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Come raccontare l’eruzione di un vulcano? Proposte di integrazione tra fisso e animato

Le riserve nei confronti dell’efficacia didattica del cinema (dall’eccesso di velocità all’emarginazione della parola e del maestro) non aprono quasi mai fratture insanabili o contrapposizioni ideologiche all’interno di un dibattito culturalmente pur così eterogeneo. Certo, gli schiera- menti pro immagine fissa o pro immagine animata, come si è cercato di dimostrare in queste pagine, indubbiamente esistono, ma è raro che in essi si sviluppino tesi di aggressiva opposizione all’altro regime delle visione. Ci possono essere, è vero, delle isolate voci maldisposte verso un uso didattico ora delle proiezioni animate (Geisser, Costetti, Picozzi ecc.) ora delle proiezioni fisse (Orano, Ravaglia, Romani ecc.), ma in generale la posizione prevalente è quella del compromesso, nel nome di un comune e più alto obiettivo: la formazione dei discenti.

Può essere utile allora cercare di capire quali siano le principali modalità di compromesso fisso/animato teorizzate nel dibattito.

In una prima forma di complementarietà, la più ricorrente, si distin- gue tra cinema scolastico e cinema «educatore»88. In altri termini, si rico-

83 Ivi, p. 28.

84 Secondo Taillibert la diffusa preoccupazione che l’immagine animata nelle

scuole potesse sostituire o marginalizzare il maestro alimenta il dibattito inter- nazionale sul cinema educativo almeno sino alla fine degli anni Trenta (cfr. Chri- stel Taillibert, L’usage mixte de l’image fixe et de l’image animée dans le domaine

de l’enseignement durant l’entre-deux guerres, cit., p. 145).

85 Romano Costetti, Il metodo intuitivo nell’insegnamento religioso, cit., p. 275.

86 Luigi Cremaschi, Le proiezioni luminose nella scuola, cit., p. 29. 87 Ibidem.

nosce che il cinema, ritenuto incompatibile con l’insegnamento ordinario (appannaggio delle proiezioni fisse), possa invece svolgere, fuori dalle aule, un più generico ma comunque rilevante ruolo educativo, utile anche per le famiglie degli allievi89. Certi film, si dice, rappresenterebbero una rige-

nerante occasione ricreativa, una sorta di «cornice dell’insegnamento»90

capace non solo di offrire efficaci intervalli di svago agli scolari, ma anche «di affinare il gusto dei piccoli spettatori»91, in modo da «far sì che deb-

bano sempre meno apprezzare, con il confronto, le pellicole grossolane e anti educative che oggi le folle prediligono»92.

Una seconda ipotesi di integrazione riconosce invece al cinema un ruolo, sia pure limitato, nell’azione didattica, soprattutto quando si tratta di promuovere la «conoscenza delle realtà in cui predomi- na il moto»93. La lezione diventa così un vero e proprio palinsesto di

proiezioni diascopiche e cinematografiche, progettato creativamente dall’insegnante94. Alcuni educatori s’impegnano nel descrivere con-

crete sperimentazioni, condotte personalmente, di proiezioni alterna- te. Si veda, per esempio, la testimonianza di Zammarchi:

A miei scolari (insegno in una scuola secondaria) m’è toccato di offrire qualche volta, accanto alle proiezioni fisse anche la cinematografica; a una lezione sul sommergibile, di far seguire una film sul sommergibile; a una lezione sull’industria del zolfo dal minerale (calcaroni, ecc.) – la film corrispettiva; così per l’industria del ferro, ecc.95

grazie soprattutto agli interventi di Georges-Michel Coissac (cfr. Annie Renon- ciat, Vue fixe et/ou cinéma dans l’enseignement: naissance d’une polémique (1916-

1922), cit., pp. 63-64).

89 L’utilità del cinema educativo-ricreativo da programmarsi al di fuori degli am-

bienti e degli orari scolastici ma per un pubblico giovanile e popolare è sottoline- ata ripetutamente anche in altri contesti nazionali, cfr. per esempio Christophe Gauthier, Au risque du spectacle, cit., pp. 96-98, e Thomas Elsaesser, Sabine Lenk, ‘Kinoreformbewegung’ Revisited: Performing the Cinematograph as a Peda-

gogical Tool, cit.; Anthony Kaes, Nicholas Baer, Michael Cowan (a cura di), The Promise of Cinema. German Film Theory, 1907–1933, cit.

