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I colloqui tra gli Alleati: la Conferenza di Potsdam (Luglio-Agosto 1945)

3.2 Il futuro dei possedimenti italiani in Africa (1941-1949)

3.2.2 I colloqui tra gli Alleati: la Conferenza di Potsdam (Luglio-Agosto 1945)

La questione delle colonie italiane, per la diplomazia inglese e statunitense, era tutt’altro che definita e, in un colloquio a due al Dipartimento di Stato, emerse l’idea di escludere l’Italia dalle colonie prefasciste ad eccezione della Tripolitania, per non mortificare il sentimento italiano privando il paese dello status di potenza coloniale. Si scartava un ritorno in Cirenaica, di cui si suggeriva la creazione di un principato autonomo sotto sovranità egiziana, in Somalia, con la creazione di un grande stato somalo, e in Eritrea, spartita tra Etiopia e Sudan.

Un nuovo documento del Foreign Office insisteva sull’inopportunità di restituire le colonie all’Italia affinché venissero affidate a paesi più leali, per le negative reazioni del mondo arabo, e per non arrecare danno alla sua vita economica, avendo rappresentato un sicuro passivo per le casse italiane. Il Dipartimento di Stato, in seguito alla richiesta del presidente Roosevelt, scrisse un promemoria che non avanzava obiezioni alle proposte britanniche ma mostrava di preferire soluzioni che gli inglesi suggerivano come ripiego, come la cessione del territorio eritreo all’Etiopia o la rinuncia di quest’ultimo all’Ogaden, dal momento che era parte integrante di uno stato alleato, indipendente e sovrano. Sulla Libia, il progetto statunitense consisteva nel sottoporre l’intero territorio ad un trusteeship internazionale sotto l’autorità di una Commissione internazionale responsabile verso le Nazioni Unite. Questo promemoria venne personalmente consegnato da Roosevelt a Churchill nel Settembre del 1944, in una nuova conferenza a due in Quebec, durante la quale non si parlò ufficialmente del futuro dei possedimenti italiani35.

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Ibid., p. 42.

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Il Foreign Office incontrava difficoltà nella risposta da dare agli statunitensi, a causa della spinta americana al regime di trusteeship per le ex colonie italiane e delle reazioni negative del Colonial Office, che suggeriva di insistere con il Dipartimento di Stato per la spartizione, su base etnica, dell’Eritrea tra Sudan ed Etiopia, sul vecchio progetto di una grande Somalia e per la Libia si prospettava un Emirato senusso in Cirenaica, il ripristino dell’amministrazione italiana in Tripolitania e la cessione del Fezzan alla Francia. Questo progetto, assimilando le osservazioni dei capi militari, fu ultimato nel Gennaio del 1945 dal Foreign Office ma, il fatto che la questione dei mandati fosse all’epoca in evoluzione, indusse gli inglesi a ritardarne l’invio agli statunitensi a dopo la Conferenza di Yalta. In Crimea, la questione fu affrontata per concordare a quali categorie di territori il nuovo regime si sarebbe applicato e fu deciso che sarebbero stati sottoposti i territori staccati al nemico e, nella successiva Conferenza, da convocarsi a San Francisco per il 25 Aprile 1945, sarebbe stato studiato e definito il problema del meccanismo e dei principi ispiratori, senza discutere in merito ai territori specifici da sottoporre a trusteeship36.

La conclusione della guerra in Europa e la decisione di convocare, in Luglio, una conferenza dei tre grandi in Germania, induceva sia il Dipartimento di Stato che il Foreign Office a definire la politica da adottare nei confronti dell’Italia ed accelerare i preparativi e i progetti per la conclusione del trattato di pace. Una novità importante, nello stesso periodo, fu l’approvazione della Carta di San Francisco, il 26 Giugno 1945, che contribuì a chiarire il concetto di trusteeship internazionale (Capitoli XI-XIII) ed indusse la diplomazia britannica ad accettare l’idea di applicare tale sistema agli ex possedimenti italiani.

