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La critica letteraria

2. Cinque tesi sul «Dottor Zivago»

Era il 1954 quando Giangiacomo Feltrinelli, appena ventottenne, fondò la casa editrice che da lui prese nome. Solamente due anni più tardi, nella primavera del 1956, il giornalista romano Sergio D’Angelo, collaboratore di Feltrinelli, avrebbe incontrato nella dacia dove da anni viveva in solitudine, a Peredelkino, vicino Mosca, lo scrittore Boris Leonidovič Pasternak; da quell’incontro D’Angelo si congedò ricevendo la copia manoscritta del primo e unico romanzo di Pasternak : Il

dottor Živago. Portata fuori dai confini sovietici, l’opera fu consegnata a Feltrinelli

che, ottenuti i diritti e l’esclusiva mondiale, la pubblicò il 23 novembre dell’anno successivo nella traduzione dello slavista Pietro Zveteremich. Ha così inizio l’appassionante vicenda della pubblicazione del Dottor Živago, il romanzo attraverso il quale per la prima volta si diffonderà nell’occidente della guerra fredda la                                                                                                                

testimonianza dei lati più oscuri della rivoluzione d’ottobre e del regime sovietico; motivi per i quali il romanzo sarebbe stato bandito in patria e l’autore, gravato dalla pesante condanna del regime,30 ridotto a vittima di una persecuzione intellettuale e relegato in povertà e isolamento. Il romanzo di Pasternak divenne presto un classico della letteratura europea ed ebbe ampia diffusione in tutto il mondo occidentale, raggiungendo non solo picchi di vendita che fecero la fortuna della neonata casa editrice Feltrinelli, ma valendo anche a Pasternak l’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura nel 1958 (premio che non gli fu possibile ritirare per opposizione di Chruščёv). Negli ambienti letterari europei non tardò a infiammarsi la discussione su quello che venne definito «il caso Pasternak»: discussione che, in piena guerra fredda, ebbe risvolti non soltanto letterari ma anche e soprattutto politici ed ideologici, scatenando una babele di polemiche, con relativo contorno di ipotesi complottiste e trame segrete. Uno sconfinamento politico che si verificò anche nel nostro paese e che spinse il Pci a revocare la tessera di partito a Giangiacomo Feltrinelli quando questi non accettò, su consiglio di Togliatti, di astenersi dalla pubblicazione di un romanzo di chiaro orientamento anticomunista.

Sembrò anzi ad un certo punto, soprattutto negli ambienti culturali sovietici, appannarsi la distinzione tra la critica della componente meramente letteraria del romanzo e quella del suo impianto ideologico. Fino a che punto i difetti imputabili al romanzo fossero strumentali ad un attacco più propriamente politico risulta probabilmente ancora oggi arduo da stabilire, ma a stridere con la fortuna più larga ottenuta dal Dottor Živago vi è l’accoglienza ricevuta tra i letterati della stessa generazione di Pasternak. La percezione fu quella che l’autore, tradendo tutta la sua formazione letteraria, negli anni Quaranta avesse operato una netta cesura all’interno della sua produzione. Gli sperimentalismi lirici della stagione futurista e simbolista, dagli anni Dieci agli anni Trenta, vanno a inserirsi chiaramente nel quadro dell’avanguardia russa del primo Novecento e fecero godere a Pasternak di un ampio apprezzamento all’interno dell’ambiente letterario contemporaneo. Quel romanzo che invece, come si legge nell’autobiografia dello scrittore,31 doveva essere il punto culminante della sua vicenda poetica e rispetto al quale tutta la lirica precedente non

                                                                                                               

30 Nell’ex URSS Il dottor Živago sarà pubblicato solo nel 1987 in seguito alla Glasnost’,

l’operazione di trasparenza del presidente Mihail Gorbačëv.

