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Il tentativo di un’intesa tra le quattro grandi potenze (Marzo 1947-

3.2 Il futuro dei possedimenti italiani in Africa (1941-1949)

3.2.6 Il tentativo di un’intesa tra le quattro grandi potenze (Marzo 1947-

A meno di un mese dalla firma del trattato di pace a Parigi, il 10 Febbraio 1947, si registrò il tentativo britannico di proporre alle altre potenze, come previsto dalla procedura dell’allegato XI, di riunire entro la fine del Marzo 1947 a Londra i sostituti affinché, con l’entrata in vigore del trattato con l’Italia, concordassero le istruzioni per la Commissione d’indagine da inviare nei possedimenti italiani in Africa e le modalità per l’audizione dei pareri degli altri governi interessati. Tale iniziativa indicava che il Regno Unito desiderava sollecitare la definizione della questione per propri tornaconti personali, come la fine del regime di occupazione inglese che costava molto alle casse dello stato di sua maestà e l’assicurazione di avere le basi cirenaiche, in relazione alle problematiche con l’Egitto riguardo il Canale di Suez. In ogni caso, si voleva dare il tempo necessario al Consiglio dei ministri degli Esteri per raggiungere un accordo entro i tempi previsti, così da evitare il rinvio del tema coloniale all’ONU. La conferenza, però, dovette essere rinviata per la non partecipazione sovietica prima dell’entrata in vigore del trattato italiano e, l’atteggiamento dilatorio di Mosca, fornì ai tre governi occidentali l’occasione per confrontare le rispettive posizioni anche al di là delle pure questioni procedurali, riunendo a Londra, durante l’estate del 1947, i sostituti con i propri consiglieri per una serie di conversazioni preliminari sull’argomento69.

Durante gli incontri non si registrò nella posizione francese nessuna modifica, dato che il governo di Parigi aveva tutto l’interesse a che l’Italia venisse restaurata

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Ibid., pp. 263-268.

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nella sua giusta posizione negli affari mondiali. Risultò invece che gli inglesi avevano rinunciato definitivamente alla grande Somalia, a causa dell’impossibilità di indurre l’Etiopia a cedere l’Ogaden, orientandosi, in primo luogo, verso un trusteeship britannico per la Somalia italiana, su cui molti funzionari del Foreign Office dissentivano, a causa dei gravosi oneri finanziari, e, successivamente, verso un trusteeship italiano come incoraggiamento verso la nuova Italia democratica e repubblicana. Anche il Colonial Office riteneva meno opinabile un ritorno italiano in Somalia, per la minore opposizione locale, per la difficoltà a trovare soluzioni alternative e perché non era possibile insistere contemporaneamente per questo territorio e la Cirenaica, l’obiettivo prioritario indicato dal governo britannico. Sostanzialmente immutata resta la posizione inglese sull’Eritrea, da spartire tra Sudan ed Etiopia, e sulla Tripolitania, il cui obiettivo primario era l’esclusione dell’Unione Sovietica da qualsiasi ambito di amministrazione fiduciaria70.

Il futuro delle ex colonie italiane, dopo la firma del trattato di pace, veniva ad inserirsi nel quadro del progressivo deterioramento dei rapporti tra le tre potenze occidentali e l’Unione Sovietica, ed era inevitabile che le decisioni di politica estera finissero per essere condizionate dalle preoccupazioni strategiche e militari per contrastare l’espansionismo sovietico. A causa di ciò, la formula del mandato plurimo non era più di primaria importanza per il Dipartimento di Stato, dato che significava l’ingerenza sovietica nell’amministrazione delle ex colonie italiane, portando gli statunitensi a cercare un allineamento con le posizioni britanniche nell’area africana e mediorientale, scaturendo nuove difficoltà nel fissare proposte definitive sulla questione.