Gli statunitensi redassero una serie di documenti riguardanti i territori in questione, specificando che per la Libia erano previste tre soluzioni alternative: la restituzione dell’intero territorio all’Italia in piena sovranità; la divisione nelle sue due componenti storiche quali la Tripolitania, da restituire al governo italiano, e la Cirenaica, da erigere in Emirato autonomo sotto amministrazione fiduciaria inglese o egiziana. Infine la spartizione della Libia con un trusteeship italiano in Tripolitania e britannico o egiziano sulla Cirenaica, da erigere in Emirato autonomo. L’amministrazione fiduciaria era prevista per la Somalia italiana, da unire al

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Somaliland britannico e alla Somalia francese mentre per l’Eritrea caldeggiava una soluzione simile a quella somala.

I britannici, al contrario degli statunitensi, non erano ben disposti verso un ritorno italiano in Africa ma cercavano di conciliare gli interessi di tutte le parti in causa. Per la Tripolitania, la tesi di un trusteeship italiano era azzardata perché rischiava di compromettere i rapporti tra la penisola e il Regno Unito mentre per la Cirenaica si voleva dare soddisfazione alle aspirazioni senussite. Le proposte riguardanti l’Africa orientale erano motivate dall’obiettivo di accontentare l’Etiopia per uno sbocco sul Mar Rosso e dall’aspirazione britannica di mantenere sotto la propria sfera di influenza la Somalia italiana e l’Ogaden.

Più incerto fu l’atteggiamento sovietico dato che, al di fuori del memorandum sui territori in amministrazione fiduciaria presentato il 20 Luglio, non elaborò un piano preciso ed articolato come quello delle altre due delegazioni. Gli anglo- americani erano comunque al corrente delle vaghe aspirazioni sovietiche ad ottenere in amministrazione fiduciaria qualche colonia italiana, ambizioni che erano state manifestate già durante il conflitto e alla Conferenza di San Francisco, come riferito dall’ambasciatore Gromkyo al Segretario di Stato Settinius il 9 Giugno 1945. In seguito, lo stesso Gromkyo, agendo su istruzioni del proprio governo, aveva ritenuto di poter impegnare più concretamente Stettinius attraverso uno scambio di lettere, allo scopo di definire più chiaramente la questione dei territori in amministrazione fiduciaria per l’Unione Sovietica37.

Il governo italiano, alla vigilia della Conferenza di Potsdam, non mancò di sondare i governi alleati, nonostante le difficoltà ad ottenere informazioni attendibili, sui piani relativi alla conclusione di un trattato di pace con l’Italia. De Gasperi inviò delle istruzioni agli ambasciatori di Washington, Londra e Mosca in cui quest’ultimi dovevano presentare ai governi alleati il desiderio italiano di conservare le colonie prefasciste, a causa dei problemi demografici interni, e il massimo della rinuncia da parte italiana riguardava l’intensità della sua sovranità su tali territori. Per i singoli territori, la Libia e l’Eritrea dovevano rimanere sotto l’amministrazione italiana con alcune concessioni ai britannici nel paese nordafricano e all’Etiopia le più ampie facilitazioni per l’accesso al mare tramite il porto di Assab. Inoltre, l’Italia è disposta ad accettare un trusteeship internazionale su tutti i territori somali. In linea generale, tali istruzioni erano improntate ad una certa elasticità poiché, pur indicando una netta

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propensione per la piena sovranità italiana sulle colonie prefasciste, esse non escludevano l’applicazione del regime di amministrazione fiduciaria e mostravano comprensione per le esigenze altrui38.

Con l’inizio della Conferenza di Potsdam, si entrò nel merito della questione e, già nell’incontro preliminare del 17 Luglio con la delegazione americana capitanata dal presidente Truman, Stalin e Molotov chiesero che il problema delle amministrazioni fiduciarie e quello degli ex possedimenti italiani venissero aggiunti all’ordine del giorno dei lavori, provocando le proteste di Churchill e dei britannici.

