CAPITOLO PRIMO
2. Visita angelica in Via dei Martir
Il primo della nutrita serie di contributi pubblicati da Elémire Zolla sulla rivista «Tempo Presente» rientra in questo corpus di scritti narrativi. Il racconto Visita
angelica in Via dei Martiri compare per la prima volta nel febbraio del 1957,
secondo anno di pubblicazione della rivista. Negli anni successivi verrà ripubblicato diverse volte: nel 1961 comparirà in lingua inglese nel semestrale diretto dallo scrittore americano Saul Bellow «The Noble Savage» e nel 2010 nella nuova serie di «Conoscenza religiosa», rivista fondata e diretta dallo stesso Zolla dal 1969 al 1983, e riedita successivamente a cura di Grazia Marchianò.
La narrazione di Visita angelica in Via dei Martiri si apre come una carrellata cinematografica, in cui la macchina da presa sembra seguire il profilo argenteo delle nuove case in Via dei Martiri, illuminate dalla luce del primo inverno. «Paiono esse deserte d’ogni vita. Vita non è certo il rapido saluto o lo squallido discorrere dei vicini quando accada d’incontrarsi, quando saranno, le loro parole, tediosi elenchi d’informazioni quanto costa riscaldare nei vari modi, con nafta o con carbone, con legna o con gas, come s’installa questa stufa o s’impiantano intercapedini, oppure, e peggio, rimestano i brandelli d’impressione che sulle retine stampò la televisione la sera dianzi, o fra uomini accertano sorti di partite di calcio o variazioni di paga o di contributi, oppure, a modo di facezia ripetono, al caso di una parola pronunciata, le
33 Maria BELLONCI, Come un racconto gli anni del Premio Strega, Milano, Club degli
Editori, 1969.
34 Ivi, p. 47. La giuria del premio era composta dai precedenti vincitori delle due edizioni
precedenti, Giovanni Comisso con Il gatto attraversa la strada (1955) e Giorgio Bassani con le Cinque storie ferraresi (1956).
pubblicità rimate dei prodotti».35bis La ripresa si chiude davanti all’alloggio più
indifeso, nel ridottino della portineria, dove incontriamo la protagonista del racconto:
«È seduta su una seggiola impagliata la portinaia, madama Donna. Un vestito azzurrino a puntini bianchi pende addosso al suo corpo di quarant’anni; il volto che scruta la finestra che dà sulla strada oppure ruota lento verso l’altra che dà sull’androne è grassoccio e rugoso, gli occhi stupefatti, come di pesce, azzurri, però, a contrasto con le nere ciglia, che dovettero gettar qualche bagliore di bellezza quando ancora non cascavano ingrigiti a ciocche che si sfilano dalle pinze i capelli, quando le mani erano ancora profilate leggere senza i segni bluastri dell’acqua diaccia che risciacquando caccia o riattrae in disordine il sangue, lentamente sformando le dita. Spunta una peluria sotto il naso e alle gote; madama Donna non se ne cura: per chi mai, se il marito nelle rade ore che resta in casa non fa che ruttare e biascicar notizie, spandendo dalla bocca il lezzo della pipa?».36 Sembra una tra tanti
madama Donna, è il suo stesso nome d’altronde a rivelarcelo; un elemento indistinto del genere umano, senza una storia, un destino. Dalla sua fisicità sgraziata traspare una mancanza di cura di sé (e probabilmente di percezione – e quindi di umanizzazione, direbbe Berkeley), non diversa da quella dei vicini, il cui tempo trascorre osservando l’esistenza attraverso la sua superficie o dal riflesso sbiadito che ne rimanda il televisore, tra discorsi che rimangono «sgombri di tutto quanto non sia una verifica superflua di maniaci a notizie già fornite, inventario inutile di cose morte».37
Ma in questo generale distratto osservare le scorie dell’esistenza, madama Donna sa a cosa attendere: la sua è un’indagine minuta, «perché di un culto vive e s’accende e di una riverenza, madama Donna; rispetta schiettamente, senza unzione, il memorabile. Come forse alle sue bisavole montanare accadeva di sgomentare ammirando rocce di forma inusata, pietre di foggia inverosimile, grandinate fuor di stagione, ponti di pietra lanciati a gobba sui torrenti, di ignota origine, e ancora nascite o morti inconsuetamente avvenute; così pur nella selva delle case madama Donna coglie l’inverosimile come altamente significante apparizione di un mondo fuor del mondo. Così pur nella selva delle case madama Donna coglie l’inverosimile
35 ELÈMIRE ZOLLA, Visita angelica in Via dei Martiri, in «Tempo Presente», anno II (1957),
n.ro 2, pp. 104-117; e vedi qui APPENDICE, [1].
