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La critica letteraria

1. La letteratura italiana

Scorrendo il catalogo dei titoli pubblicati da Zolla su «Tempo Presente» spicca, nel primo anno e mezzo, dal febbraio del 1957 al luglio dell’anno successivo, una decisa preminenza degli articoli di critica letteraria, mentre in seguito si fa più nutrita la serie dei contributi di critica della cultura, che caratterizzano di fatto l’ultimo periodo di attività dell’autore sulla rivista romana, dall’autunno del 1958 al gennaio del 1960. Gli articoli di critica letteraria corrispondono principalmente a due filoni d’interesse, quello per la letteratura (specialmente la narrativa) italiana e quello per la letteratura anglofona, con particolare attenzione non solo per le singole opere ma anche per le riviste – di letteratura, scienza, studi sociali – cui è dedicata una rubrica, la Rassegna delle riviste inglesi e americane, curata dallo stesso Zolla. Non mancano articoli che esulano da questa duplice suddivisione e recensiscono uscite editoriali in lingua francese o tedesca; sono occorrenze numericamente esigue ma si distinguono per la rilevanza dell’oggetto trattato: L’uomo senza qualità di Robert Musil (L’uomo

negativo [3]); Forgerons et alchimistes dello storico delle religioni Mircea Eliade

(Alchimia e senso del lavoro [29]), Il romanzo da tre soldi, nonché Gli affari del

signor Giulio Cesare e Storie da calendario di Bertolt Brecht (Narrativa di Brecht

[71]); Saint-Genès o la vita breve dello scrittore francese Roland Cailleux (Stenografia e pudore [73]).1

La critica letteraria di ambito italiano emerge non solo per la frequenza degli interventi ma, soprattutto, per l’ampia ricognizione compiuta da Zolla sul panorama letterario del nostro paese alla fine degli anni Cinquanta. Tra la prima opera narrativa                                                                                                                

1 D’ora in poi, per ragioni di praticità, citerò gli articoli di «Tempo Presente» richiamando la

numerazione con cui sono collocati in appendice a questo mio lavoro, dove il lettore troverà anche gli estremi bibliografici della loro pubblicazione in rivista.

recensita da Zolla nel numero di aprile del 1957 (il romanzo di Elsa Morante L’isola

di Arturo [6], pubblicato da Einaudi), e l’ultima recensione comparsa a firma

dell’autore nel febbraio del 1959 (Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa [65], pubblicato l’anno precedente da Feltrinelli), si collocano le recensioni a La

ciociara di Alberto Moravia [10], alla poesia di Pier Paolo Pasolini (Le ceneri di Gramsci [17]), a Il vero Silvestri di Mario Soldati [18] e Valentino di Natalia

Ginzburg [18]. Nel corso del 1958 gli interventi critici di Zolla sono dedicati al romanzo La monaca di Sciangai di Anna Banti [34]; alla sillogia di racconti di Gianna Manzini Cara prigione [41]; a Gli occhiali d’oro di Giorgio Bassani [45] e, sempre nello stesso numero di luglio, a Gli anni del giudizio di Giovanni Arpino [46]. A una divagazione in ambito etnografico, con la recensione Morte e pianto

rituale nel mondo antico di Ernesto de Martino [53], segue, nello stesso numero di

settembre-ottobre 1958, un articolo su Silenzio a Milano [54] della scrittrice romana Anna Maria Ortese. Sono di dicembre gli ultimi contributi di italianistica pubblicati da Elémire Zolla su «Tempo Presente», prima di quello conclusivo su Tomasi di Lampedusa, e riguardano la raccolta dei Racconti calviniani [58] e I viaggi, la morte di Carlo Emilio Gadda [59]. Non recensioni ma riflessioni sulla situazione poetica e narrativa in Italia si ritrovano invece negli articoli Romanzo e società [9], del giugno 1957, che muove da una riflessione di Carlo Bo pubblicata su «Paragone», nella quale il critico ligure si interroga sulla qualità del romanzo italiano contemporaneo, e

Fantaletteratura [37] nel quale viene discusso un contributo sulla poesia italiana

contemporanea, La poésie italienne contemporaine, firmato da Maria Brandon- Albini e apparso nel numero di gennaio-febbraio 1958 della rivista curata da Jean- Paul Sartre, «Temps modernes».2