90 Luigi Cremaschi, Le proiezioni luminose nella scuola, cit., p. 22.

91 Luigi Grassini, Scuola e cinematografo. Un problema in via di soluzione, «Cine-

malia», II, 2, 1928, p. 43.

92 Luigi Cremaschi, Le proiezioni luminose nella scuola, cit., p. 22. 93 Luigi Grassini, Scuola e cinematografo, cit., p. 43.

94 Questa proposta di integrazione ispira anche numerosi interventi nel dibattito

francese, in particolare – ma siamo già negli anni Trenta – per iniziativa di Jean Brérault (cfr. Christel Taillibert, L’usage mixte de l’image fixe et de l’image animée

dans le domaine de l’enseignement durant l’entre-deux guerres, cit., p. 152).

Ancora più prodigo di dettagli è l’educatore laico-progressista Edgardo Enovi:

La proiezione fissa e quella animata devono integrarsi a vicenda e spesso alternarsi in una stessa lezione. La proiezione fissa pre- senta il Vesuvio: l’insegnante fa rivelare allo scolaro la struttu- ra del vulcano e gli fa esaminare le modificazioni prodotte dalle successive convulsioni, gli fa notare i particolari degni di studio; altre vedute lo portano sul fianco del monte, sull’orlo del cratere, fra le antiche lave e finalmente la cinematografia presenta il feno- meno grandioso dell’eruzione. Allora può tacere la voce del mae- stro o limitarsi a qualche richiamo e il film si svolge rapido96.

A queste proposte di integrazione didattica tra immagini fisse e animate cerca di rispondere in modo adeguato non tanto l’autorità statale quanto la tecnologia. Già nella prima metà degli anni Dieci iniziano a essere commercializzati apparecchi di proiezione che, come sottolinea soddisfatto Rosadi, «consentono si cambi di un tratto la proiezione cinematografica in fissa, [permettendo] così di avvicendare l’impressione fugace e l’osservazione lenta, il moto e la stasi»97. Questa

soluzione del proiettore abbinato è anche valutata positivamente, nei primi anni Venti, dal Ministero della Pubblica Istruzione, come atte- stato nella circolare ministeriale del dicembre 1923 che ne raccoman- da l’adozione nelle scuole98.

Anche la terza ipotesi di integrazione tra immagini fisse ed anima- te rappresenta una richiesta teorica alla quale la tecnologia cerca di dare risposte funzionali. In questa proposta il baricentro della lezione- proiezione passa dal proiettore diascopico a quello cinematografico: quest’ultimo, nella sua unicità (quindi non abbinato) diventa luogo tecnologico di convergenza e sintesi di entrambe le modalità di proie- zione, grazie alla possibilità del frame stop. Tra i primi a descrivere e ad auspicare questa soluzione è Francesco Orestano:

Una […] proprietà tutta speciale dei cinematografi scolastici dovrebbe essere quella di potere arrestare al momento voluto la rotazione e tramutare la proiezione da mobile in fissa. La ragione è ovvia. Infatti in tal modo l’insegnante può, quando voglia, fermare l’attenzione degli alunni su qualunque punto, facendo loro compiere analisi, rilievi, congetture, induzioni, che

96 Edgardo Enovi, La cinematografia didattica, cit.

97 La missione educativa del Cinematografo in un discorso di S.E. l’on. Rosadi, «La

cinematografia italiana ed estera», VIII, 179-180, 1914, p. 18.

98 Ministero della Pubblica Istruzione, Le proiezioni luminose, fisse e animate nelle

sfuggirebbero o non si farebbero affatto, se la apparizione delle immagini fosse soltanto fugace o si susseguisse con soverchia rapidità (cfr. infra, p. 234).

