• Non ci sono risultati.

Nel capitolo precedente si è visto come una delle ragioni del manca- to decollo del cinema scolastico nelle pratiche didattiche risieda nella carenza di una produzione filmica adeguata, capace, per citare uno dei tanti generici auspici del Ministro Grippo, di garantire «una con- nessione sempre più intima tra la scena o l’immagine proiettata ed il programma d’istruzione» (cfr. infra, p. 340). Il dibattito sulle proiezioni educative, tuttavia, non si lascia inibire da queste difficoltà d’ordine pratico, perché, come si è detto nel capitolo di apertura, la vocazione è quasi sempre speculativa e progettuale, impegnata a ragionare non solo e non tanto sulla scuola del presente ma su quella, decisamente migliore, di un ipotetico futuro. Non sorprende allora che in quasi tutti gli interventi sul tema ci si interroghi, fornendo anche dettagliate rispo- ste, su quali siano le materie scolastiche più adatte a essere insegnate con il supporto delle proiezioni, e quale può essere il concreto contri- buto delle immagini animate alla didattica di tali materie. Di tutti i contributi che si occupano dei rapporti tra cinema e pratica didattica, il più organico e ambizioso è certamente quello firmato da Francesco Orestano, già estensore dei programmi legati alla riforma Orlando. La dettagliata relazione redatta da Orestano per l’INM, minuziosamen- te legata all’enciclopedismo delle sue appena ricordate Istruzioni del 1905, ambiva d’altronde a proporsi come una solida bozza programma- tica per l’apertura di un tavolo, in realtà poi mai attivato, tra lo stesso INM e il Ministero della Pubblica Istruzione. Il suo documento, pur del

1 Giovanni Rosadi, [Discorso per l’inaugurazione della sala Minerva di Roma], «La

tutto inattuato, resterà per molti anni un punto di riferimento costante nel dibattito sulle proiezioni educative in Italia2.

A parte qualche isolato entusiasta che sostiene l’applicabilità del cinema alla didattica di tutte le materie, compresa la matematica, nel dibattito prevale la convinzione che le proiezioni educative fisse e ani- mate debbano essere utilizzate cum grano salis e solo in alcuni ambiti disciplinari. Come scrive Vincenzo Giannitrapani:

non arriviamo sino all’esagerazione che oggi il maestro debba insegnar tutto per via d’immagini, non arriviamo, cioè, sino al punto di ammettere che la lettura, la grammatica e l’aritmetica si debbano insegnare col metodo da noi propugnato; ma non v’ha alcun dubbio che gl’insegnamenti, che più mirano a svolge- re nell’alunno l’osservazione, la riflessione, la fantasia, il potere d’espressione, trovano nelle proiezioni luminose il miglior sussi- dio che gl’idealisti della scuola abbiano potuto escogitare3.

Se analizziamo il corpus selezionato da un punto di vista quantitati- vo per stilare una sorta di classifica delle discipline indicate con più fre- quenza come predisposte quasi geneticamente all’incontro con il cinema, i risultati (relativi però quasi sempre alle materie previste nei programmi delle scuole elementari) sono inequivocabili: in testa primeggiano la sto- ria e la geografia (di cui ci occuperemo più approfonditamente nei pros- simi due paragrafi), seguono a ruota le scienze naturali e quella sorta di

«non materia» (almeno fino alla riforma Gentile) che è l’«istruzione civile»

(la futura educazione civica), incentrata sull’apprendimento dei diritti e dei doveri del cittadino, integrata anche dalla cosiddetta «educazione mo- rale» (la cui moralità, però, intende essere estranea a qualsiasi ipoteca religiosa). Obiettivo di quest’ultima area disciplinare, dai contenuti sem- pre un po’ incerti e in divenire, è insegnare agli scolari il «rispetto alle leggi ed ai magistrati, [il] sentimento di riconoscenza e di ossequio verso i parenti che ben governano la famiglia […], il diritto e il dovere di coope- rare alla prosperità e al decoro della patria […], il rispetto della persona e degli averi altrui»4. Per concretizzare sul piano didattico l’astrazione di

questi pur lodevoli obiettivi, diventa essenziale offrire agli studenti de- gli exempla radicati nella realtà, e qui il contributo del cinema diventa

2 Ancora nel 1925, Giorgio Gabrielli scrive: «In quanto alle applicazioni didatti-

che, potrei riportarmi all’opuscolo del prof. Francesco Orestano, che è sempre di attualità» (Gorgio Gabrielli, Studi ed esperienze, «Proiezioni luminose», IV, 6, novembre-dicembre 1925, p. 162).