Quello che emerge anche da una lettura superficiale degli articoli zolliani è l’assoluta singolarità del suo punto di vista critico nel panorama letterario italiano della metà del secolo scorso, e ciò in particolar modo per la quantità di spunti interdisciplinari di cui sono nutriti i suoi contributi che, spaziando dalla critica in senso stretto all’antropologia, alla psicanalisi, rivelano fin da subito una personalità di vastissimo e non comune respiro. La padronanza raffinata delle conoscenze più varie viene rafforzata dall’abilità nello stabilire connessioni che fungono non solo da forza ordinatrice ma permettono anche l’emergere, limpido e determinato, di un                                                                                                                

2 Nell’articolo, che per la modestia del contributo e i numerosi svarioni Zolla non esita a

definire fantasticante (da cui il titolo), Pier Paolo Pasolini viene citato ad esempio di poesia dialettale veneta invece che friulana.

punto di vista preciso che spesso coincide con una perentoria dichiarazione di poetica; una poetica che ambisce ad andare oltre la mera rilevazione documentaria e che non soggiace all’accettazione della realtà accreditata ma sa distanziarsene e osservarla, scrutandone la pregnanza vitale. E infatti proprio questa incapacità di cogliere «la vita vivente», questo accontentarsi di «riduzioni della vita, che non sono però ascesi, bensì adattamenti dell’autore alla realtà com’è»3 costituiscono per Zolla un capo di imputazione a danno di Carlo Cassola nella recensione a Un matrimonio

del dopoguerra, pubblicata nel dicembre del 1957 con il significativo titolo di Tre Romanzi-documento [28] (gli altri due romanzi, pubblicati da Einaudi in quello

stesso anno, sono Gymkana – cross di Luigi Davì e Le piccole vacanze di Alberto Arbasino). L’impegno dello scrittore non può essere quindi per Zolla solo quello di aderire ad una qualche prospettiva fenomenologica, ma osservare la realtà ed interrogarsi su di essa, cercando di attingere agli strumenti più efficaci per comprenderla e giudicarla.

Nel 1957 una discussione dal titolo Questioni sul realismo aveva raccolto, tra le pagine di «Tempo Presente», i punti di vista di alcune tra le voci più significative del dibattito intellettuale di quegli anni, quali Alberto Moravia, Vasco Pratolini, Elio Vittorini, Italo Calvino, Carlo Bernari, Sergio Solmi, Walter Vivaldi e lo stesso Elémire Zolla. L’inchiesta, pubblicata nei numeri di luglio e novembre, nacque da una riflessione del poeta Franco Matacotta che, identificato un gruppo di scrittori in cui vi era maggiore sensibilità critica riguardo al rapporto tra ideologia e creazione letteraria, volle sottoporre loro un questionario di sette domande allo scadere di quella che definì come una fortunosa annata di avvenimenti politici. Il 1956 si delinea in effetti come una chiave di volta nel panorama degli eventi politici del secondo dopoguerra; fu l’anno in cui ebbe inizio il processo di destalinizzazione dopo che il rapporto segreto di Chruščёv al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) denunciò le violenze, le limitazioni delle libertà personali e le criminose epurazioni del periodo staliniano; fu anche l’anno della rivolta anti-sovietica in Ungheria, dove le aspirazioni ad una liberalizzazione del modello socialista diedero luogo a una repressione sanguinosa da parte delle truppe dell’Armata Rossa che portò in tutta Europa ad un primo, significativo, crollo del sostegno all’ideologia comunista. Nel panorama degli equilibri internazionali il 1956 vide anche un primo, definitivo, contrapporsi dei blocchi americano e sovietico e il                                                                                                                

determinarsi delle rispettive sfere di influenza; in questo senso il mancato sostegno da parte degli Stati Uniti alla rivoluzione ungherese, dopo la richiesta d’aiuto del Primo Ministro Nagy, rese chiara l’impossibilità di uno sconfinamento nelle questioni politiche tra i due blocchi.

Nell’Italia alle soglie della rinascita economica, gli avvenimenti d’Ungheria furono causa di un drastico rivolgimento politico, creando una frattura insanabile all’interno della sinistra; da un lato il PSI di Pietro Nenni che condannava fermamente l’intervento sovietico e faceva propria la collocazione dell’Italia entro il blocco occidentale, dall’altro il PCI di Togliatti che, tolta una frangia marginale di dissenso – incarnata da figure come Antonio Giolitti fu molto riluttante nella revisione critica della figura di Stalin e dei metodi repressivi del comunismo sovietico; un’ortodossia questa che condusse molti iscritti a lasciare definitivamente il partito (l’esempio più noto, oltre allo stesso Giolitti, è quello di Italo Calvino).4 Un

