In Italia non si fa nulla per l’educazione del popolo.
Carlo Monticelli35
Al di là delle proposte di profilassi finalizzate a ridurre gli effetti mo- ralmente destabilizzanti degli spettacoli cinematografici sulle giovani generazioni, ampi settori del dibattito si dimostrano particolarmente attenti alle questioni educative implicate dalla cinematografia com- merciale. Le ragioni di questa attenzione si spiegano anche col fatto che il cinema delle sale urbane e rurali sono frequentate da spettatori dalla base sociale molto più estesa e diversificata rispetto al pubblico del cinema scolastico e didattico. A preoccupare è la convinzione che la suggestione, come si è visto così dettagliatamente discussa nei suoi aspetti più critici, sia un fenomeno psichico che non penalizza solo i bambini e gli adolescenti, ma anche le classi popolari, amplificando in modo esponenziale la pericolosità sociale del nuovo medium. Un testo che esemplifica magistralmente queste argomentazioni, anche per la risonanza che ebbe all’epoca nel dibattito politico36, è la già citata let-
tera inviata da Avellone ad Alberto Bergamini, direttore del «Giornale d’Italia», il più autorevole quotidiano della destra moderata italiana.
Il nesso causale tra suggestione cinematografica e comportamenti di- sonesti e immorali del popolo non è ovviamente una trovata di Avellone ma rappresenta l’aggiornamento, più radicale, di un’accusa che per secoli aveva colpito il teatro e poi, in tempi più recenti, gli spettacoli di ipnotismo e la letteratura popolare. Al contempo, però, il cinema pare in grado di contribuire efficacemente, molto più del libro, del teatro o della stampa, a quel progetto di «innalzamento dell’anima popolare» (cfr. infra, p. 176), os- sia di educazione estetica e morale delle masse immaginato da ampi set- tori del dibattito. Orlando, per esempio, auspica che la cinematografia,
questa mirabile figlia della luce, faccia veramente opera di luce, cioè, di bene; che al popolo, pel quale è sorta e pel quale vive, rappresenti cose grandi, utili, belle; che del popolo elevi l’anima, conforti lo spirito, educhi il gusto; che pel popolo, insomma, sia la più cara ed efficace maestra di educazione morale e di edu- cazione artistica (cfr. infra, p. 250).
35 Carlo Monticelli, Il cinematografo come divertimento popolare, cit., infra, p. 204. 36 Lasua lettera è considerata da alcuni storici come la decisiva scintilla d’avvio di un
dibattito politico che porterà all’introduzione della censura cinematografica in Italia. In verità quello di Avellone non è certamente il primo intervento contro gli «abusi» del cinematografo uscito su un grande quotidiano nazionale, ma la questione di chi sia stato il primo a sollecitare una vigilanza statale sui film è poco rilevante.
Il cinema, insomma, appare da subito una «istituzione eminen- temente popolare». Ne consegue, allora, che non è possibile valutare in modo approfondito e storicamente problematico la riflessione sul- le proiezioni educative nell’Italia del primo Novecento se non si tiene costantemente presente l’esistenza di questa saldatura progettuale, particolarmente sentita nella cultura positivista37, tra l’educazione/
istruzione dei bambini e adolescenti e l’educazione delle classi popo- lari, due aspetti complementari di una più articolata e complessa idea di pedagogia, di società e di cultura.
D’altronde, come ha osservato Antonio Gibelli, infanzia e popolo sono posti nella cultura borghese in stretta correlazione: la metafora paternalistica del popolo-bambino è uno stereotipo che attraversa i discorsi politici e culturali italiani del primo Novecento, quasi incu- rante delle contrapposizioni ideologiche. «Il bambino», osserva Gibelli, «non è solo una parte ma un prototipo del popolo, nel senso che il popolo viene considerato e di conseguenza trattato come un minore
da educare, conquistare, sedurre, se occorre ingannare»38. A riprova
della sua fortuna, il parallelismo ricorre con frequenza anche nei di- scorsi sul cinema educativo, e le specifiche analogie che lo legittimano sono molteplici. Come il bambino, anche il popolo è dominato più dagli istinti39 che dalle facoltà intellettive40. Il bambino e l’uomo del popolo,
di conseguenza, non hanno una solida idea del bene, perché la loro coscienza morale è ancora in embrione, e dunque in entrambi coesi- stono innocenza e crudeltà, bontà e violenza41. Come per i bambini
37 Tra i primi positivisti italiani a sostenere, nel secondo Ottocento, la necessità
sociale di un’educazione sociale del popolo promossa dallo Stato vi fu il filosofo e pedagogista Andrea Angiulli (cfr. Giovanni U. Cavallera, Andrea Angiulli e la
Fondazione della pedagogia scientifica, Pensa Multimedia, Lecce, 2008). Per una
panoramica storica dei nessi tra educazione e questione sociale dopo l’Unità resta ancora utile la lettura di Dina Bertoni Jovine, Storia dell’educazione popolare in
Italia, Laterza, Roma-Bari, 1965.
