«La religione sta ancora battendo in ritirata? L’erosione che un tempo sfaldò la fede nella nobiltà, poi nella borghesia e infine nelle masse operaie e rurali, è cessata?» si domanda Alfonso Prandi in un articolo comparso nel fascicolo del Mulino dello scorso giugno. E risponde: «La religiosità italiana non ci pare votata alla catastrofe. La
formazione di élites di avanguardia è in pieno sviluppo, l’azione della Chiesa è molteplice e volta a risanare ambienti e individui. Non è vero che l’Italia sia un paese in maggioranza cattolico, non è vero che sia un paese o irreligioso o superstizioso. Questi sono i miti. In mezzo, sta una realtà sociale malamente conosciuta nelle sue articolazioni, nel suo sviluppo, nella sua psicologia, dove gli strati totalmente scristianizzati sono notevoli, ma non prevalenti. La genericità di questa proposizione conclusiva del nostro discorso e in cui compendiamo la serie di osservazioni che siamo venuti facendo, indica per se stessa il lavoro da compiere, la serietà di preparazione che esso richiede, la preoccupazione di nuda verità che esso richiede».
In breve, il Prandi lancia un invito a indagare lo stato della religiosità italiana, con il sussidio delle statistiche e dei metodi sociologici. Come non approvare, specie se il proposito parte dal desiderio di raggiungere la «nuda verità»? Ma che il Prandi abbia tendenza a vedere la nuda verità si è indotti a dubitare. Non sembra davvero che egli abbia sgombrato la mente da presupposti pregiudizievoli alla ricerca se, compendiando la storia della religiosità italiana nel XVIII secolo, fa affermazioni di questo tipo: «I giorni dell’incredulità non scorrevano che per poche
élites nostrane apertesi alla cultura francese, formate o da esponenti nobiliari o borghesi che spesso traevano dal
libertinismo intellettuale motivo anche per giustificare il proprio libertinaggio morale». A chi mai si riferisce codesta accusa da predicatore paesano?
Il Prandi ravvisa nella rivoluzione industriale la massima nemica della religiosità poiché, egli dice, grazie ad essa è «scardinato lo spirito di comunità su cui aveva sempre puntato e punta ancor oggi la Chiesa per immettere spirito religioso nell’ambiente umano. Non si ripete da tutti i lati che la parrocchia, propaggine capillare della compagine cattolica, è in crisi? Lo è con evidenza solare nelle città e lo è anche nelle campagne. Il progresso tecnico ha originato una mentalità materialistica, laica: il cinema, la radio, la stampa, la facilità dei trasporti, gli sports sono venuti a insidiare o a sopprimere l’attrattiva della Chiesa. Per questo è riconosciuto necessario oggi sostituire alla quiete devozionale la consapevolezza fondata sulla istruzione religiosa e pronta all’apostolato. Non si può offrire agli stessi cristiani praticanti l’esercizio della ‘pietà’ domenicale come un riposo dello spirito, ma come un obbligo: tale almeno lo sentono i praticanti. Non è questa la ragione per cui nell’intento di ridare centralità alla parrocchia vi si concentrano intorno, ad iniziativa del clero, campi di sport, sale da cinema e le altre attrattive che possano appena conciliarsi con la moralità?»
Qui si tocca il problema reale della religione, oggi. La sua sconfitta è ammessa dal suo comportamento: quando si ha di mira non la persona, ma la massa, è già inconsapevolmente avvenuta l’abdicazione all’apostolato. Quando d’un miracolo o d’un fenomeno mistico si fa una merce propagandistica e lo si divulga attraverso i mezzi di comunicazione di massa, lo si parifica alla notizia pubblicitaria ponendolo sullo stesso piano delle altre merci. Quando si organizza lo sport e la visione di films si pone, volenti o nolenti, la cerimonia liturgica sullo stesso piano di «attrazione», di diversivo dalla noia quotidiana. Se poi essa viene diffusa per radio e per televisione, se ne sottrae la particolarità, l’aura e il carattere sacro-festivo conferendole l’ubiquità, il carattere di bene consumabile, di spettacolo che viene in casa, che non invita la partecipazione, ma occupa l’orecchio e l’occhio soltanto. L’adeguamento della propaganda della fede ai mezzi di massa può essere proficuo, se si misura in termini di affollamento delle sale parrocchiali, di adesioni alle organizzazioni cattoliche, ma ciò che fatalmente viene a mancare è la sua ragione di esistere.