A fronte del relativo ottimismo di Orestano, attenuato comunque dall’uso del condizionale, la diffusione del proiettore cinematografico con arresto del fotogramma resta all’epoca, non solo in Italia99, un

obiettivo a lungo termine e di non facile realizzazione100. Nonostante

il moltiplicarsi – sin dalla prima metà degli anni Dieci e poi per tut- ti gli anni Venti101 – di apparecchiature dotate di questa funzione,

l’insorgere di difficoltà tecniche non facilmente risolvibili (prima fra tutte l’infiammabilità del nitrato, di molto elevata nel caso di arresto prolungato della pellicola su un singolo fotogramma), rallentano la diffusione generalizzata del modello.

«Penetriamo per poco nel suo cervellino»: le interazioni con la

psicologia

Da un punto di vista – in questo volume predominante – interno alla sto- riografia delle prime teorie cinematografiche italiane, l’analisi delle fonti discorsive selezionate restituisce i contorni, ancora non del tutto nitidi, di un dibattito ricco, variegato e anche – forse inaspettatamente – profondo, pronto a misurarsi con questioni complesse, di rilevanza decisiva anche nelle coeve riflessioni teoriche sul cinema, italiane e internazionali. Si è cercato, nei paragrafi precedenti, di evidenziare e problematizzare alcune di queste questioni, riconfigurate nel dibattito in un’ottica pedagogico- educativa: la filogenesi dei moderni media visivi; il confronto tra imma- gine e realtà (con la controversa mediazione della questione estetica); le dialettiche – filosofiche e psicologiche – tra istante e durata, tra visione e osservazione; il relazionarsi degli elementi visivi con quelli verbali, ora armonico ora difficoltoso. Tutte questioni, si diceva poc’anzi, non nuove; ma nuovo – dal punto di vista delle indicazioni storiografiche – è il loro modo di disporsi e svilupparsi nel contesto della riflessione pedagogica e delle sperimentazioni educative e didattiche dell’Italia giolittiana e pre-

99 Sulle difficoltà di realizzazione del proiettore con stop frame nel contesto fran-

cese cfr. Christel Taillibert, L’usage mixte de l’image fixe et de l’image animée

dans le domaine de l’enseignement durant l’entre-deux guerres, cit., p. 151.

100 Ancora nel 1952, in un documento della Cineteca Autonoma del Ministero

della Pubblica Istruzione, si auspica che i proiettori in dotazione nelle scuole prevedano la possibilità di arresto del fotogramma (cfr. Collaudo dei proiettori,

Ministero della Pubblica Istruzione, 10 marzo 1952, in R. Branca, Scuola e cinema scolastico in Italia, cit., p. 56).

101 Ancora nel 1925, ad esempio, l’IIPL pubblicizza ripetutamente, sulla rivista

«Proiezioni luminose», il proiettore Istituto Alfa, capace di «proiettare ferme le sin- gole vedute cinematografiche».

fascista. Si tratta, lo si è dimostrato, di un contesto caratterizzato, per quanto riguarda i temi dell’insegnamento visivo, dalla perdurante, strut- turale cogenza di proiezioni fisse (episcopiche e diascopiche, grafiche e fotografiche) e proiezioni animate. Proprio tale coesistenza suggerisce di studiare le teorie cinematografiche italiane delle origini – nella loro dis- seminazione transdisciplinare – in una prospettiva di più sistematica e documentata comparazione con le immagini fisse, soprattutto con la fotografia102, da un lato, e con le pratiche alternative o complementari di

proiezione, dall’altro.

Considerare la storia delle teorie cinematografiche nel contesto di una storia, peraltro non solo visiva ma anche uditiva, dei dispositivi di proiezione significa di conseguenza mettere in gioco l’esperienza dello spettatore. Considerato in questa prospettiva «pragmatica», il dibattito sulle proiezioni educative concorre a costituire, insieme ai discorsi teorici coevi prodotti in altri contesti epistemici, un imponente edificio teorico incentrato proprio sulle avventure (e disavventure) dell’espe- rienza spettatoriale.