panorama politico dunque denso di avvenimenti e implicazioni, che si pone come snodo fondamentale nella storia della repubblica e si trova inevitabilmente a riflettersi nella contemporanea produzione culturale. Dalle premesse qui tratteggiate prendono vita i quesiti che Matacotta sottopone, sulle pagine di «Tempo Presente», al gruppo di intellettuali sopracitato, proponendosi non solo di stimolare un dibattito critico all’interno di una società culturale come quella italiana, che definisce «carente d’organizzazione e affidata più agli umori e alle manifestazioni affettive»5 ma anche di portare allo scoperto le implicazioni morali e i problemi che restavano vivi nella coscienza di ogni singolo scrittore. Le domande di Matacotta,6 attraverso le quali riusciamo a percepire più concretamente i termini del dibattito, erano le seguenti:

1) – Alla luce degli avvenimenti politici di questi ultimi tempi nel mondo socialista, dal «disgelo» ai fatti d’Ungheria, come pensa si debba porre da noi il problema del «realismo»?

2) – Si sta configurando in Italia una corrente letteraria che pretende di mettere in discussione globalmente le opere degli scrittori impegnati nell’ideologia marxista o comunque legati a un particolare atteggiamento politico di sinistra, e

                                                                                                               

4 La critica allo stalinismo e alle posizioni del PCI saranno espresse dall’autore per mezzo di

una satira pungente nel racconto La gran bonaccia delle Antille, pubblicato nel luglio del 1957 sulla rivista «Città aperta».

5 Franco Matacotta, Questioni sul realismo, in «Tempo Presente», anno II, gennaio 1957, p.

517.

dichiara fallimentare il neorealismo e più ancora quella parte del neorealismo che si ispira esplicitamente ai contenuti popolari. Pensa che codesta posizione abbia un carattere involutivo e di ripiegamento, oppure costituisca un fatto positivo e propulsivo?

3) – Se per «contenuto» si intende non solo la scelta di un particolare ambiente ma, più essenzialmente, l’atteggiamento dello scrittore e di una generazione verso codesto ambiente: quali contenuti odierni pensa possano costituire degli exempla artisticamente realizzabili, e quali le opere del dopoguerra che siano rappresentative di una siffatta realizzazione?

4) – Afferma Gramsci che l’incapacità per una letteratura di «essere un’epoca», investe non soltanto la letteratura ma tutta intera «la vita di un particolare periodo storico». Pensa che il «movimento» di creazione e di critica al quale assistiamo sia quello che Gramsci chiama «del cane che si morde la coda», oppure contenga in sé già un preciso svolgimento?

5) – Pensa che l’autobiografismo del dopoguerra, a differenza di quello dell’anteguerra stilizzato e strettamente personale, sia il documento di una mutazione di situazioni in un processo sociale definito, e possa assurgere a dignità di concezione politica e sostituire in definitiva l’antico saggio politico o filosofico?

6) – Le rappresentazioni di erotismo o comunque la particolare insistenza dei problemi del sesso nella narrativa, documento del dissolvimento morale dei costumi, pensa che escludano l’esistenza di una «concezione morale generale», oppure la contengano? In altre parole, tale dissolvimento è paragonabile all’allesandrinismo, cioè a un’esperienza storica e culturale a lunga gittata nel tempo, oppure esso è un modo di reagire contro una concezione morale invecchiata, divenuta pura ipocrisia formalistica che tenta di mantenersi viva coercitivamente: fenomeno più ristretto nel tempo, paragonabile, mutatis mutandis, a quello dell’età dantesca o a quello illuministico?

7) – Relativamente alla coazione esercitata dal conformismo cattolico nella presente epoca di crisi, e più in particolare all’intervento delle supreme autorità della Chiesa in flagrante contraddizione con lo spirito e la lettera della Costituzione, quali prospettive pensa che si presentino alla società italiana e alla

sua cultura, e quale pensa debba essere l’intervento degli scrittori per fronteggiare e superare l’attuale impasse?