La Chiesa è un organismo autoritario, ma non totalitario poiché anche il rapporto fra l’uomo perseguitato e l’Inquisizione è di natura umana, anche se di specie persecutoria e di modo sadico: la tortura fisica e l’estorsione spirituale sono pur dirette verso un essere a cui si riconosce la personalità. La società di massa prescinde appunto da questo riconoscimento: l’uomo non è che un atomo del materiale umano, da manipolare secondo le tecniche apposite, per cui quando essa adotti sistemi repressivi e sevizianti (cioè quando sveli il suo totalitarismo latente), le sue pene non avrannocarattere «purgativo» ma esclusivamente esemplare (così, nei campi di concentramento, se una pena veniva irrogata al prigioniero contrassegnato da un certo numero, l’esecuzione avveniva egualmente anche se a quel numero corrispondeva, per morte o trasferimento, un individuo diverso da quello condannato). Può la Chiesa adattarsi impunemente a un mondo ad essa talmente ripugnante?
Una delle poche voci che la Chiesa cattolica abbia annoverato nella cultura moderna, Bernanos, ad essa si aggrappava appunto per sfuggire alla «civiltà degli imbecilli». Quali reazioni avrebbe uno spirito della sua tempra dinanzi a una religione divulgata da canzonette leggere in luogo di polifonie, esaltata per i vantaggi psicologici, per il healthy outlook che essa offre, secondo la moda dei propagandisti di stampo americano? Fra i collaboratori di
Esprit non erano mancate le proteste contro la tendenza «aziendale» e «organizzativa», e si ricordano, riguardo ai
nuovi propositi sociologici, le parole di Gabriel Venaissin: «Non si deve concludere, di fronte a uno stato di cecità nel quale la Chiesa parla senza sapere a chi sta rivolgendosi, nel quale si trova presa nel gioco di forze ad essa opache e si muove alla cieca, che di fronte a una situazione del genere l’unica alternativa è la formazione di uffici di studio il cui compito sia di fornire alla Chiesa materiale statistico o esposizioni psico-sociali. Ogni indagine della superficie o del profondo dell’uomo non dovrebbe svolgersi sul piano dell’informazione ma su quello della coscienza. Se la Chiesa non vuol essere un’isola bruciante e raggiante che si perde in una massa congelata, non deve istituire nel seno di ciò che ad essa è sconosciuto delle branche istituzionali o degli inerti apparati di registrazione, ma creare e irraggiare uomini, cioè coscienze vive. E questi uomini non debbono essere dittafoni segreti o truppe d’urto mascherate» (Zur Psychologie des Arbeiterpriesters, in Merkur, gennaio 1954).
Sono due prospettive opposte e inconciliabili che si aprono ai cattolici: seguire la via proposta dal Mulino (velata proposta, che così s’insinua: «L’interesse scientifico e quello pastorale, divisi o assommati, hanno qui il loro
più vasto campo di esplicazione»), cioè perdere le cause del vivere per trasformarsi in spettatori o manipolatori d’un apparato aziendale che nella sua logica li trascinerebbe senza rimedio, oppure restar fedeli alla loro ragione d’esistere.
Ciò che si chiarisce ormai è, finalmente, la posizione vera e propria del Mulino, che si potrebbe definire: un cattolicesimo adeguato al mondo del conformismo e del tardo industrialismo, e si potrebbe dedurre: un cattolicesimo intimamente svuotato degli elementi che potevano giustificare atteggiamenti come quello del Croce quando sosteneva di non potere non dirsi cristiano. In realtà, l’affiliazione tradizionale a una Chiesa non è più possibile in un mondo dove le strutture tradizionali sono estinte o scadute. Quando oggi ci si illuda di aderire spontaneamente a una fede tradizionale per virtù di nascita, fatalmente si cade nel momento della falsa coscienza, anche se in una buona fede.
La realtà del mondo industriale pone l’uomo nella condizione oggettiva di chi sceglie e decide il tipo di religiosità cui vuole aderire, quale che sia il riflesso soggettivo. Perciò l’immersione nelle forme avite si risolve in un fenomeno di mero conformismo, di passività recitata. In breve, la religiosità autentica, in mancanza di una società comunitaria, è più che mai essenzialmente inventata, basata sulla conversione e ribelle alle istituzioni, come nel caso di religiosità «bruciante» di un Danilo Dolci. Il fenomeno di un cattolicesimo adeguato al mondo dell’industria culturale, ridotto a organizzazione di masse, per usare il nuovo gergo, eterodirette, è in sostanza una liquidazione dell’essenza della religiosità accompagnata da un gesto di formale ossequio.
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Anno II, n.ro 8, agosto 1957, pp. 677-678.