35bis Ivi, p.104. 36 Ivi, p. 105. 37 Ivi, p. 104.
come altamente significante apparizione di un mondo fuor del mondo».38 Come se l’epifania di un evento straordinario – un incidente d’auto, un ladruncolo con il naso sanguinante per il pugno del negoziante che cercava di derubare, una donna nana che aveva avuto un figlio perfettamente sano – potesse interrompere il susseguirsi di tanti giorni tutti uguali, permetterle di attirare l’attenzione altrui con il racconto di quanto accaduto, sola in grado di squarciare con ciò la monotonia dell’esistenza. Quando invece gli avvenimenti memorabili latitavano, madama Donna inseguiva i fili sottili delle coincidenze o si aggrappava alla rabbia e al disprezzo per cercare in essi lo stupore o un bagliore di sentimento appassionato. La vita famigliare non suscita in lei alcuna forma di affetto, mentre un accenno di memorabile lo hanno i primi presunti interessi sessuali del figlio («e si augurava non glielo guastassero le donne. […] le malattie del sangue sarebbero state soltanto l’evidenza di un’azione loro malvagia, usurpatoria»).39 La vita con il marito è scandita per contro dal dovere e dalla
necessità: «quando tornano dal lavoro il marito ed il figlio, mette loro da mangiare sul tavolo, lei volendo mangiare da sola all’acquaio, che è una vendetta contro il dover far da mangiare insieme con la scusa d’essere più vicina al fornello ed all’acqua, perché far da mangiare le secca. Come anche far l’amore con il marito; lo confida a chiunque: Per me è sempre stato un sacrificio. I tre si parlano di rado, e attaccar briga è affare da nulla, per loro».40 Il litigio diventa uno dei rari momenti memorabili all’interno della famiglia di madama Donna; come quando il giorno della festa dei morti devono andare al cimitero a far visita ai defunti e il figlio si rifiuta di contribuire alla spesa per i fiori, colpevole di sottrarsi a ciò che è giusto fare; perchè «la giornata al cimitero è una bella giornata per madama Donna, quando tutti i tram sono carichi di gente che fa la stessa cosa che fa lei, e tutti comprano i fiori che compra lei e i viali del cimitero sono pieni di gente e tutti sono esattamente come lei (così pensa e non l’inverso che è lei come tutti gli altri)»; e per le reticenze del figlio «il concorso visibile di tutti gli altri doveva già bastare come spiegazione (tanto che sul giornale il giorno dopo se ne sarebbe scritto: trecentomila al cimitero)».41
Il tema dell’omologazione dell’individuo esplorato con tutta evidenza in queste pagine d’avvio del racconto sarà uno dei motivi fondamentali della feroce critica anti-moderna che, negli stessi anni, caratterizza la produzione saggistica di Elémire