era che un primo tentativo e un assestamento provvisorio,32 non fu apprezzato dagli scrittori della sua stessa generazione, imbevuti dell’entusiasmo avanguardista e perciò inclini a considerarlo come un tradimento il volgersi dell’autore ad una narrativa non solo debole ma anche tutto intrisa di quel realismo ottocentesco tolstoiano che mal si accordava con lo spirito del nuovo secolo. Questa cattiva accoglienza nello scenario della letteratura di metà Novecento divenne in alcuni casi l’alibi estetico per una condanna di Pasternak che aveva radici di ben altra natura, ma riuscì anche non di rado a sollevare una discussione letteraria che seppe riflettere limpidamente quella che era la sensibilità del momento. Un articolo apparso sul numero di «Tempo Presente» del giugno 1958 a firma dello scrittore Rodolfo Wilcock volle inserirsi nei termini di questo dibattito, ritenendo non fosse stato tenuto in adeguata considerazione dai critici italiani del tempo, che spesso, «d’accordo con le proprie inclinazioni, hanno voluto considerare il Dottor Zivago un documento storico»33 o si sono espressi solo in una critica entusiasta. Wilcock dal canto suo si inserì in quel vario coacervo di voci che espressero un giudizio severo sull’opera di Pasternak, considerandola un ritorno a vecchie convenzioni e ritenendo che l’autore «si prese tutto il tempo che volle per scrivere il Dottor Zivago, ma non sembra essersi soffermato abbastanza per considerare le regole essenziali dell’arte della narrazione, o per crearne altre nuove e proprie».34

Accanto all’articolo di Wilcock (Il “Dottor Zivago” e il romanzo

contemporaneo, in «Tempo Presente», anno III, giugno 1958, pagg. 482-487),

vediamo in quelli stessi anni animarsi anche sulle pagine di «Tempo Presente» un dibattito molto vasto sul «caso Pasternak», a cui presero parte voci di notevole spessore nel panorama letterario del nostro paese (e non solo), tra cui emergono il direttore Nicola Chiaromonte (La parola di Pasternak, in «Tempo Presente», anno II, dicembre 1957, pagg. 905-909 e Pasternak in prima persona, in «Tempo Presente», anno III, settembre/ottobre 1958, pp. 816-817), Pietro Citati (Il romanzo

delle analogie. Note sul “Dottor Zivago”, in «Tempo Presente», anno III, aprile

1958, pagg. 309-312) e lo stesso Elémire Zolla.35 La rivista, nel novembre del 1958,                                                                                                                

32 Lo scrittore arrivò negli ultimi tempi della sua esistenza a dichiarare di non amare quanto

aveva prodotto prima degli anni Quaranta.

33 RODOLFO WILCOCK, Il Dottor Zivago e il romanzo contemporaneo, «Tempo Presente»,

anno III, giugno 1958, p. 487.

34 Ivi, p. 482.

35 Gli altri articoli dedicati al caso Pasternak sono: Gerd Ruge, Lettera da Mosca. Una visita

riportò tra l’altro il manifesto pubblicato in quello stesso mese a firma di molti intellettuali italiani sulla rivista «Il Mondo», nel quale si esprimeva indignazione per l’impossibilità da parte di Pasternak, già espulso dall’Unione degli scrittori sovietici, di recarsi all’Accademia di Svezia a ritirare il Premio Nobel, denunciando come «per ottenere questo, le autorità sovietiche hanno scatenato contro un uomo solo, uno scrittore, la più violenta campagna di ingiurie e minacce che si sia vista nell’Unione Sovietica, dopo quelle che, ai tempi di Stalin, chiedevano l’ignominia e la morte per i

nemici del popolo».36 Il saggio di Zolla [32], pubblicato su «Tempo Presente» nel febbraio del 1958, a pochi mesi dalla pubblicazione del romanzo, viene ad inserirsi nei termini di questo vastissimo dibattito ma lontano da intenti di natura strumentale o ideologica mira a presentare attraverso cinque tesi (La critica del reale diventa

natura; Il massimamente differenziato è espresso attraverso il massimamente semplice; La rappresentazione dell’amore coincide con la critica della realtà; Il cristianesimo come orfismo; La moralità di Zivago non conosce le buone azioni)

quelle che sono le principali tematiche che reggono l’architettura ideale del Dottor

Živago.

Nella prima tesi, La critica del reale diventa natura, Zolla riprende quanto si è tentato fin qui di esporre sommariamente e cioè come Il dottor Živago sia il punto di arrivo di una ricerca poetica che caratterizza tutta la produzione dello scrittore russo, più propriamente «un commento narrativo-saggistico ad un serto di poemi». Pasternak, dunque, è essenzialmente un lirico ma solo nel romanzo riesce a rendere esplicito il suo messaggio: «la lirica è sempre implicito rifiuto di una società oppressiva attraverso la purezza della parola».37 Cadono in errore coloro i quali accusano Pasternak di aver tradito l’avanguardia; secondo Zolla infatti l’evoluzione della sua lirica lo ha portato a varcare i limiti dell’avanguardia, che «è coscienza dell’angoscia espressa attraverso la distruzione dei mezzi espressivi», per giungere ad un momento superiore «nel quale la coscienza dell’orrore e la critica della società diventano abito, natura: non più elementi di distruzione della forma, bensì elementi del contenuto. La forma viene ripresa là dove era stata abbandonata, al punto dove                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