38 Antonio Gibelli, Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a
Salò. Einaudi, Torino, 2005, p. 32.
39 «Nelle classi popolari», scrive per esempio la Chellini, «gl’istinti prevalgono sulle
idee e sui sentimenti» (Gisella Chellini, L’azione educativa del cinematografo nella
scuola elementare, cit., infra, p. 288).
40 Questaconvinzione è nutrita anche da un educatore progressista come Mastro-
paolo: «le folle […] non giungono a quello stato di sviluppo spirituale senza cui non è possibile intendere alcuna alta manifestazione della mente» (Michele Mastropa- olo, Cinematografo e scuola popolare, cit., infra, p. 304).
41 Orano, durante i tre mesi passati a osservare il pubblico cinematografico po-
polare del Testaccio, scrive che il popolo «in tutto quanto ha di nobile e di puro, in tutto quanto ha di basso e di bestiale, ivi egli rivela l’immenso tesoro delle sue idealità e l’abisso fosco dei suoi istinti (cfr. Domenico Orano, Il cinematografo e
così anche per le folle, peraltro in buona parte analfabete, le «immagi- ni ànno […] una maggiore virtù: sono più accessibili, non richiedono che d’uno sforzo minimo per essere comprese, attirano di più perché
danno diletto maggiore»(cfr. infra, p. 304). Analoga, come anticipato,
è la predisposizione di bambini e popolo a subire la suggestione delle immagini animate e il conseguente riflesso imitativo: «l’anima popo- lare, come l’anima infantile, è per natura più facile a risentire l’in- fluenza immediata di certe azioni e lo stimolo ad imitarle» (cfr. infra, p. 301). Ecco, di conseguenza, perché è opportuno che il controllo sui contenuti del filmabile tuteli non solo, come si è visto nel paragrafo precedente, i bambini, ma anche i proletari, bandendo dalle produzio- ni correnti «tutte quelle scene, in cui l’uomo si confonde col bruto, la civiltà si confonde con la barbarie»42. Identica infine è la loro scarsa
sensibilità estetica: «il bambino non è un esteta, come non è esteta il popolo ignorante […] (cfr. infra, p. 333).
La questione, sociale e politica, dell’educazione popolare è affron- tata in modo specifico da Mastropaolo, Orano, Calabi, Monticelli e Napolitano. Al di là di questi interventi mirati, tuttavia, il tema affiora più o meno esplicitamente in quasi tutti i contributi, aprendosi anche al confronto con quelle realtà come il CNPL e l’INM votate al coinvolgi- mento delle classi popolari nell’azione educativa. La posizione, peral- tro temporanea, dei Gesuiti, secondo i quali «il cinematografo pubblico non è per se stesso adatto all’educazione del popolo»43, è isolata: tutti
infatti riconoscono nel cinema un elemento chiave della cultura po- polare, e proprio per questa ragione tutti sono persuasi che il nuovo medium possa influire sull’educazione del popolo, come dichiarato nel titolo della lettera di Avellone. La premessa ideologica di questa con- vinzione è, appunto, che uomini e donne del popolo «debbano essere aiutati per uscire dalle tenebre truci, dalle quali non iscorgono il faro luminoso della verità e della giustizia» (cfr., infra, p. 175). Si tratta di un presupposto paternalistico che sottintende un progetto di egemo- nia sulle classi popolari condiviso, con differenti sensibilità sociali e democratiche, da liberali riformatori o conservatori, radicali democra- tici, socialisti, cattolici.