Il contributo di Zolla all’inchiesta, pubblicato nel numero di «Tempo Presente» del novembre 1957, presenta un’analisi che muove dall’individuazione della causa, dal difetto di giudizio insomma che ha permesso il diffondersi in ambito letterario del fenomeno del realismo e, in particolar modo, di quella sua particolare accezione marxista che è stato il realismo socialista. Per Zolla, l’autoinganno di «coloro che tennero in vita con artifici quel mostro»7 non viene ad essere superato con la semplice critica al marxismo e ai frutti della sua produzione culturale, ma si annida più specificamente in un atteggiamento di scetticismo nei confronti della realtà; un motivo che sembra annidarsi anche nella corrente antitetica al realismo, l’avanguardia. A riguardo Zolla fa riferimento all’opera critica di György Lukács e, in particolar modo, ad un saggio dell’autore pubblicato su «Nuovi argomenti» nell’estate di quello stesso anno, in cui il letterato ungherese mira sul teorico alla definizione di cosa sia l’arte realistica,8 affermando che questa non possa prescindere da una condanna non generica del reale e vada perciò nutrita di una visione profetica della società futura (sennonché su questa via – obietta Zolla – si rischia «di ricadere per forza di cose nel realismo socialista»). Meglio allora quando Lukács parla del realismo come di «una sintesi di universale e particolare sul piano della conoscenza intuitiva-rappresentativa» che è d’altra parte – osserva ancora Zolla – «la definizione dell’arte senza aggettivi».9 Quando all’analisi del rapporto fra neorealismo e avanguardia, Zolla individua un punto di sintesi che conduce, pur nelle rispettive peculiarità, ad un esito comune: nell’arte di avanguardia la «lacerazione del rapporto fra il particolare e l’universale, fra il soggetto e l’oggetto, nasce da un sentimento fondamentale di angoscia e finisce, nelle ultime manifestazioni, in uno stato di

ottusità e di apatia, interrotto qua e là da estasi accidentali per parare nell’idiozia

accettata, che è il tema del neorealismo. Ma questo carattere intimo dell’arte d’avanguardia non è lo stato d’animo prevalente nelle masse? Non risponde dunque al rispecchiamento appunto «immediato» della loro vita? L’avanguardia non è (come faceva notare Clement Greenberg) che l’altra faccia del Kitsch, ovvero della cultura                                                                                                                

7 Appendice [26], p. 163.

8 Il tema del realismo nell’arte, ampiamente dibattuto nell’opera di Lukács, trova una sua

fondamentale sintesi nel volume Saggi sul realismo (GYÖRGY LUKÁCS, Saggi sul realismo, Torino, Einaudi, 1970).

di massa».10 Anche in questo caso l’analisi zolliana, richiamando al neorealismo e all’avanguardia come a rappresentazioni della società di massa, rimanda al germe fondamentale della critica della cultura, da cui si sviluppano i motivi che caratterizzano la sua produzione saggistica sul finire degli anni Cinquanta. La propaganda e l’omologazione culturale del socialismo sovietico palesano una chiara simmetria con la massificazione dell’individuo nel grembo della civiltà industriale. Come l’avanguardia, che è processo creativo, si nutre dell’angoscia della società contemporanea mettendola a nudo, così la cultura di massa, che è attitudine al consumo, tenta di dissimulare quella stessa angoscia dietro la superficie ammiccante di prodotti in serie il cui bisogno è indotto dall’industria moderna, quella straordinaria cassa di risonanza della volgarità, come scrive Gómez Dávila.11

All’avanguardia manca quella stessa componente la cui assenza era lamentata per la società di massa nelle pagine di Eclissi dell’intellettuale: non si tratta «semplicemente (del)la mancanza della felicità o dell’indipendenza. Manca qualcosa di difficilmente definibile, ed è la capacità di innalzare su un piano più alto la vita: manca la festività».12 Un’infelicità che è quella delle case-albergo di cui narra Anna Maria Ortese nel racconto Le piramidi di Milano, citato da Zolla nella recensione al volume Silenzio a Milano [54]; una narrazione della società massificata della metropoli, dove «una razza svuotata di ogni logica e raziocinio s’era aggrappata a questo tumulto informe di sentimenti, e l’uomo era adesso ombra, debolezza, nevrastenia, rassegnata paura e impudente allegrezza».13 L’opera dell’Ortese è tuttavia simbolica perché si rivela essa stessa un prodotto industriale, «nascendo da un compromesso con l’industria giornalistica» per il quale «i direttori di giornali hanno bandito gli elzeviri e indirizzato i letterati alla parte centrale della terza pagina, dove concedono loro di scrivere in modo non ripugnante del tutto, purché colgano il

tono di una città o d’un avvenimento».14

La festività, dunque, la percezione della sacralità dell’esperienza, diviene il filtro fondamentale attraverso cui osservare il reale e non solamente reprimere l’angoscia che ne deriva né, soprattutto, l’unico strumento che ne permette la                                                                                                                

10 Ivi, p. 163.

11 NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, In margine a un testo implicito, Milano, Adelphi, 2009, pp. 58-

59: «Forse altre epoche sono state volgari quanto la nostra, ma in nessun’altra la volgarità è stata così inesorabilmente amplificata da quella straordinaria cassa di risonanza che è l’industria moderna».