Questa situazione portò, nell’Ottobre del 1947, ad una serie di rivisitazioni dei progetti precedenti da parte del Dipartimento di Stato, coadiuvato da alti esponenti militari, affinché la Cirenaica venisse data in amministrazione ai britannici, ma restava aperta la questione tripolina, con l’Eritrea che andava spartita tra Sudan ed Etiopia e veniva presa in considerazione l’eventualità di un trusteeship singolo britannico sulla Somalia. Gli inglesi, invece, ritennero che per escludere i sovietici dalla corsa alla Tripolitania si potesse avanzare la richiesta di un trusteeship statunitense sulla regione libica mentre per la Somalia si consolidava la tesi di un’amministrazione fiduciaria italiana, in relazione ad un generale riavvicinamento diplomatico tra Italia e Regno Unito e allo spostamento della penisola nella sfera

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occidentale. Le due delegazioni, il 16 Ottobre 1947, si incontrarono al Pentagono per discutere di una linea comune, trovandosi d’accordo per un mandato britannico in Cirenaica, così da mantenere basi alleate su quel territorio, mentre per le altre ex colonie si raccomandava un atteggiamento più positivo ed aperto nei confronti degli italiani, data la posizione strategica della penisola all’interno del bacino del Mediterraneo. Al termine dell’incontro le posizioni delle due delegazioni non erano ancora definite e pienamente coincidenti, se non nel reciproco impegno a consultarsi regolarmente e nell’ostacolare l’installazione dell’URSS in una delle ex colonie italiane71.

L’Italia, dopo la firma del trattato di pace, cercò di effettuare pressioni sul Foreign Office, dato che non vi era incompatibilità alcuna tra il ritorno italiano in Africa e gli interessi britannici sul continente, e sul Dipartimento di Stato, al quale Tarchiani riferì che dare soddisfazione alla penisola significava contribuire a mantenere un orientamento filo-occidentale delle sue istituzioni. Questa azione diplomatica fu accompagnata, nei primi mesi del 1947, da una nota inviata dal Ministro degli Esteri Sforza che invocava una revisione del trattato, ribadiva la richiesta di trusteeship sulle colonie prefasciste affinché l’Italia realizzasse un regime democratico in quei territori, con la collaborazione di arabi ed africani. Il Ministro Sforza sembrava ondeggiare tra il desiderio di tenere conto di una nuova realtà che si andava affermando e di cui sembrava consapevole, e la difesa, spesso anacronistica e poco realistica, delle posizioni italiane in Africa. Ci furono contatti con alcuni esponenti libici e della Lega araba, ma al di là di alcuni confronti non si andò per il timore di essere accusati di doppio gioco da inglesi e francesi, ricordando nuovamente che era necessario riprendere le vecchie colonie per un problema demografico nazionale72.

Un memorandum confidenziale indirizzato al Foreign Office, ai primi di Ottobre del 1947, fu l’inizio di una nuova offensiva diplomatica italiana per il ritorno in Africa, in quanto veniva prospettato come interesse europeo, date le esigenze britanniche sugli ex possedimenti coloniali, riprendendo i soliti temi demografici, economici e sentimentali. Questa nuova impostazione nascondeva concezioni anacronistiche e dimostrava che, la nuova strada impostata dal ministro Sforza, non voleva trarre le logiche conseguenze di ciò che stava accadendo nel mondo coloniale.

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Ibid., pp. 283-293.

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La nuova linea italiana non venne accolta favorevolmente dai britannici poiché si chiedeva nuovamente l’amministrazione di tutte le ex colonie e veniva seguita la vecchia impostazione demografica del problema. La nota di Palazzo Chigi precedette il viaggio del ministro Sforza a Londra, alla fine di Ottobre, dove fu sollevato il problema coloniale, con il risultato di una generica promessa inglese con la quale l’amministrazione militare avrebbe abbandonato la linea della durezza e che prima di qualsiasi decisione si doveva aspettare le conclusione della Commissione d’inchiesta73.

Il 3 Ottobre a Londra, con la riunione dei sostituti, prese avvio la procedura prevista dell’Allegato XI del trattato italiano, affrontando l’interpretazione da dare all’espressione “altri governi interessati”, alla stesura delle istruzioni per i membri della Commissione d’inchiesta e le audizioni riservate ai rappresentanti dell’Etiopia, dell’Italia e dell’Egitto. Il 7 Ottobre si adottò la proposta sovietica che intendeva con tale frase le potenze alleate74, ed associate, firmatarie del trattato di pace italiano e, il 20 Ottobre, si decise che i governi interessati venissero ascoltati attraverso semplici audizioni di pareri e, nello stesso giorno, furono approvate le istruzioni per la Commissione d’inchiesta, che doveva raccogliere i dati sulla situazione politico- economica dei territori, sondare i sentimenti delle popolazioni, senza contenere alcuna raccomandazione circa l’assetto finale dei territori, e presentare i rapporti ai sostituti non oltre il Giugno 1948.