38 Ivi, p. 105. 39 Ivi, p. 106. 40 Ivi, pp. 106-107. 41 Ivi, p. 107.
Zolla. Il concetto di uomo-massa viene diffusamente analizzato nel capofila dei suoi scritti polemici, Eclissi dell’intellettuale, a cui si è già accennato in precedenza in questo lavoro. Nella comunicazione vuota dei vicini, nel ritratto famigliare di madama Donna, si esprime un’umanità che ha saputo «respingere tutto quanto possa parlargli dell’uomo e dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri»;42 un’azione cosciente che mette al riparo dalla minaccia di un pensiero autonomo, la cui singolarità porterebbe l’individuo ad essere diverso dagli altri, escluso dal carosello delle idee dominanti. È il grande cambiamento messo in atto dalla civiltà industriale del secondo dopoguerra che ha saputo, attraverso le leggi di mercato, plasmare gusti e bisogni e creare in questo modo, laddove l’educazione non sia riuscita ad agire come tutela dalla barbarie, non una società consapevole ma un organismo collettivo, che agisce solo in base alla mera appartenenza. «La vera massima segreta dell’uomo di massa risulta: Io so di essere un verme, ma debbono esserlo tutti; sono disposto ad adorare un altro verme purché si riconosca tale e purché si presenti sotto gli auspici di ciò che trascende il mondo dei vari vermi, del Creatore del mondo dei vermi, dell’industria».43 Le sue energie sono tutte tese ad aderire ad un modello prestabilito, mettendo a tacere ogni istanza critica, nella convinzione di poter condurre in questo modo un’esistenza più semplice, condivisa con altre persone e ligia al sentimento di essere simile a loro: donde l’impulso a scagliandosi con insensata violenza contro ogni forma di diversità. Esercitare il gusto e il giudizio diventa una questione di mera apparenza, che ricorda quanto scriveva Michelstaedter: «gli uomini comuni che parlano per affermare la propria individualità, hanno nel discorso più che l’interesse del pensiero quello di affermare la proprietà del pensiero».44 Ed è all’entrata in scena della seconda protagonista del racconto che vediamo manifestarsi anche in madama Donna questa spontanea diffidenza per un’umanità che non sembra aderire ad un modello conosciuto ma, sembra anzi beffarsi del pensiero altrui volutamente ostentando la sua singolarità.
È sera, nel suo ridottino madama Donna attende le undici per poter chiudere il portone, quando «passa, nera ombra sul turchino della strada, indistinta macchia e segno, geroglifico di mille paure di madama Donna mascherate di disprezzo, di mille suoi tremori camuffati d’irrisione, la Cri Cri. La Cri Cri è una zoppa grassoccia, ha il ventre enfiato e le mani che escono dalle maniche della pelliccia sono piccole e
42 ELÉMIRE ZOLLA, Eclissi dell’intellettuale, Milano, Bompiani, 1959, p. 106. 43 Ivi, pp. 108-109.
burrose al tatto, così come ha minuti i piedi nelle scarpette dorate. Fa ondeggiare la borsetta strascinando il piede più lungo (ed è ragione di scandalo buttare così in aria la borsetta, farla volteggiare, segnale di puttana, e poi le zoppe camminano in modo osceno e poiché paiono godere della loro camminata, ne sono in fondo responsabili, connette madama Donna). Nel volto liscio fra i lisci capelli neri, due occhi mai spalancati, ma sempre stretti in due pieghe di grasso, che si affinano verso le tempie e svirgolando in alto si estinguono; senza sopracciglia, e sovente si scorda di disegnare con la matita il loro arco. Spesse ha le labbra sotto il nasino inarcato, in casa la chiamano Palla».45 La Cri Cri fa la pittrice, in gioventù aveva tentato la carriera di attrice senza mai riuscire ad entrare in alcuna compagnia teatrale e dopo varie vicissitudini era tornata a vivere con i genitori, nel palazzo di madama Donna; «la madre rifiutava di darle la chiave del portone, abbarbicata a quest’ultima riserva della sua severità e di notte o di mattina, all’alba talvolta si era destati nella casa dal suo gemito roco in fondo alla strada: scalpicciando per le scale accorreva il padre con un pastrano buttato sul pigiama, bestemmiando contro la moglie e a madama Donna era venuto di scorgerlo, le mani intrecciate sopra la testa, abbattere i due pugni giunti sulle spalle della figlia che rideva e belava e poi gli si avvinghiava con parole che lo facevano impallidire».46 Madama Donna, con il pretesto della sua posizione di portinaia, seguiva con morboso interesse i curiosi avvenimenti di cui si rendeva protagonista la vicina, il più delle volte percossa e insultata dagli uomini con i quali si dicesse fosse solita intrattenersi, come quando «il gobbo che parlava stringendo i pugni, ancora e sempre, lì, sotto il portone, l’aveva all’improvviso colpita con un calcio al ventre, poi scappando», e si chiedeva che cosa significasse il commento che la Cri Cri pronunciava ad ogni umiliazione, sorridendo: «Ho superato», quello «strano congegno di parole che placava dunque e rendeva volatile la pesantezza del cuore».47
Vedere avanzare nel buio quella figura paffuta e claudicante suscita in madama Donna un moto di repulsione ma anche di curiosità e stupore: «Oh, avere, come il marito o il figlio, una risorsa per tali occorrenze, qualcosa che servisse per murarsi in sé, per istupidirsi […] Madama Donna non può e la divora la gran voglia di affisare la Cri Cri».48 Perché la donna riconosce che nella vicina è celato un lume di