12 ELÉMIRE ZOLLA, Eclissi dell’intellettuale, cit., p. 174. 13 Appendice [54], p. 210.

comprensione: l’intelletto. L’approccio artistico nutrito di festività o come diceva Thomas Mann nel prologo a Giuseppe e i suoi fratelli, la «festa del narrare» che abolisce il tempo ed evoca il mito, allontana gli scrittori dall’errore commesso da quanti aderirono alla corrente narrativa del realismo socialista, che «dimisero i concetti maturati dalla tradizione e si votarono a una povertà di linguaggio e di pensiero», richiamando quella fedeltà alla tradizione che è motivo circolare nell’opera di Elémire Zolla. Il difetto che, in conclusione dell’articolo, Zolla addebita all’impostazione di Lukács è di non tenere in adeguata considerazione l’elemento psicanalitico, rinunciando a guardare oltre la semplice «ripartizione del mondo dell’arte in avanguardia e realismo borghese»15 per indagare i meccanismi psicologici che sottendono ad entrambi i fenomeni e, più generalmente, alla società stessa. «La psicologia e l’infantilismo sono le due soluzioni del Kitsch dinanzi all’orrore totalitario, la soluzione cioè dei totalitarismi a fatti psicologici individuali (e l’esempio più irritante è un documento di perfetto Kitsch, il rapporto Kruscev); oppure la rappresentazione ingenua di un urto fra buoni e cattivi, come nel film di guerra, che quando voglia temperare il giudizio spartendo il bene e il male fra i due campi finisce nell’esaltazione in seconda istanza dell’orrore, poiché esso appare un fenomeno naturale che trascende gli uomini e lascia le cose come stanno. Ma è appunto l’impotenza della psicologia che occorre indagare: è vero che, dove l’uomo si trova preso nell’ingranaggio di istituzioni che lo sovrastano senza dargli alcuna speranza di opposizione, la sua stessa psicologia diventa fenomeno riflesso di una coercizione o di una manipolazione; ma resta ancora da vedere perché egli resti indifeso, perché la monade umana capitoli. Non si tratta, come sostiene Adorno, di spiegare la forma delle automobili Ford dalla psicologia del signor Ford, ma di spiegare perché un uomo si riduce a riverire come un feticcio la forma di una Ford».16

Insistendo sull’analisi simmetrica dell’avanguardia che, nella rottura del rapporto tra particolare e universale, diventa rappresentazione mimetica e incosciente e neorealismo o realismo socialista come adesione acritica ad un modello sociale, Zolla risponde alla domanda di Matacotta sul problema del realismo nel mondo contemporaneo, e lo risolve perorando la causa «di una sintesi di rappresentazione e di conoscenza», che verrebbe di fatto ad essere «l’unico modo di continuare sia pure                                                                                                                

15 Appendice [26], p. 164. 16 Appendice [26], p. 164.

“equilibristicamente” la festa del narrare e del fare arte in genere». Il contrasto tra il rigore ideologico e il desiderio di immergersi nella «sensuale, dolce e selvaggia vita» e insieme l’incapacità dello scrittore borghese di penetrare a fondo questo suo dilemma, saranno il fil rouge che lega l’analisi critica della maggior parte della narrativa italiana recensita da Elémire Zolla in «Tempo Presente», evidenziando soprattutto in quali autori il tentativo di superare questo immobilismo si faccia più deciso e con quali esiti. «Nell’insieme di voci, in gran parte periferiche» che è stato il Neorealismo e nel suo tentativo, come sostenne Calvino nella nota prefazione a Il

sentiero dei nidi di ragno, di essere «una molteplice scoperta delle diverse Italie,

anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite per la letteratura»,17 si era manifestata l’ambizione dell’intellettuale di impronta gramsciana di farsi parte attiva del tessuto sociale e veicolare nella letteratura le idee proprie dell’antifascismo e della Resistenza, cercando nella vicinanza alle masse popolari il moto propulsore di questo cambiamento. Uno sguardo ormai lontano dall’individualismo decadente che aveva tuttavia per Zolla il difetto di andare a nutrire quella «generale smania italiana d’intenerirsi a scarso prezzo (si pensi a certi episodi di Ragazzi di vita)»18 o, come in Calvino, di condurre ad un’accettazione mediata della società «indossando una maschera bonaria, un po’ ironica, senza esibizionismi, senza vanterie», in nome di una «poetica della via di mezzo» che «non giunge mai al sarcasmo o comunque alla