Discussione. In margine al caso Pasternak, in «Tempo Presente», anno III, novembre 1958, pagg. 891-892; Paolo Milano, Discussione. In margine al caso Pasternak, in «Tempo Presente» anno III, novembre 1958, pag. 892; Lionel Abel, Discussione. Il "Dottor Zivago" e la sensibilità moderna, in «Tempo Presente», anno III, dicembre 1958, pagg. 967-972; Antimo Negri, , Discussione. Il "Dottor Zivago" e la sensibilità moderna. Il messaggio di Pasternak, in «Tempo Presente», anno III, dicembre 1958, pagg. 980-985.

36 Il caso Pasternak, in «Tempo Presente», anno III, novembre 1958, p. 881. 37 Appendice [32], p. 171.

l’avevano lasciata Cechov e Tolstoi».38 Ma lo stile di Pasternak più che con i due maestri del realismo russo trova una precisa rispondenza con quello del compositore Aleksandr Skrjabin, che Pasternak conobbe in gioventù, accomunati entrambi da un’esigenza non tanto di ricerca di nuovi mezzi espressivi quanto di semplicità.

La seconda tesi, Il massimamente differenziato è espresso attraverso il

massimamente semplice, approfondisce ulteriormente i motivi di questa scelta

essenziale in un’opera che appare a tutti gli effetti costruita «secondo le norme di attica trasparenza, della determinazione chiara e distinta ma non analitica degli oggetti e dei sentimenti: sta al semplice, equidistante dal semplicistico e dall’arrovellato, sta al limpido senza cadere nell’ovvio; rappresenta l’uomo senza mutilarlo né del gesto oggettivo né del pensiero e del sentimento interiori; raffigura la società senza parare nell’unanimismo e senza spappolarsi nel caos».39 Per

Pasternak, liberato dall’angoscia avanguardista ma anche da una rappresentazione idillica del reale, Zolla richiama a quella «festa del narrare» di cui parlava Thomas Mann, tradotta in una limpidezza di visione che il Dottor Živago conduce fino alla soglia dei campi staliniani, «all’orrore dell’illibertà assoluta del soggetto», al manifestarsi di quell’inesprimibile che non si lascia trasporre, per definizione, in immagini o in racconto. È qui che l’analisi di Pasternak si fa coscienza critica senza tuttavia corrodere «la forma che anzi classicamente plasma la scena placida e dolorosa, non coartata da un commento astratto esterno né deformata da registrazioni del pensiero o bloccata nella descrizione del comportamento».40

Nell’analisi di questo passaggio torna uno dei motivi fondamentali della critica letteraria zolliana, ovvero quale sia lo sguardo che deve riservare alla realtà chi la scruta, la osserva e ne fa materia di espressione. E la risposta è sempre la stessa, ed è lo sguardo che Zolla ritrova appunto nello Živago: è l’occhio di colui che si distacca dal vorticare degli eventi e attende che la sua visione si faccia più nitida, cerca una purezza che è semplicità ma non semplificazione, che non conduce ad una diminuzione di significato ma al contrario percepisce la complessità del vivente e ne accetta le contraddizioni. Nell’opera di Pasternak questo sguardo critico non rimane solo una dichiarazione di principio ma fiorisce in una sua precisa dimensione che è anche il cuore del romanzo: la storia d’amore di Živago e Lara Fedorovna. Nella terza tesi del saggio, La rappresentazione dell’amore coincide con la critica della                                                                                                                