Un aspetto interessante di questo edificio teorico è il suo struttu- rarsi in una prospettiva fortemente transdisciplinare, e il dibattito che stiamo studiando lo dimostra ampiamente. L’attenzione ai processi per- cettivi, emotivi, cognitivi dello spettatore, qui considerato nel suo ruolo di «discente», sollecita infatti il ricorso alle «griglie di specificazione»103 e

agli strumenti di analisi delle scienze della mente. Si veda per esempio come Mastropaolo descrive l’esperienza della visione cinematografica, a suo dire essenzialmente psicologica:

Ecco, un’azione si svolge rapida sul rettangolo bianco, e l’atten- zione vi si tende spontanea, la memoria accoglie e fissa in se le immagini, il pensiero si nutre, le idee si richiamano per virtù as- sociativa, la commozione c’invade, il cuore pulsa con ritmo più celere, una infinita varietà di specie, di gradazioni, i sentimenti fioriscono e le emozioni intellettuali, estetiche, morali – curiosità,

102 Lo studio delle relazioni tra fotografia e cinema in Italia nel primo Novecento

attende ancora un adeguato approfondimento. Tra i contributi sino a oggi più signi- ficativi, cfr. Donata Pesenti Campagnoni, Fotografia e cinema. Una relazione incom-

piuta, cit.; Giorgio Bertellini, Photography and Cinema, and Vice Versa in Giorgio

Bertellini (a cura di), Italian Silent Cinema. A Reader, John Libbey & Co., London, 2013, pp. 49-68; Franco Prono, Cinema/fotografia: il dibattito sulla tecnologia nelle

riviste fotografiche italiane del primo Novecento, in Michele Canosa, Giulia Carluc-

cio, Federica Villa (a cura di), Cinema muto italiano: tecnica e tecnologia. Volume primo, Discorsi, precetti, documenti, Carocci, Roma, 2006; Elena Dagrada, Elena Mosconi, Silvia Paoli (a cura di), Moltiplicare l’istante. Beltrami, Comerio e Pacchioni

tra fotografia e cinema, Cineteca Italiana-Il Castoro, Milano, 2007.

103 Cfr. Michel Foucault, Archeologia del sapere. Una metodologia per la storia del-

sorpresa, meraviglia, diletto, ammirazione, esaltazione – mettono in moto le nostre intime facoltà (cfr. infra, p. 296).

Le profonde connessioni con il coevo dibattito psicologico e neuro- psichiatrico104 sono evidenti già a partire dal compito che si prefiggono

alcuni protagonisti della riflessione: «Penetriamo per poco nel suo cer- vellino e immaginiamone l’interno lavoro» (cfr. infra, p. 181), esorta per esempio la Baudino riflettendo sulle difficoltà del bambino nell’appren- dere le cose senza averle mai viste. Compito tutt’altro che facile, risponde indirettamente la Chellini nel 1915, se consideriamo che «sembra così semplice quest’anima del fanciullo, ed è invece tanto complessa, poiché racchiude tutto un piccolo mondo di cui ogni angolo ha bisogno di stimoli speciali, di speciali studi per il suo perfetto sviluppo!» (cfr. infra, p. 285).

Proprio l’attenzione alla psicologia infantile, dalla percezione alla memoria, dall’attenzione ai sentimenti, rappresenta un aspetto pre- sente nei contributi più interessanti del corpus. Chi guarda più di tutti alla questione del cinema educativo per l’infanzia con gli stru- menti della moderna psicologia è certamente Angelina Buracci. Nella sua riflessione, percorsa da una sensibilità quasi montessoriana nei confronti del bambino e delle sue peculiarità, l’infanzia è vista non più come uno stadio embrionale, imperfetto, quasi primitivo della vita dell’uomo, ma come una fase specifica nel «naturale svolgimento gra- duato delle energie psicologiche dell’individuo» (cfr. infra, p. 325). Il bambino, prosegue l’educatrice, «percepisce, associa, ricorda, sintetiz- za, analizza, immagina, giudica, ragiona» (ibidem). Dall’elenco di tutte queste azioni psichiche si comprende come sia almeno parzialmente sconfessabile la tesi di una completa e disarmata passività dello spet- tatore cinematografico, argomentazione in misura minore presente nel primo dibattito cine-educativo italiano105 e internazionale106 ma

