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La critica della cultura

2. Civiltà di massa e religione

In un intervento dell’agosto 1957 nella rubrica «Gazzetta», Logica aziendale

e teologia [16], Zolla presenta la prima di una serie di riflessioni su quali siano stati i

cambiamenti intercorsi nel rapporto tra l’individuo e la religione in seno alla società di massa. L’articolo è un commento ad un saggio del docente di Storia Moderna Alfonso Prandi apparso sul «Mulino», rivista del quale lo stesso Prandi fu direttore dal 1954 al 1975, in cui si invitava ad un’analisi sociologica dello stato della fede in Italia. Secondo Prandi la rivoluzione industriale ha generato nell’individuo una mentalità materialistica e sostanzialmente laica, che lo ha progressivamente                                                                                                                

allontanato da quello che è sempre stato per la Chiesa il mezzo preferenziale attraverso cui veicolare il suo messaggio di fede: il senso di comunità. Per Zolla è qui che «si tocca il problema reale della religione, oggi. La sua sconfitta è ammessa dal suo comportamento: quando si ha di mira non la persona, ma la massa, è già inconsapevolmente avvenuta l’abdicazione all’apostolato. Quando d’un miracolo o d’un fenomeno mistico si fa una merce propagandistica e lo si divulga attraverso i mezzi di comunicazione di massa, lo si parifica alla notizia pubblicitaria ponendolo sullo stesso piano delle altre merci. Quando si organizza lo sport e la visione di films si pone, volenti o nolenti, la cerimonia liturgica sullo stesso piano di «attrazione», di diversivo dalla noia quotidiana. Se poi essa viene diffusa per radio e per televisione, se ne sottrae la particolarità, l’aura e il carattere sacro-festivo conferendole l’ubiquità, il carattere di bene consumabile, di spettacolo che viene in casa, che non invita la partecipazione, ma occupa l’orecchio e l’occhio soltanto. L’adeguamento della propaganda della fede ai mezzi di massa può essere proficuo, se si misura in termini di affollamento delle sale parrocchiali, di adesioni alle organizzazioni cattoliche, ma ciò che fatalmente viene a mancare è la sua ragione di esistere».23

Nell’approccio collettivo, che è della società di massa, il rapporto tra istituzione ed individuo perde la sua natura umana. L’uomo, atomizzato, soggiace alla natura intrinsecamente totalitaria della civiltà industriale che lo manipola a suo fine esclusivo. Può la Chiesa adattarsi impunemente a un mondo ad essa talmente

ripugnante?, si chiede Zolla e si richiama a George Bernanos, lo scrittore francese

del Diario di un curato di campagna, «una delle poche voci che la Chiesa cattolica abbia annoverato nella cultura moderna» che «ad essa si aggrappava appunto per sfuggire alla civiltà degli imbecilli».24 Di fronte ad una Chiesa che divulga una fede propagandistica, fatta di un senso di comunità basato sulla facile attrattiva popolare, in un mondo dove si assiste al progressivo decadimento delle strutture tradizionali e che quindi, come rivela la posizione di Prandi (e del «Mulino»), più facilmente accetta di inserirsi nelle spire dell’amalgama industriale, un’adesione al culto in senso tradizionale è ormai impraticabile. Vittima della falsa coscienza è colui che si dichiara credente per tradizione. I cattolici, tuttavia, non vengono privati della possibilità di scegliere a quale tipo di fede aderire ma, allo stesso tempo, le vie che si aprono loro sono opposte e inconciliabili. Essi possono accettare il compromesso,                                                                                                                

23 Appendice [16], p. 143. 24 Appendice [16], p. 143.

«perdere le cause del vivere per trasformarsi in spettatori o manipolatori d’un apparato aziendale che nella sua logica li trascinerebbe senza rimedio, oppure restar fedeli alla loro ragione d’esistere».25

Nel numero di «Tempo Presente» del gennaio 1958, Zolla si occupa ancora dell’argomento presentando i contenuti di una rivista di nuova pubblicazione, «Sociologia religiosa» a cura dello studioso e giornalista Sabino Acquaviva, autore nel 1961 del volume L’eclissi del sacro nella civiltà industriale. La situazione che sembra emergere è più generalmente quella di una diminuzione dell’approccio alla fede nei luoghi dove vi sia stata un’alterazione nell’equilibrio delle comunità naturali (industrializzazione, aumento demografico, immigrazione). Acquaviva riconosce come permanga l’esistenza di ambienti tradizionalisti che riescono a sollevare il credente dall’obbligo del compromesso e di quello scetticismo ideologico sempre più imperante nella civiltà industriale. Zolla ne sottolinea tuttavia la debolezza, in un panorama di sempre più diffusa freddezza calcolatrice. Non stupisce quindi se «la religiosità diventa oggettivamente spettacolo, e quella folcloristica delle isole tradizionali crolla con facilità non appena tratta fuori dall’aria di serra e costretta a stare al gioco della vita dell’èra industriale. La tiepidezza è la maschera che soggettivamente può nascondere la totale indifferenza durante la fase di transizione dalla civiltà artigiana o contadina a quella industriale. Resiste ancor meglio delle altre fedi la cattolica, osserva l’Acquaviva; ma, si aggiunga, a patto di perdere la consistenza spirituale quando si adegui al ruolo di una fra le tante istituzioni che si occupano di manovrare il tempo libero dell’uomo-massa».26 Zolla giunge così a formulare una diagnosi limpida e coerente del morbo che mina alla radice la presenza della religiosità nel mondo moderno, come traspare dal primo articolo citato in questa sezione della mia rassegna: «il fenomeno di un cattolicesimo adeguato al mondo dell’industria culturale, ridotto a organizzazione di masse, per usare il nuovo gergo, eterodirette, è in sostanza una liquidazione dell’essenza della religiosità accompagnata da un gesto di formale ossequio».27

