere, in altre parole, il falso negli ambienti reali, è un errore, cui ci opporremo sempre. […] O tutto severamente reale; o tutto liberamente artistico. Così soltanto, il pubblico potrà fare una distinzione precisa tra ciò che è vero e ciò che la fantasia uma- na ha genialmente immaginato (cfr. infra, p. 217).

Orestano condivide le tesi di Ricci sulla piena legittimità di una ri- costruzione drammatizzata, e «massimamente fedele» (cfr. infra, p. 239), della storia, purché l’azione storica sia «riprodotta nei luoghi stessi che ne furono teatro» (ibidem,).

Altrettanto sentita, come anticipato, è la questione del coinvolgi- mento emotivo. L’insegnamento verbale si affida a elenchi di «aridi nomi di città e di luoghi che ingombrano la mente e lasciano freddo il cuore» (cfr. infra, p. 187), mentre il cinema, con la sua «potente e rapida evi- denza» (cfr. infra, p. 355) – molto più efficace della «fredda immobilità di un quadro» (ibidem), dice qualcuno in polemica con le proiezioni fisse – può attivare l’attenzione degli scolari, eccitando gli animi, e imprimen- do «nella loro anima plastica un’orma mille volte più durevole, di quella che può la parola» (cfr. infra, p. 153). Il coinvolgimento emotivo può innescare dei processi identificativi (di cui si dirà meglio nel prossimo capitolo) talmente intensi da produrre nel «nostro io la illusione di vivere in epoca diversa, in quella particolar epoca cioè, in cui la cinematogra- fia vuol trasportarci e acclimatarci»(cfr. infra, p. 297). Chi riflette più in profondità sull’efficacia, a volte persino inquietante, di questi processi di identificazione o di empatia, è certamente Angelina Buracci: a suo avviso, tale efficacia risiede nella predisposizione psicologica del bambi- no al «culto dell’eroe»20, propiziato dal cinema:

Descrivete ad un fanciullo la figura di un guerriero e lo ricorde- rà per qualche giorno; conducetelo in un cinematografo a vede- re lo stesso guerriero e lo ricorderà per qualche anno, perché la vista della statura, della corporatura, dell’atteggiamento della persona, dei gesti, sarà un intenso stimolo che manterrà viva l’immagine, esatta l’idea, senza l’aiuto di un eccessivo sforzo mnemonico (cfr. infra, p. 329).

20 Cfr. Luca Mazzei, Angelina Buracci cinepdagoga, «Bianco e Nero», LXII, 570,