104 Cfr. Silvio Alovisio, L’occhio sensibile, cit.

105 Anche quando il cinema è utilizzato nelle scuole, sostiene per esempio l’auto-

revole pedagogista Raffaele Resta nel 1925, prevale comunque il potere sugge- stionante delle proiezioni animate, riducenti «il discepolo ad un puro spettatore». Il discente resta chiuso in una condizione di «passività dello spirito», incapace di arginare la potenza sensoriale e immaginativa dello stimolo cinetico-visivo, dun- que senza la possibilità di svolgere una «diretta e costruttiva attività della mente» (Raffaele Resta, Prefazione, cit., p. 8).

106 Cfr. per la Francia Annie Renonciat, Vue fixe et/ou cinéma dans l’enseigne-

ment: naissance d’une polémique (1916-1922), cit., pp. 64-65, e Christophe Gau-

thier, Au risque du spectacle. Les projections cinématographiques en milieu sco-

laire dans les années 1920, cit., pp. 90-91; per la Germania, Thomas Elsaesser,

Sabine Lenk, ‘Kinoreformbewegung’ Revisited: Performing the Cinematograph as

a Pedagogical Tool, cit., p. 163; Anthony Kaes, Nicholas Baer, Michael Cowan (a

molto diffusa nella coeva riflessione sui pericoli sociali del cinema107.

Il piccolo spettatore «immaginato» dalla riflessione pedagogica sul ci- nema non è un soggetto totalmente passivo, come non lo era lo spetta- tore descritto in alcuni primi testi teorici italiani non legati al cinema educativo108. La visione cinematografica implica infatti un certo atti-

vismo percettivo e intellettivo, superiore a quello richiesto dai preva- lenti metodi didattici fondati sull’apprendimento mnemonico. A sotto- lineare questo attivismo, in particolare, sono Orestano e, soprattutto, Alfonso Giglio: «Il fanciullo», osserva quest’ultimo nel 1913, «non è più l’automa che guarda, sente e spesse volte non capisce, ma un sogget- to attivo che osserva e che assimila, che ragiona e che impara, direi quasi scolpendo, tutto ciò che vede proiettato» (cfr. infra, p. 225). Lo scolaro che assiste a una proiezione, quindi è molto più attivo e ricet- tivo di quanto lo sia lo scolaro che ascolta solo la voce del maestro, le cui parole «spesse volte addormentano i ragazzi come la ninna nanna del lattante» (cfr. infra, p. 223).

Le immagini cinematografiche, comunicando direttamente ai sensi del piccolo spettatore dagli «occhioni sgranati su tutto e tutti» (cfr. infra, p. 191), stimolano subito la sua attenzione «spontanea e volontaria»109, pungolata dalla piacevole prospettiva di appagare su-

bito il proprio «desiderio di conoscere e di sapere»110. Queste positive

condizioni psicologiche del bambino davanti alle immagini animate (attivismo percettivo/cognitivo e attenzione concentrata) devono esse- re tuttavia garantite da interventi esterni di corretta regolazione della durata e dell’intensità emotiva delle proiezioni: «se lo stato emotivo che accompagna l’attenzione spontanea o volontaria», osserva il peda- gogistia Antonio Cano-Lintas, «è intenso a dismisura, l’attenzione ne

rimane perturbata»111. Ne consegue che «occorre dare all’attenzione»,

dice Buracci, «una certa durata senza produrre stanchezza» (cfr. infra, p. 326). Per questa ragione è indispensabile che le proiezioni a scopo didattico o educativo siano disciplinate e organizzate in ambienti pro- tetti e controllati:

107 Lo stereotipo dello spettatore passivo è ampiamente diffuso nella coeva riflessio-

ne scientifica sul cinema (cfr. Silvio Alovisio, L’occhio sensibile, cit., pp. 69-79).