Mentre la Commissione avrebbe svolto il suo compito tra il Novembre 1947 e il Giugno 1948, i sostituti avrebbero ascoltato i pareri degli altri governi interessati, ad iniziare dal vice Ministro degli Esteri etiopico, il 12 Novembre, che aveva rinnovato ai sostituti la richiesta di restituzione dell’Eritrea e della Somalia all’Etiopia, passando poi, il 19 Novembre, al rappresentante italiano,il nuovo ambasciatore a Londra Gallarati Scotti, che dedicò gran parte del suo intervento ad elogiare l’amministrazione italiana dei territori che aveva reso vantaggio alle popolazioni locali. Infine, il 21 Novembre, il rappresentante egiziano lesse di fronte ai supplenti un lungo promemoria in cui chiedeva il diritto di autodecisione per la Somalia e confermava la proposta di indipendenza immediata e completa per la

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Ibid., pp. 302-305.

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Ne facevano parte, oltre alle quattro grandi potenze, anche: Australia, Belgio, Bielorussia, Brasile, Canada, Cecoslovacchia, Cina, Etiopia, Grecia, India, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Ucraina, Unione Sudafricana, Jugoslavia, Egitto e Italia.

Libia. Le dichiarazioni furono trasmesse dai sostituti, assieme alla documentazione presentata dai rappresentanti dei governi interessati, alla Commissione d’inchiesta, con la raccomandazione di esaminare se i dati e i fatti in esse citati fossero in contrasto con quelli accertabili sul posto e, il 22 Novembre, deliberavano l’aggiornamento della conferenza75.

L’azione della diplomazia italiana fu frenata dagli accertamenti della Commissione quadripartita all’interno delle ex colonie e dall’accensione delle tensioni latenti all’interno di questi territori, come ad esempio l’eccidio di decine di italiani a Mogadiscio, l’11 Gennaio 1948, durante una manifestazione della Lega dei Giovani Somali. Un altro punto a sfavore arrivò dalla Conferenza dei sostituti quando, il 2 Febbraio, il sostituto britannico Charles, sottopose all’attenzione dei presenti una nota riguardante la località di Bender Ziade, al confine tra la Somalia italiana e il Somaliland britannico, proponendo immediate istruzioni affinché questa località venisse incorporata in quest’ultimo territorio. A questa richiesta aderirono i sostituti americano e francese ma ad essa si oppose il sostituto sovietico, la cui proposta di chiedere al governo italiano un parere scritto sulla questione, prima di incaricare la commissione di esaminarla, fu adottata76.

La delegazione sovietica, inoltre, chiese, il 15 Febbraio 1948, l’amministrazione fiduciaria italiana per le tre colonie prefasciste, cercando di avvantaggiare il fronte delle sinistre nella campagna elettorale in svolgimento in Italia in vista delle elezioni nazionali del 18 Aprile. L’eventuale vittoria comunista e il passaggio italiano sotto l’influenza sovietica allarmarono le potenze occidentali e indussero gli statunitensi a sostenere sempre più attivamente il governo De Gasperi, con aiuti economici e dichiarazioni di vario genere che, però, non toccarono mai né la questione delle ex colonie né l’adesione alle richieste italiane da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna. Con la vittoria della Democrazia Cristiana, cadde ogni timore anglo-americano e, da parte italiana, si cercò di barattare l’entrata della penisola nei sistemi occidentali con il problema coloniale ma, si capì, che ciò non avrebbe fruttato alcun vantaggio77.

La Commissione d’inchiesta, nella seconda metà del Maggio 1948, concluse i suoi lavori, stendendo il rapporto finale sulla Libia. I risultati dovevano considerarsi

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Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 306-313.

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Ibid., pp. 314-320.

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come indicativi dei desideri delle popolazioni, ma non mancarono apprezzamenti critici sull’attendibilità delle deposizioni raccolte. La Commissione, in maniera unanime, constatò che non c’erano le condizioni necessarie per una piena ed immediata indipendenza perché le popolazioni denunciavano una marcata carenza di maturità politica e uno scarsissimo sviluppo economico.