3 Vincenzo Giannitrapani, Le proiezioni luminose nelle scuole primarie, Ditta M.

Ganzini, Milano, [1910], p. 3.

4 Guido Baccelli, Relazione a S.M. il Re, in R.D. 29 novembre 1894, n. 525. Riforma

dei programmi per le scuole elementari, in Marco Civra, I programmi della scuola elementare dall’Unità d’Italia al 2000, Marco Valerio, Torino, 2002, pp. 236-237.

decisivo. Orestano dedica un’ampia parte delle sue proposte di raccordo tra cinema e programmi scolastici proprio all’educazione morale e civile, immaginando in un prossimo futuro la realizzazione di film su episodi tratti «dalla vita comune» (cfr. infra, p. 235), ma senza includere «avven- ture che impressionino eccessivamente» (cfr. infra, p. 236). Le scene, in altri termini, devono sì rappresentare anche il male, ma solo «tanto che basti per farlo abbonire» (cfr. infra, p. 236). I contenuti di questi film de- stinati alla formazione civile dello scolaro devono attingere all’esperienza di vita del bambino (famiglia, scuola, società, amicizie, eventuale lavoro), per «avvalorare i sentimenti più nobili, come quelli della dignità umana, del valore, dell’onore, della generosità» (cfr. infra, p. 237). La necessità di coinvolgere gli scolari, soprattutto sul piano emotivo, legittima dunque pienamente il ricorso ai film di finzione, ma anche i «dal vero» sono didat- ticamente preziosi: in quest’ambito Orestano, vagheggia l’introduzione nelle classi di un «cine-giornale» quotidiano, contenente i «fatti di cronaca più notevoli e al tempo stesso più istruttivi» (cfr. infra, p. 241): solennità civili, feste del lavoro, inaugurazioni di monumenti, le «ultime creazioni dell’industria» (cfr. infra, p. 237), la vita privata dei sovrani, il discorso della corona a inizio legislatura, le sedute del consiglio dei ministri e le votazioni parlamentari, le udienze nei tribunali, tutti frammenti – scri- ve Orestano con accenti di esaltata fede positivista – di «un mondo in cammino che ci sospinge e innalza nel vortice del lavoro e del progresso universale» (ibidem). Per il pedagogista Fornelli i contenuti dell’attualità non devono escludere «le più impressionanti scene della vita moderna», in particolare quelle legate ai conflitti di classe, in modo da evidenziare le

«nefaste conseguenze della passioni e dei vizi» (cfr. infra, p. 154):

folle immense, agitate, incomposte e terribili: sconvolgimenti so- ciali, lotte aspre e feroci, tutto ciò che è nel mondo umano e che svolto sotto lo sguardo attonito del ragazzo, ravvivato dalla parola evocatrice del maestro, può essere seme di nobile ammaestramen- to, pungolo a fuggire il male e a seguire le buone vie(ibidem).

Più controverse risultano invece le opinioni relative all’uso del cinema nell’insegnamento della letteratura. Anche se non mancano, soprattutto tra le fila degli educatori progressisti sensibili alla divulgazione popolare, coloro che perorano la causa degli adattamenti cinematografici dei gran- di capolavori letterari, utili per evitare che «i tesori di arte e di bellezza [sian] quasi interamente preclusi al godimento delle folle» (cfr. infra, p. 304), a prevalere nel dibattito è un certo scetticismo. Le ragioni di questo atteggiamento si possono intuire. In un’«antica nazione culturale»5 come

l’Italia, la scuola aveva puntato sin dai tempi – lontani ma non troppo – della legge Casati, «più sulla letteratura che sulla storia come strumento

di coesione»6, e la forza del nesso tra questa disciplina e la lingua nazio-

nale può spiegare certe cautele rispetto all’ipotesi di una divulgazione dei capolavori della letteratura nazionale attraverso il cinema. «La questione è delicata ed a risolverla occorre riflessione ponderata ed esperienza», avvisano i Gesuiti di «Civiltà Cattolica». Il rischio, precisano, è che la let- teratura sia «travisata e trattata troppo alla leggera» (cfr. infra, p. 281).