108 La convinzione che recarsi al cinema non fosse un’esperienza passivizzante, e

questo già a partire dalla semplice (per modo di dire) attività percettiva, era un argo- mento condiviso da voci appartenenti a un multiforme milieu culturale di poligrafi e pedagogisti. Si vedano per esempio Maffio Maffiei [Maffii], Perché amo il cinema-

tografo, «La Lanterna», Napoli, 29 febbraio 1908, II, 7, p. 1; Emmanuele Toddi [alias

Pietro Silvio Rivetta], Buio e intelligenza, «Apollon», I, 4, maggio 1916, p. 10.

109 Antonio Cano-Lintas, L’educazione dell’attenzione, Società editrice Dante Ali-

ghieri, Milano-Roma-Napoli, 1914. p. 73.

110 Ivi, p. 31. 111 Ibidem.

Se le percezioni saranno quindi quantitativamente e qualitati- vamente proporzionate all’età e, di conseguenza, allo sviluppo psichico, l’associazione si produrrà senza sforzo, ordinatamen- te, il ricordo sarà fedele, l’idea chiara, il giudizio vero e vero il raziocinio» (cfr. infra, p. 325).

In queste ultime considerazioni, la Buracci accenna alla necessità di proporzionare gli stimoli percettivi in base all’età dell’allievo, a con- ferma di quanto sia elevata, nel dibattito, la preoccupazione di diver- sificare l’offerta visiva delle proiezioni a seconda dei differenti stati di evoluzione psicofisica del minore. Buracci, per esempio, accenna, sia pure un po’ genericamente, alle esigenze specifiche di bambini, fan- ciulli e adolescenti, mentre Mastropaolo differenzia solo tra infanzia e adolescenza, offrendo però più dettagli nella sua proposta di diversi- ficare le proiezioni educative in base all’età. Durante il periodo della

scuola primaria, dal primo anno al «corso popolare»112 osserva il ma-

estro napoletano, il bambino diventa adolescente, subendo profonde trasformazioni, quindi non si può pensare di utilizzare le proiezioni didattiche allo stesso modo lungo tutto il primo ciclo di formazione. Nel bambino delle prime classi l’immagine animata deve stimolare e appagare soprattutto la curiosità, presentandosi «nel suo primo appa- rire come un perché che si chiarisca» (cfr. infra, p. 295). Nelle proiezioni per gli adolescenti della sesta classe, già in grado di elaborare giudizi, si devono invece proporre film più apertamente narrativi, stimolando la commozione, prestando attenzione allo «svolgersi dei sentimenti» e preoccupandosi che questi si orientino al bene (per esempio all’altru- ismo o alla pietà).

Le ultime riflessioni di Mastropaolo sui contenuti dei film di fin- zione, messi in relazione con i sentimenti dei piccoli spettatori e con la possibilità di un giudizio morale, evocano la questione, assolutamente rilevante nel dibattito cine-educativo dell’epoca, della potenziale pe- ricolosità delle immagini animate. Che cosa potrebbe accadere se le proiezioni stimolassero, con tutta la loro potenza comunicativa, delle reazioni emotive incontrollate, offuscando così in chi le guarda la ca- pacità di discernere il bene dal male, e incoraggiando comportamenti imitativi non leciti? Questa domanda, riferita non tanto ai documen- tari didattici proposti nelle scuole quanto ai film di finzione distribuiti nei circuiti delle sale commerciali (ma spesso proposti anche nei cine- matografi educativi descritti nel capitolo II), ritorna con frequenza nei contributi del corpus, e si addensa spesso intorno al concetto, anche

112 [Il corso popolare, destinato all’avviamento professionale degli allievi che non

proseguivano gli studi nella secondaria (accessibile dalla quarta classe), e formato dalle classi quinta e sesta, era stato istituito dalla legge Orlando del 1904, anche in conseguenza dell’innalzamento dell’obbligo scolastico al dodicesimo anno di età.]

questo di matrice psicologica, della suggestione. Si tratta allora di in- terrogare tale concetto così dibattuto e sempre messo in rapporto con il problema, pedagogicamente e socialmente cruciale, dell’educazione non solo del bambino/adolescente ma anche delle classi popolari. Sarà proprio questo l’obiettivo del capitolo che segue.

Capitolo IV

L’educazione cinematografica