Zolla riconosce tuttavia l’esistenza «incredibile di un cristianesimo vivo e nascosto, accanto all’imponente cadavericità del cristianesimo come strumento di regno»,28 lontano dallo «spettacolo della massima parte dei cattolici che s’impicciano                                                                                                                

25 Appendice [16], p. 143. 26 Appendice [31], p. 170. 27 Appendice [16], p. 144. 28 Appendice [70], p. 241.

di cultura moderna, simili a nuovi ricchi che rimediano al loro disorientamento in società con ampi gesti villerecci e accorate declamazioni di luoghi comuni, con richiami a qualche nome illustre (come quello di Simone Weil) che si scopre poi se non a loro sconosciuto in loro inoperante, salvo come fonte di sospiri compunti».29 È

quello che egli riconosce nell’esperienza religiosa di don Lorenzo Milani. Nella sua prima e perseguitata opera, Esperienze pastorali, ritirata dal Santo Uffizio a pochi mesi dalla pubblicazione, Zolla ritrova la cultura di un uomo semplice, il cui stile è spesso viziato da luoghi comuni piccolo borghesi, ma che ha ciononostante «l’anima d’un principe, possiede una capacità di disdegno, sa dare il bacio trasfiguratore all’istituzione in cui vive, sa guardare con felicità contemplativa autentica il reale, non soggiace quasi mai al torbido compiacimento, ha una vena di purezza che gli consente di intendere la verità. Il suo libro ci conferma che la cultura moderna è una delle vie iniziatiche, ma non la sola. Dopo averlo letto, si deve confessare che non è necessario aver assimilato le tecniche del pensiero moderno per scorgere il vero; basta l’appassionata attenzione, basta escludere il compiacimento e l’attardarsi su se medesimi, basta spingere il pensiero alle sue conclusioni senza lasciarsi ipnotizzare dalla forza imperante».30

Nel miracolo della semplicità, don Milani ha saputo osservare, e conoscere la sua parrocchia gli ha permesso di comprendere più generalmente i meccanismi del mondo moderno: egli intuisce la perdita della festività legata al rito, il senso di comunità che prende vita solo nel momento in cui vengano offerti intrattenimenti di massa come il bar, il cinema, lo sport. «Milani respinge la tentazione e guarda attentamente ciò che si chiama ricreazione. Peccato veniale la ricreazione fisica degli oratorî? Ma è poi veniale quando diventa regola di vita? Buttar via il tempo.Cercare

e organizzare ai giovani il modo di far l’ora della cena, di far passare il tempo, cioè di bestemmiare il tempo, dono prezioso di Dio che passa e non torna. Ormai i

parroci hanno trasformato le loro sedi in ricreatorî che competono con i circoli comunisti, in un affannoso cercare quomodo sine peccato ad peccatum liceat

accedere. Perché condannare cinematografo e televisione? Perché dipendono ambedue per loro natura da organizzazioni molto costose. Era fatale dunque che dovessero cadere in mano a dirigenti la cui unica preoccupazione fosse quella di contentare gli spettatori. Ma è appunto ciò che distingue il maestro dal

                                                                                                               

29 Appendice [76], p. 247. 30 Appendice [62], p. 220.

commerciante. Dicesi maestro colui che cerca di contraddire e mutare i gusti dei suoi clienti. Gestire un bar? Permettere il gioco? Milani non ha bisogno di leggere

studi sulla cultura di massa per avvedersi come il gioco di carte, anche senza

interesse è la quintessenza della bestemmia del tempo. Perché a quel tavolo uno si siede proprio per indicare che non ha nulla da fare, nulla che gli prema, e che manca talmente di interessi intellettuali di qualsiasi genere da doverseli creare dal nulla con un artificio totalmente convenzionale. E non si parli di distensione dei nervi, perché i volti dei giocatori non danno quest’impressione».31 E il sacerdote non ha solamente saputo riconoscere dove il male moderno è venuto ad annidarsi, ma ha saputo essere maestro: «attorno a Milani sono alcuni ragazzi, popolani, ai quali egli fa leggere l’Apologia di Socrate. Come fanno a capirlo? Domandò una dama, ed essi, assicura Milani, risposero: Come fa a capirlo lei?. Da quel gruppo di ragazzi si levò dunque un accento che risuscitò la grazia delle voci bianche che intonarono secoli fa la Messa di Notre Dame di Guillaume de Machaut. Il secolo se ne deve difendere, e ricorre al braccio ecclesiastico».32