Un precedente spesso citato nel dibattito è il celeberrimo (almeno nella storia del cinema muto italiano) La Divina Commedia. Inferno, prodotto dalla Milano Films nel 1911. Un anno prima della sua distri- buzione, Alfonso Napolitano, quasi certamente ignaro dell’ambizioso progetto milanese, auspica per le classi quinta e sesta «un po’ di storia letteraria […] col sussidio di scene luminose» (cfr. infra, p. 171), imma- ginando di far vedere agli scolari un film su «alcuni episodi dell’Inferno dantesco: il Conte Ugolino, Farinata, il Castello della Sapienza ecc.» (ibidem). Dopo la sua uscita, però il film dantesco è invece spesso citato per dimostrare l’inadeguatezza didattica del nuovo medium in campo letterario. Si legge per esempio su «Civiltà Cattolica»: «Che idea […] potranno formarsi della Divina Commedia i ragazzi delle scuo- le elementari […] in quella accozzaglia di scene dell’Inferno dantesco, quasi sempre inverosimili che ha fatto di recente il giro di tutti i cine- matografi?» (cfr. infra, p. 281). Il problema principale è l’assenza della parola, la rimozione della lingua poetica, come sottolinea Orestano:

il tentativo di rendere sensibilmente visive le creazioni della poe- sia, attenua l’efficacia loro sulla fantasia. Esse parlano alla no- stra mente per il magistero della parola. Sostituire alla virtù suscitatrice dell’espressione poetica una rappresentazione pla- stica, vuol dire rendere pigra l’immaginazione, indebolirla, con- dannarla a sicura decadenza (cfr. infra, p. 240).

Ecco perché i Gesuiti, ma anche – sul versante laico – un profes- sore intelligente come Socrate Topi, preferiscono, per le scuole, non la

«cinematografia muta e vertiginosamente frettolosa, ed ineguale» (cfr. infra, p. 281) del poema dantesco ma le diapositive delle incisioni di

Gustave Doré, accompagnate ovviamente da «un commento moderato e metodico del testo» (ibidem).

Non tutti però sono di questo avviso. Se per Orestano il film lette- rario è «da bandirsi» nelle aule perché le immagini sono poeticamente inferiori alla parola, per Calabi, invece, è esattamente l’opposto: non ci sarà mai un film letterario didatticamente utile sino a quando si subordi- nerà l’immagine alla parola, senza capire quindi che il cinema è un’arte visiva, che «si vale di forme, di colori, di successioni di linee, di degradar

di colori, di ritmiche serie di movimenti»7. A proporre una soluzione di

compromesso interviene Mastropaolo: memore di una visione dell’Inferno della Milano Films nella quale «operai, donne e fanciulli» (cfr. infra, p.

299) accompagnavano le scene con «motteggi, volgarità e riso»(ibidem),

l’educatore napoletano, pur riconoscendo l’importanza educativa del film letterario, auspica che le proiezioni siano integrate da «una sobria, adat- ta, leggiera lezione, la quale non andrà perduta interamente se parole e immagini formeranno un tutto omogeneo da lasciar traccia nello spirito» (cfr. infra, p. 305).

I rapporti tra parola e cinema in ambito scolastico coinvolgono però non solo l’insegnamento della letteratura ma anche quello della scrittura, ben più rilevante nelle scuola primaria. Su questo terreno didattico, c’è chi – come la Baudino – apprezza lo stimolo prodotto dal- le immagini delle proiezioni (in verità però più fisse che animate) sulla qualità del «componimento» (cfr. infra, p. 183).