45 ELÈMIRE ZOLLA, Visita angelica in Via dei Martiri, cit., p. 108. 46 Ivi, p. 108.
47 Ivi, pp. 108-109. 48 Ivi, p. 109.
memorabile, la sua esistenza così grottesca e sfuggente possiede il bagliore che può rendere l’umile portinaia protagonista del suo mondo, e ciò che la spinge a varcare il muro di diffidenza, di paura, che è l’istintiva reazione di una mente umile di fronte a ciò che si sottrae all’immediata comprensione. Quando, sportasi dalla finestra per inseguire la sagoma scura, la vede tornare verso il palazzo, madama Donna sente di averla invocata, quasi chiamata a lei, e «prova, madama Donna, a sogguardarla con disprezzo e a dirsi: Non sa neanche dove vuole andare… su e giù deve andare, tutta
la notte, e poi sfido che si alza alle undici del mattino; ma qualcosa in lei cede, come
sgominata da una insinuazione che ha il timbro della voce infantile e arrochita della Cri Cri: Nessuno mi vede, perché non le sorrido?».49 La invita dunque ad entrare un momento, ad usare la latrina se le serve, e abbandona la sua spontanea diffidenza madama Donna, nel timore che il suo essere scostante spinga la vicina a rifiutare l’invito; ma la Cri Cri accetta, senza dire una parola si reca nel bagno del ridottino per aggiustarsi la giarrettiera e la portinaia resta in attesa: «uscita la Cri Cri le avrebbe parlato e chissà cosa le avrebbe svelato, quali cose memorabili».50 Così succede, tornata da lei la Cri Cri, sempre sorridente, le chiede se vuole salire da lei e passare un po’ di tempo insieme. Madama Donna accetta, la voce ridotta ad un soffio, segue la vicina per le scale e le parla a malapena: «sapeva di non meritarsi tanto, voleva dire soltanto ciò che doveva ed era necessario in quel frangente insperato» ma «ormai la disertano tutte quelle parole superflue, facili a dire, che via scorrono senza nulla mutare, scivolando dalle labbra a ottenere la risposta che già in sé contengono, le parole con cui si scansa la terribilità del guardarsi, dello sperimentare la forza furtiva dello sguardo altrui e delle parole impronunciabili che uno sguardo impone ([…] come un illudersi che con la Cri Cri avesse così salito delle scale verso camere misteriose in chissà quale distante età, in una muta intesa che non soffriva se non parole che ella ancora non sapeva e non ardiva pronunciare»).
Entrate nell’appartamento della Cri Cri «furono in una camera vasta con due finestre, nuda quasi, con alle pareti scialbate una vestaglia e un mandolino appesi ad un chiodo malamente confitto. In terra quadri accatastati alla rinfusa a tutti gli angoli. Un cavalletto s’ergeva accanto a un tavolo ingombro di fogli da disegno arrotolati, tubetti di colore, pennelli e spatole. Madama Donna tenendo le mani giunte sul