38 Appendice [32], p. 171. 39 Appendice [32], p. 171. 40 Appendice [32], p. 172.

realtà, Zolla individua nell’amore dei due protagonisti la «critica incarnata del male

della società, e proprio grazie a questo acido che deterge da ogni impurità sentimentale acquistano verità i vari successivi tocchi e velature con cui esso viene dipinto da Pasternak».41 «Zivago e Lara si amano in pienezza perché lo esige la natura che li circonda, perché lo esigono i volti compiaciuti che essi suscitano all’intorno; ma questo avviene perché sono indifferenti al dominio dell’uomo sulla

natura e alla falsa socialità». Ritorna qui l’interesse zolliano per la critica della

cultura e ciò riconduce di necessità lo sguardo sul mondo attuale: un simile amore oggi «non potrebbe esaurirsi nella natura meramente privata dell’uomo, nell’ingenuità chiusa su se stessa della vita individuale. La semplicità antica di Pasternak è riottenuta solo perché egli ha trasformato in elemento naturale del contenuto la consapevolezza del rapporto fra l’individuo e la società». Come si legge dei due amanti nel Dottor Živago: «ancor più dell’affinità delle loro anime li univa l’abisso che li divideva dal resto del mondo. Ad entrambi era nello stesso modo ostile tutto quanto è fatalmente tipico dell’uomo d’oggi, la sua voluta esaltazione, le sue isteriche velleità, e quell’inerzia della fantasia che innumerevoli lavoratori dell’arte e della scienza si preoccupano di alimentare perché la genialità rimanga un’eccezione. Il loro era un grande amore. Tutti amano senza accorgersi della straordinarietà del loro sentimento. Per loro invece, e questa era la loro straordinarietà, gli istanti in cui, come una vampata d’eterno nella loro condannata esistenza umana, sopravveniva il fremito della passione, costituivano momenti di rivelazione e di un nuovo approfondimento di se stessi e della vita».42 L’amore di Lara e Živago - «scandalosi rispetto alla società in cui si trovano a vivere, appunto perché è loro propria una certa estasi dell’anima fuor dalla realtà immediata», scrive Zolla citando Chiaromonte43 – condanna il male di una società in cui la vita stessa è prossima all’estinzione, ma non si nutre di quel male: nella «loro primavera è anche inferno e decomposizione», ma soprattutto vi aleggia quell’innocenza che ha rifuggito l’anatema, che rimane indifferente «dinanzi ai tabù di costume». È una realtà che «ha superato il mondo dove il bene temeva la sua immagine riflessa nel male e questo la propria riflessa nel bene; ormai non è più tempo di indugiare sul momento mortifero, negativo, dell’amore, sul tristanismo, perché la realta nega senso                                                                                                                

41 Appendice [32], p. 172. 42 Appendice [32], p. 172.

43 L’articolo di Chiaromonte era uscito sul numero di «Tempo Presente» del dicembre 1957,

tre mesi prima della pubblicazione del saggio zolliano; si veda NICOLA CHIAROMONTE, La parola di Pasternak, in «Tempo Presente», anno II, dicembre 1957, pp. 905-909.

tanto alla salute come al morbo: i due poli siano dunque entrambi benedetti in un mondo dove la vita stessa è per essere estirpata, con il suo dolore e la sua gioia, la sua sanità e la sua malattia».44

Nella quarta tesi, Il cristianesimo come orfismo, Zolla analizza la presenza e le forme assunte dalla religione all’interno dell’opera di Pasternak. Un aspetto preso in analisi anche da Chiaromonte nel suo articolo or ora citato, dove appunto si legge a riguardo come vi sia nel Dottor Živago «un senso mistico, più che religioso, della natura, e un sì prepotente e orgoglioso, detto alla vita, malgrado tutto».45 I continui richiami al cristianesimo non sono però una semplice adesione al sacro come principio ordinatore. Essi si giustificano invece «attraverso l’interpretazione di Cristo come liberatore dell’individuo dal popolo, profeta disarmato o eroe orfico che, come tale, è la vera incarnazione dell’umano e si contrappone all’immagine dell’uomo tiranno di sé e degli altri, domatore da circo; e infine di Cristo come eroe festivo che invita a riconoscere come la vera vita sia festiva e non feriale».46 Anche questo è tra l’altro un motivo di convergenza con l’interpretazione di Chiaromonte che vede nel Cristo il limite estremo della visione di Pasternak, ma anche un’immagine di «fiducia assoluta nell’interiorità e nella libertà dell’uomo».47 Individuare nella festività il fondamento della vita più autentica richiama ad una componente di sacralità dell’esistenza – in Zolla leggiamo a più riprese come la festività sia infatti la componente fondamentale del sacro – e ad una simmetria con le dottrine orfiche, che vedevano nell’anima immortale di derivazione divina la vera forma dell’umanità. Nell’esperienza del sacro di Pasternak non vi è un’adesione al cristianesimo tout

court, ma una fede «insieme più complessa e più semplice» di cui Zolla individua le

radici in una ferma consapevolezza di Živago: il riconoscere che «il male peggiore, la radice del male futuro fu la perdita della fiducia nel valore della propria opinione». Proprio in virtù di questa consapevolezza, «Zivago ha compreso come per non essere sommersi nella coralità ci si debba svincolare dall’aut aut, rifiutandosi di diventare i servitori della prassi e così mantenendo intatta la nostra umanità festiva, attribuendoci il diritto di aborrire dai macelli senza predicare il vegetarismo, dall’industria senza esaltare l’arcolaio, dal potere senza invocare il caos».48 È nel Cristo delle sette russe e del rituale d’Oriente, che già si era incarnato nel principe                                                                                                                