La questione dei rapporti tra élite e popolo in Italia è storicamente complessa, e non è affrontabile in questa sede. Si può comunque af- fermare che in Italia il cinema diventa un’istituzione sociale proprio in una fase di riorganizzazione di questi rapporti. Sino ai primi anni del Novecento la classe dirigente italiana considera il pedagogismo indirizzato alle masse come tipico di un modello statalista, paterna- listico e dirigistico sostanzialmente in contraddizione con il liberali- smo. L’istruzione popolare viene quindi delegata ai Comuni, mentre
42 Antonio Romeo, Il cinematografo nella vita e nella scuola, cit. 43 [Mario Barbera], Cinematografo e moralità pubblica, cit.
l’istruzione professionale è lasciata in buona parte all’iniziativa di privati, laici o religiosi, o degli enti locali44. Con l’ascesa politica di
Giolitti, promotore di un coinvolgimento democratico delle masse nella vita politica aperto al confronto con i cattolici e con i socialisti, il qua- dro però cambia. Giolitti e il suo avversario politico Sidney Sonnino, espressione di un liberalismo più conservatore ma con aperture al radicalismo, comprendono che le élite liberali non possono più trascu- rare il problema dell’istruzione del popolo; le trasformazioni econo- mico-industriali del paese esigono risposte nuove. Proprio durante il quindicennio (1901-1915) dominato in prevalenza dall’egemonia politi- co-parlamentare di Giolitti, ma segnato anche da una fase governativa gestita da Sonnino, si adottano quindi provvedimenti legislativi fonda- mentali per la promozione dell’istruzione popolare e professionale. In particolare, il più volte citato Orlando, fedele collaboratore di Giolitti, è l’artefice nel 1904 di una riforma che innalza l’obbligo scolastico a dodici ani di età. I socialisti ovviamente sono per la lotta contro l’anal- fabetismo, ancora molto diffuso in Italia, per lo sviluppo dell’istruzio- ne popolare e professionale, e per la forte elevazione culturale delle masse45. Anche i cattolici si mostrano sempre più attivi nell’azione
pedagogica indirizzata alle classi popolari. Come scrive Gibelli,
la Chiesa aveva sempre sostenuto la famiglia come fondamenta- le agenzia formativa, ma solo in quanto argine rispetto all’inge- renza dello Stato: non era contraria a occupare in proprio uno spazio educativo comunitario extra-familiare, ma solo all’idea che lo occupassero gli altri46.
Gli interventi selezionati, espressione delle principali ideologie dell’epoca, condividono questo diffuso pedagogismo indirizzato alle masse: in essi, le proiezioni luminose e/o il cinema sono considerati degli strumenti decisivi per la formazione del popolo, e in particolare
44 Per una recente e approfondita ricostruzione storica dell’istruzione professio-
nale italiana cfr. Nicola De Amico, Storia della formazione professionale in Italia.
Dall’uomo da lavoro al lavoro per l’uomo, Franco Angeli, Milano, 2016. Si vedano
anche Giovanni Genovesi (a cura di), Cultura e istruzione tecnico-professionale in
Italia tra ’800 e ’900, Cirse, Ferrara, 1988; Filippo Hazon, Storia della formazione tecnica e professionale in Italia, Armando, Roma, 1991; Aldo Tonelli, L’istruzione tecnica e professionale di Stato nelle strutture e nei programmi da Casati ai giorni nostri, Giuffré, Milano, 1964.
45 Per una prima introduzione alle politiche educative e alle culture pedagogiche
del socialismo italiano tra Otto e Novecento cfr. Lino Rossi, Carlo G. Lacaita (a cura di), Cultura, istruzione e socialismo nell’età giolittiana, Franco Angeli, Mila- no, 1991; Enzo Catarsi, Giovanni Genovesi (a cura di), Educazione e socialismo in
cento anni di storia d’Italia (1892-1992), Corso, Ferrara, 1993.
dei proletari analfabeti che non possono «servirsi del libro della biblio- teca popolare» (cfr. infra, p. 169).
Tra coloro che eleggono il cinema per il popolo come tema centrale della riflessione, Michele Mastropaolo è colui che approfondisce mag-
giormente la questione47. L’educatore progressista napoletano ritiene
che il cinema possa svolgere un ruolo educativo essenziale per la mol- titudine di analfabeti e semi-analfabeti, in particolare per quelli con- finati nelle lontane province e per coloro che hanno vissuto la scuola come un’esperienza breve. Per essere socialmente efficace, l’intervento educativo proposto dal cinema, dice in sostanza Mastropaolo, non può esaurirsi nei pochi anni della scolarità obbligatoria (peraltro in non pochi casi disattesa) ma deve estendersi anche agli anni successivi, quando «l’intelligenza torna a irrugginire» (cfr. infra, p. 204); in altri termini, l’educazione attraverso le proiezioni deve proporsi come per- manente, svolgendo «una funzione più continuativa e più larga, eserci- tata anche su gli ex alunni, accogliendoli adulti, di sera e logori dalla fatica, per ristorarli e ridarli alla società più consapevoli e più buoni» (cfr. infra, p. 307), oppure, come suggerisce Ferriani, educando «la psiche di quei genitori, che, fanciulli, per varie melanconiche ragioni,
non poterono frequentare le scuole»48. Un interrogativo conseguente a
questa necessaria consapevolezza è che cosa si debba far vedere agli «ex alunni». Forse non sarebbero pochi quelli che vorrebbero proporre solo «dal vero» e documentari artistici, scientifici, industriali ecc., ma la ragione impone riflessioni più ponderate. Salvo Feliziani, nel 1913, ricorda come alcuni anni prima
qualche casa cinematografica, ebbe l’idea di fabbricare delle films istruttive e professionali; ma tale idea si è dovuta presto scartare, per la poca accoglienza avuta. Pochi furono coloro che gustarono la films che mostrava la fabbricazione di una mac- china da scrivere – la fusione di una corazza e gli ordigni per essa necessari, la lavorazione dei ventagli del Giappone...( cfr. infra, p. 220).