49 Ivi, p. 110. 50 Ivi, p. 110.
grembo andò ad una finestra: di lassù le case rimpicciolivano, le persone si riducevano a esigue macchie; era davvero tratta fuor del suo mondo, il mondo
dabbasso».51 E fu in quel momento, in un tempo fuori dal tempo, in un mondo fuor
del mondo, che madama Donna chiese che quella «realtà stessa intrigante che
produceva il memorabile le si offrisse, come se in una chiesa il prete facesse cenno proprio a te, fra tutti, di venire francamente avanti, di accostarti al tabernacolo, su, su, fino a chinarvi la testa a pigliar l’ostia in bocca con un morso, da te»:52 domandò alla Cri Cri che cosa volesse dire superare. «Non sai che cosa vuol dire superare? […] Io ho superato tutto riprese: era l’inizio della litania, l’avvio della preghiera della Cri Cri, lo scongiuro iniziale […] Io accetto tutto. Come il mare, dove tutto
finisce. Non m’importa di niente, tutto quello che mi accade mi piace, me lo metto dentro. Quando mi picchiano e quando mi vogliono bene. Anche quando mi disprezzano, come facevi tu».53 Era un modo di parlare sibillino e madama Donna si
considerava troppo umile per comprenderlo, ma farsi guidare dalla Cri Cri attraverso quelle suggestioni è per lei una fonte di piacere e timore allo stesso tempo; timore di dover arrendersi completamente a lei, che vuole farla guardare oltre, in un mondo fin lì ignorato. Quando la Cri Cri le chiede se vuole posare per un ritratto, madama Donna abbandona gli ultimi fili che la tengono salda alla vita usuale per lasciarsi travolgere dalla malia della vicina; la Cri Cri le offre del vino e lei accetta di spogliarsi, di sedersi vicino alla stufa, e di lasciarsi osservare e fissare sulla carta in un intreccio di linee. Dissimula l’imbarazzo di essersi tolta i vestiti – la maglia ricavata da un vecchio lenzuolo, le mutande da uomo – con quel «tanto siamo fatte tutte uguale» pronunciato anche il giorno della visita della mutua per il libretto di lavoro, «volendo dire come sempre le capitava, l’inverso: Siamo tutte ben disuguali, fingiamo dunque di essere uguali che per avventura non ci soverchi la gran voglia di toccarci con gli occhi l’un l’altra»; lei che «mai si era spogliata per far l’amore con il marito, per quel sacrificio, sempre scoprendosi solo in parte, non per impaccio, ma per incuria o svogliatezza».54 Al calore bruciante della stufa, quando la notte aveva già avvolto il palazzo, madama Donna si scoprì ancora gradevole d’aspetto, piacevole l’odore che emanavano i suoi vestiti, mentre inerme si era ormai totalmente arresa all’amica: «oh, Cri Cri, mi dirai da oggi in poi cosa devo fare, sono
51 Ivi, pp. 110-111. 52 Ivi, p. 111. 53 Ivi, pp. 111-112. 54 Ivi, p. 113.
qui perché tu mi guidi, per conto mio non muoverò un muscolo, io per me non esisto».55
In quella dimensione sospesa, fatta di cose nascoste, l’equilibrio però improvvisamente si spezza. Suona il campanello e la Cri Cri annuncia una visita: «Sarà il mio amico, il mio grande amico […] Lo faccio entrare?»; madama Donna accetta, ansiosa di obbedire e la Cri Cri aggiunge: «Ma è morto. È uno spettro, lo
chiamo lo stesso?».56 Madama Donna si sente ferita e presa in giro ma è allo stesso tempo intimorita oscuramente dalla possibilità che quella notte prodigiosa sia riuscita ad evocare davvero entità soprannaturali, cose di cui non bisogna nemmeno parlare. Si riveste frettolosamente per lasciare l’appartamento della Cri Cri che «continua a disegnare sulla carta, dove ora campeggia l’immagine ancor più ingoffita di madama Donna, mostruosamente oscena. È proprio quel che è sortito sulla carta, così, a sua insaputa e per sua volontà, che ha indotto la Cri Cri a staccarsi dalla donna soggiogata con la tenerezza, volgendo in derisoria ansia l’amore obbediente».57 Vergognosa e incredula, come ridestandosi da un sogno, madama Donna torna tremante al ridottino della portineria, si infila tra le lenzuola dove il marito già dorme. «Non sa o forse sa bene lassù la Cri Cri che dopo aver destato ciò che in madama Donna sonnecchiava non poteva che scatenarle dentro libere infine e forti le presenze che madama Donna aveva brevemente avvertito talvolta, quando un bacio era parso sfiorarle le labbra nella notte o una mano ghermire le lenzuola; gli spiriti che avevano riverito le sue bisavole».58 Nel buio della camera da letto anche il russare del marito le sembra provenire da una dimensione soprannaturale: «A chi sta parlando? Ai morti, a loro, pensa madama Donna mentre si tiene immobile sotto le coperte, gli occhi spalancati. Che cosa possono volere i morti? Si domanda, e dentro le sale una voce: Ho i piedi bagnati. La terra è umida».59
Madama Donna si alza dal letto e va in cucina, dal cassetto della credenza