La Commissione, dopo aver esposto i dossier, consentì agli altri governi invitati a presentare le loro osservazioni sulle risultanze dell’inchiesta fra il 30 Luglio e il 7 Agosto 1948, per trarre nuovi spunti e motivi a sostegno delle proprie tesi. Gallarati Scotti, il 30 Luglio, richiese davanti ai sostituti l’amministrazione fiduciaria italiana su Libia, Eritrea e Somalia, richiamando le conclusioni della Commissione, il buon lavoro svolto nelle colonie e le simpatie delle popolazioni locali per gli italiani e che, in caso di trusteeship, l’Italia si sarebbe richiamata agli statuti preliminarmente fissati dalle Nazioni Unite. Il rappresentante etiope, invece, fece registrare una novità: per la prima volta l’Etiopia rinunciava alle sue pretese sulla Somalia e non vi accennava neppure. L’altro paese che avanzava pretese territoriali era l’Egitto, che non mancò di ribadire il suo precedente punto di vista: indipendenza o trusteeship da assegnare ad un paese membro della Lega araba e rettifiche di frontiera a suo favore sulla Libia; cessione di Massaua all’Egitto; autodeterminazione per l’Eritrea e la Somalia.

Gli altri governi espressero i loro punti di vista e ciò non era da trascurare alla vigilia della scadenza del termine previsto dal trattato di pace, nella facile previsione che le quattro potenze non sarebbero arrivate ad una conclusione comune, rinviando la questione all’ONU. Dalle dichiarazioni di tali governi potevano invero dedursi una diffusa propensione per il trusteeship, piuttosto che per l’indipendenza, e una certa comprensione per le rivendicazioni italiane, o almeno per una parte di esse78.

I governi di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti si consultarono per oltre un mese, a partire dal 26 Luglio, sul futuro degli ex possedimenti italiani, ma conseguirono solo in minima parte gli effetti sperati. Se fu confermata l’intesa per il trusteeship italiano in Somalia, nessun accordo si raggiunse sulla Tripolitania e sull’Eritrea e, con la facile previsione che i francesi non avrebbero abbandonato il loro tradizionale punto di vista, dimostravano la difficoltà di conciliare le loro posizioni sulle raccomandazioni dei sostituti.

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Alla vigilia dell’incontro tripartito si era registrato, per la Libia, un parziale allineamento dei francesi sulle posizioni degli anglo-americani, aderendo al trusteeship britannico in Cirenaica se veniva accettato quello francese sul Fezzan. Se su questi due territori c’era un accordo di massima, sulla questione della Tripolitania erano difficili da conciliare le posizioni di Londra e Washington con quella di Parigi, favorevole al mandato fiduciario italiano. Stando così le cose, il Segretario di Stato Marshall propose il rinvio della questione, con il vantaggio di non scoprirsi di fronte al governo italiano e, ritenendo plausibile che l’Assemblea generale avrebbe respinto il trusteeship britannico in Cirenaica, suggerì il rinvio per l’intera Libia. Da parte inglese non si voleva rinunciare al territorio cirenaico e chiese l’appoggio americano per risolvere subito la questione mentre per l’Eritrea non si arrivò a nessun compromesso, anche se c’era una estrema riluttanza a consentire all’Italia di tornare su entrambe le frontiere dell’Etiopia79.

Il rapporto contenente le raccomandazioni per i Ministri degli Esteri, messo a punto dai sostituti alla fine dell’Agosto 1948, si presentava come un elenco di diverse proposte avanzate durante le varie audizioni delle quattro potenze, senza che si giungesse ad un accordo finale. Era arduo pensare che i quattro Ministri degli Esteri potessero concordare una soluzione entro il termine del 15 Settembre, riuscendo a conciliare i progetti fin li proposti. Arenatisi i lavori, con l’Unione Sovietica che cercava di rinviare la questione alle Nazioni Unite per indebolire gli occidentali, i quattro rinunciavano a trattare ulteriormente e decisero di rimettersi all’ONU e, alla scadenza dei termini, il Consiglio approvava la lettera con la quale si comunicava al Segretario delle Nazioni Unite, Trygve Lie, che “la questione della sorte delle ex colonie italiane è deferita all’Assemblea Generale, in conformità all’articolo 23, paragrafo 3 dell’allegato XI del trattato di pace con l’Italia, affinché l’Assemblea possa esaminare la questione nel corso della prossima sessione che si inizia il 21 Settembre”80. Allo stesso tempo venne deciso di trasmettere alle Nazioni Unite i rapporti della Commissione d’inchiesta e le raccomandazioni dei sostituti.

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Ibid., pp. 380-388.

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