Il 20 Luglio, Molotov aveva presentato ai Ministri degli Esteri inglese ed americano un promemoria che sottolineava la necessità di adottare nel futuro immediato le misure dirette a risolvere la questione delle amministrazioni fiduciarie in conformità con il protocollo finale di Yalta e la Carta delle Nazioni Unite, autorizzava il Consiglio dei ministri degli Esteri ad esaminare nel dettaglio la questione e a presentare delle proposte concrete riguardo alle condizioni da applicare alle ex colonie italiane in Africa, tenendo presente la possibilità di affidarne l’amministrazione all’Unione Sovietica, alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti congiuntamente.

Dopo molti rinvii, il 22 Luglio, il problema venne nuovamente affrontato durante la sesta seduta plenaria con screzi tra la delegazione sovietica e britannica sul fatto che quest’ultima continuava ad esercitare un regime militare sugli ex possedimenti italiani e su quali territori doveva essere applicata l’amministrazione fiduciaria, dati i problemi dei possedimenti in questione e quelli già sotto mandato della Società delle Nazioni, portando alla reazione britannica secondo cui se ne doveva occupare l’ONU mentre Truman, sull’argomento, non vedeva ostacoli per una discussione preliminare, lasciando Churchill isolato nella sua richiesta di rinvio.

Il giorno successivo, Molotov insisté per definire lo status delle ex colonie italiane, suggerendo un trusteeship congiunto dei tre grandi ma sia Eden che Byrnes erano d’accordo che la questione spettava al Consiglio dei Ministri degli Esteri, che doveva elaborare il trattato di pace, dato che non c’era un accordo di massima tra gli alleati. Stante così la situazione, anche Molotov fu d’accordo per il rinvio della questione all’esame della prossima conferenza, che si sarebbe tenuta a Londra in

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Settembre. Non restava al Ministro sovietico che insistere affinché la questione venisse sollevata nella prima sessione della conferenza nella capitale britannica39.

La Conferenza si concludeva senza che si raggiungesse nessun accordo fra i tre Grandi circa la sistemazione delle colonie italiane, a causa della richiesta sovietica di definire subito il problema e all’atteggiamento intransigente da parte dei britannici, e finì per prevalere la soluzione intermedia proposta dagli statunitensi circa il rinvio della questione all’imminente sessione di Londra del Consiglio dei ministri degli Esteri. Dai lavori di Potsdam emergeva che il problema coloniale italiano era strettamente collegato con la lotta tra le grandi potenze per accrescere ed inquadrare le finalità generali perseguite da ciascuno di questi paesi. A riguardo dei comportamenti delle tre delegazioni alla Conferenza c’è da aggiungere che i britannici mantennero un atteggiamento dilatorio e negativo nei confronti delle aspirazioni italiane, gli statunitensi si ispiravano agli ideali quali la Carta atlantica e il suo tradizionale anticolonialismo, ma non vanno sottovalutate le considerazioni di carattere strategico in relazione alle aspirazioni sovietiche. Infine, quest’ultimi non nascosero il loro interesse ad ottenere l’amministrazione fiduciaria su qualche colonia italiana che, secondo Byrnes, serviva ad ottenere una posizione strategica nel Mediterraneo. Il protocollo conclusivo della Conferenza, diramato il 2 Agosto, nel fissare la procedura per l’elaborazione dei trattati di pace, istituiva infatti questo nuovo organismo, il Consiglio dei ministri degli Esteri, al quale veniva affidato il compito di continuare il lavoro preparatorio necessario alle sistemazioni della pace, precisando che il suo primo compito sarebbe stata la preparazione del trattato con l’Italia, il cui collegamento dei suoi problemi, tra cui quello coloniale, con il nuovo regime di amministrazione fiduciaria e con l’elaborazione del trattato di pace veniva definitivamente sancito a Potsdam40.

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