In questa reazione del pubblico popolare non c’è nulla di sorpren- dente, perché «al cinematografo», come osserva la Buracci «quasi tutti ci vanno […] non per fare studi d’arte antica e moderna» (cfr. infra, p. 321). Se, come osserva Ortoleva, lo sviluppo del cinema nel primo Novecento «non si spiega se non tenendo conto del nuovo mercato che il tempo li- bero delle masse popolari urbane veniva creando»49, allora la riflessione
sull’educazione permanente del popolo deve considerare questo nesso,
47 Michele Mastropaolo, Cinematografo e coltura popolare, cit., infra, p. 298 ss. 48 Lino Ferriani, Il cinematografo, cit,
non solo tenendo presente che l’industria del tempo libero risponde a bisogni collettivi di distrazione, ricreazione, divertimento, e non certo a esigenze di istruzione o educazione, ma anche riconoscendo la piena legittimità di questi bisogni. Il popolo, insomma, ha il diritto di trovare nel cinema prima di tutto un’occasione di divertimento. Come osserva Mastropaolo, l’operaio, a fine giornata, «è in uno stato di stanchezza che non gli consente alcun lavoro. Solo può attirarlo lo svago. E il cine- matografo tale è» (cfr. infra, p. 305). Gli fa eco Fabietti, che difende la vocazione ricreativa dello spettacolo cinematografico:
Nessuno riuscirà a spogliare il cinematografo popolare del suo requisito essenziale: quello di offrire un’ora di svago alla gente che ha poco tempo e poco danaro da spendere. Chi volesse e potesse privarlo di questo requisito, lo ucciderebbe (cfr. infra, p. 348).
Di fronte alla questione del divertimento le posizioni espresse nel di- battito distinguono tra un divertimento degradante e uno invece sano.
«La scarsa coscienza dell’uomo voi la vedete nel modo con cui egli si di-
verte» (cfr. infra, p. 205), dice l’avvocato socialista Carlo Monticelli, che a questo tema dedica un intero contributo. Le classi dirigenti italiane, egli sostiene, non solo non hanno mai fatto nulla per il popolo, in parti- colare per quello delle campagne, ma pare quasi che abbiano l’interesse di far abbruttire i proletari nelle osterie, così da stordirli, proprio come facevano «i vecchi padroni di cara memoria» (cfr. infra, p. 206). Per rea- gire a questa politica socialmente deleteria del tempo libero (contestata anche da Orano nella sua già ricordata inchiesta del Testaccio)50 diven-
ta fondamentale l’aiuto del cinematografo, unica possibilità di svago capace di «togliere il villano dalla contemplazione morale della sua li- vida miseria» (cfr. infra, p. 206). Per svolgere questa missione, tuttavia, il cinema si deve «intellettualizzare e moralizzare» (cfr. infra, p. 348), come auspica Fabietti. Raggiungere questo obiettivo con il sostegno di- retto delle imprese private, tuttavia, appare illusorio: il cinema è un’im- presa, e in quanto totale è votata al profitto. Lo ribadisce senza giri di parole Salvo Feliziani, in polemica con Mario Pompei, severo accusatore dell’industria cinematografica e della sua «avidità del lucro»:
a una organizzazione industriale, quale le attuali case fabbri- canti di films, fatta con capitali che attendono ed esigono i frutti adeguati al loro impiego, nulla noi possiamo sperarci che av- vantaggi o faciliti l’istituzione e la diffusione del cinematografo quale mezzo d’educazione e d’istruzione del popolo (cfr. infra, p. 219).