44 Appendice [32], p. 172.

45 NICOLA CHIAROMONTE, La parola di Pasternak, cit., p. 906. 46 Appendice [32], p. 173.

47 NICOLA CHIAROMONTE, La parola di Pasternak, cit., p. 909. 48 Appendice [32], p. 173.

Myiskin, il Cristo dell’Idiota dostoevskijano, che si manifesta dapprima il rifiuto di questa dicotomia, e nello stesso modo esso rivive in Živago e in Lara, Cristo e Maddalena di un mito cristiano che «non è quello consueto, ecclesiastico […] ma un mito riatteggiato, con un margine di invenzione ed arbitrio che lo rende adeguato all’esigenza individuale». Adeguato anche al mutare dei tempi, quando ormai il Nemico «non è più il male della vita, ma la non-vita». Per questa ragione Živago «guarda alla vita nella sua complessità, dove male e bene si intrecciano, come a ciò che preme custodire nella sua interezza. In un mondo dove l’apatia e l’inerzia per cui

tutti si foggiano su qualcuno… o semplicemente si imitano a vicenda, spengono la

vivezza del sentire o la seppelliscono sotto la soglia della coscienza, la vita, viluppo di serpi e tubare di colombi, diventa benedetta in sé».49

Nella tesi conclusiva, La moralità di Zivago non conosce le buone azioni, Zolla rintraccia i fili di questa sacralità – cristiana e orfica – che permea l’esistenza di Živago e che produce un’«impressione netta quanto imbarazzante, perché non si sa bene definire di quale sorta sia la sua santità». «Zivago non si adatta ad un sistema casistico, ma di certo ha in ogni momento della sua vita un atteggiamento esemplare»; atteggiamento che nel suo saggio Zolla individua come generato da un’attitudine precisa: egli «non sacrifica mai a schemi generali, a parole vaghe il valore unico, irripetibile dell’esperienza singola». Scriveva già Chiaromonte: «uscire dallo slegato e dal particolare, dominare l’empito lirico per rendere il senso di un’esperienza umana, è quel che ha evidentemente voluto fare Pasternak nel suo romanzo»,50 come umana è rimasta la coscienza di Živago, alta dalle violenze della storia, unica condizione che permetta a un uomo di rimanere tale. Anche quando si trova di fronte a dilemmi profondi come quello della scelta tra l’amore per la moglie Tonja, «che ama fino alla venerazione», e quello assoluto per Lara («Come l’amava? Per quale aspetto? Qualcosa forse che poteva essere identificato, distinto in una scelta? Oh, no, no! Per quella linea inimitabile, semplice e netta con cui in un unico tratto l’aveva tracciata dall’alto in basso il creatore»),51 egli riesce a mantenere una zona di sé calma, che fugge dalla ressa degli eventi ma viene costantemente sollecitata da un’implacabile attenzione: «ancora una volta siamo al motivo fondamentale: la vita, la creatura umana sono da accogliere nella loro interezza. Felicità è ormai essere in contatto con la vita tal quale è, miscuglio di esaltazione e                                                                                                                

49 Appendice [32], p. 173.

50 NICOLA CHIAROMONTE, La parola di Pasternak, cit., p. 905. 51 Appendice [32], p. 174.

sofferenza. Grazie all’attenzione verso la vita Zivago riesce a compiere i suoi miracoli; grazie all’attenzione verso Lara egli la trasfigura e la fa vivere in perfetta consapevolezza e intensità; grazie all’attenzione verso la natura la sua esistenza è animata da una vibrazione particolare, da qualcosa di diafano, di bianco e nero, di

odoroso, da una sensibilità che lo avverte della presenza nella campagna del ciliegio

selvatico, che gli consente di riprendere contatto con il particolare incanto della terra odorosa, inumidita da fiocchi di neve stemprati a mezz’aria a maggio».52