Invocare l’aiuto finanziario dello Stato non può essere una soluzio- ne alternativa (per altro del tutto inattuabile, considerando i problemi del bilancio pubblico):
Questa specie di protezionismo finirebbe per danneggiare la cau- sa stessa del cinematografo educativo, permettendogli di rima- ner noioso. No, neppure un centesimo al cinematografo che non ha elementi propri di attrazione sul pubblico e che il pubblico diserterebbe. Non v’ è che un cinematografo educativo possibile: quello che al tempo stesso è anche divertente (cfr. infra, p. 349).
Come si può, allora, proporre al popolo un’offerta cinematografica che sia insieme ricreativa ed istruttiva? La risposta di Fabietti è sem- plice, e si affida alla legge della probabilità:
Non dev’essere difficile, fra le pellicole che si fabbricano a mi- gliaia e migliaia in tutto il mondo, trovar da allestire spettacoli attraenti e capaci di esercitare qualche benefico influsso nella mente e nell’animo degli spettatori (cfr. infra, p. 348).
Mastropaolo invece chiama in causa la classe dirigente liberale, espressione di un potere che ha sempre sottovalutato il cinema per il popolo, anche nelle sue potenzialità propagandistiche (il fascismo non commetterà lo stesso errore) ma che deve assumersi la responsabilità di educare le classi popolari abbruttite dal lavoro e dalla fatica. Questo compito non è un’opzione, egli aggiunge, ma un obbligo morale, una compensazione dovuta per tutte le gioie di cui il popolo non ha mai potuto godere. La sua proposta – inattuabile prima di tutto per ragioni finanziarie ma interessante per la tensione politica che esprime – è che i Comuni offrano al popolo popolari proiezioni gratuite alla domenica, officiando così una sorta di gioioso rito laico collettivo, contrapposto a quello cattolico; solo così, egli conclude provocatoriamente, la domeni- ca diventerebbe realmente un «dì festivo» (cfr. infra, p. 348)51.
Nell’educazione popolare «sognata» da Mastropaolo, il cinema offre un contributo sostanziale alla democratizzazione dell’arte, consenten- do alle classi popolari di affinare la loro sensibilità estetica, condicio
sine qua non per la maturazione di una solida coscienza morale. Per
sottolineare il forte nesso che deve intercorrere tra l’estetica e l’etica, Mastropaolo ricorda le parole di Luigi Credaro:
Le emozioni estetiche […] strappano all’egoismo e alla volgarità, purificano ed elevano le anime nostre, mettendole in armonia
51 Sull’implicita concorrenza tra la Chiesa e la sala cinematografica interviene
con le anime dei nostri fratelli, dei compagni di lavoro, dei nostri connazionali: con l’anima della umanità. Il bello predispone ad amare, e senza bruschi passaggi, dal piacere sensibile eleva a un sentimento etico abituale52.
Questa convinta attenzione verso l’educazione estetica caratteriz- za non solo il contributo di Mastropaolo ma ampi settori del dibatti- to. Se per una parte non irrilevante della nascente riflessione teorica italiana, il cinema non può essere riconosciuto come arte per diverse
ragioni (ad esempio per la sua vocazione mimetica53, per la velocità
disorientante delle sue immagini54 o per la sua dimensione di mas-
sa), in molti contributi sulle proiezioni educative (in particolare quelli di Mastropaolo, Orano, Buracci, Orlando e Fabietti) questa valuta- zione negativa si rovescia di segno. Chi si spiega con più chiarezza è Orlando. Nel corso dei secoli, egli sostiene, l’arte, in origine esperienza dell’umanità intera, e priva di distinzioni di classe, si è progressiva- mente distaccata dal popolo, e ha assunto uno statuto elitario. Il cine- ma ricuce questa frattura, offrendo una straordinaria opportunità di «socializzazione dei sentimenti estetici» (cfr. infra, p. 300).
Si ha tuttavia la sensazione che, almeno per quanto riguarda il ruo- lo del cinema nell’educazione popolare, le inevitabili differenze ideolo- giche non impediscano di riconoscere la centralità di alcune questioni. Una di queste, messa bene a fuoco da Mastropaolo nelle sue riflessioni appena citate, è la questione della responsabilità sociale. Si tratta di un problema a dire il vero poco esplicitato, nelle pagine del dibattito, eppure si impone come la questione più importante e urgente, tra tut- te quelle affrontate e discusse. La classe dirigente del paese, si lascia intendere in più di un contributo, non ha saputo assumersi la respon- sabilità di educare la nazione, e la distratta, incostante attenzione da parte dello Stato verso le nuove tecnologie educative, a partire dal cine-