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La politica coloniale fascista in Libia, Somalia ed Eritrea

3.1 Il colonialismo italiano: dai primi possedimenti all’Impero fascista (1882-

3.1.3 La politica coloniale fascista in Libia, Somalia ed Eritrea

Il mutamento di regime, avvenuto nell’Ottobre del 1922, significava una frattura con la prudenza dei governi precedenti e l’abbandono di una tradizione politica, attribuendo una nuova importanza all’azione di alcuni uomini, dotati di più potere e stabilità, e meno legati alle consuetudini degli uffici ministeriali, i quali potevano imporre più facilmente le loro vedute. L’ideologia coloniale fascista riscopre vecchi elementi come l’africanismo e l’imperialismo fusi e ripresi con un nuovo stile sistematico ed oltranzista rifacendosi ad argomenti storici, come la missione civilizzatrice di Roma, i problemi demografici, data la numerosa popolazione esistente all’interno della penisola, la giustificazione economica fino all’orgoglio nazionale per dimostrare il successo del regime mussoliniano15.

La dittatura fascista assicurò la continuità di svolgimento delle operazioni militari, i mezzi sufficienti ed una piena copertura politica alla riconquista della Libia, grazie anche alla libertà data a governatori e comandanti di schiacciare con ogni mezzo la resistenza araba e di organizzare la colonia. L’occupazione della Tripolitania settentrionale fu stabilizzata ed estesa nel biennio 1923-25 con una serie di vittorie delle truppe italiane nella fascia compresa tra la costa e il deserto sahariano, ad eccezione delle tribù meridionali che continuavano a dare battaglia contro l’invasore europeo. Per avere la meglio sulle popolazioni indigene, la direzione delle operazioni venne data al gen. Graziani che organizzò in maniera

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Ibid., pp. 130-131.

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diversa le truppe attraverso reparti di autoblinde, colonne motorizzate e gruppi di mercenari libici, il tutto preceduto e coordinato dall’aviazione che scopriva e attaccava i nuclei nemici a grande distanza. Tale superiorità tecnologica e organizzativa fu alla base delle rapide e costose vittorie tra il 1928 e il 1930 in cui furono conquistate la Sirtica, la Ghibla e il Fezzan e i nuclei di resistenza completamente distrutti. Nel 1923, per assoggettare l’intera Cirenaica, il governo fascista aveva ripudiato la politica dei compromessi con la Senussia e tentato di instaurare un dominio italiano sull’altopiano ma gli sforzi bellici non erano serviti contro la resistenza senussa, organizzata da Omar el Muktar sottoforma di guerriglia. L’opposizione dei senussi aveva raggiunto un alto livello di efficienza, basato sul pieno appoggio della popolazione del Gebel e sull’esistenza di un’organizzazione politica unitaria come era la Senussia, facendo arenare la repressione italiana. Nel Marzo del 1930 il comando delle operazioni fu affidato a Graziani, che si era abilmente sbarazzato della resistenza araba in Tripolitania, il quale capì che la forza dei ribelli stava nelle sue basi di massa, dirigendo la repressione sulla popolazione del Gebel attraverso la deportazione in campi di concentramento lungo la costa, la distruzione del loro bestiame e del loro traffico di contrabbando con l’Egitto, stroncando rapidamente la guerriglia. Nelle settimane successive venne completata l’opera di pacificazione all’interno del territorio libico eliminando completamente e definitivamente qualsiasi traccia di ribellione anti-italiana16.

La totale pacificazione libica era la necessaria premessa alla sua possibile colonizzazione, impostata dal governatore Volpi in Tripolitania tra il 1921 e il 1925, grazie alla creazione di grandi imprese agricole a conduzione capitalista che disponessero di terra, ampi finanziamenti, manodopera locale a basso costo e agevolazioni statali. Il reperimento di terreni fertili fu risolto grazie ad un decreto regio del 1922 che dava la proprietà delle terre non recintate e coltivate, tranne le oasi, al demanio statale, confiscando in otto anni quasi 200.000 ettari di terra contenuti nella parte settentrionale della regione tripolina. Questo terreno fu progressivamente assegnato in grandi lotti e a prezzi simbolici a imprenditori che investivano i capitali per lo scavo di pozzi, la creazione di estesi frutteti e in generale a chi lavorava per valorizzare la terra. La politica italiana in Libia era volta quindi a suscitare un’economia artificiale, basata sull’intervento statale e organizzata in modo tale che soltanto un numero limitato di persone potesse fare grosse fortune,

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consolidando in una posizione di privilegio la popolazione italiana rispetto a quella araba. Questa politica venne portata avanti dal governatore Balbo che, dalla creazione dell’Impero nel 1936, promosse una serie di opere pubbliche, un nuovo piano di colonizzazione ed altri gesti che non erano altro che propaganda di regime.

L’evoluzione antisemita del fascismo provocava pesanti misure discriminatorie nei confronti delle minoranze ebraiche e degli arabi, che non potevano più accedere alla cittadinanza italiana piena dal 1939, gettando le basi per un regime di segregazione razziale che durò relativamente poco dato che la Libia venne persa nei primissimi anni della Seconda Guerra Mondiale17.

Durante il regime fascista l’Eritrea venne organizzata attraverso la creazione di funzionari residenti nelle otto regioni che la compongono, facenti capo, dal 1923, ad un governatore generale che sarà sempre un funzionario del Ministero delle Colonie fino al 1935, quando si preparerà l’attacco all’Etiopia e la colonia verrà sottoposta al comando di un alto commissario. Lo sfruttamento della colonia non da i frutti sperati, come accadeva negli anni prefascisti, sia a livello agricolo che demografico poiché, al 1934, contava nel paese appena 4.500 italiani. Le speranze di sfruttamento minerario sono costantemente deluse e la sola industria estrattiva che riesce ad avere uno sviluppo è quella delle saline di Massaua, Assab e Uachiro.

L’Eritrea rimane una colonia politica, un punto di appoggio sul Mar Rosso e il suo solo interesse sta nella funzione commerciale di transito con l’Abissinia. Tale posizione dipende dalle intese con le autorità locali e nazionali etiopi, come ad esempio l’accordo del 1923 con il sultano dell’Aussa che fa aumentare il giro d’affari del porto di Assab da 2 a 27 milioni di lire o il trattato con l’Etiopia del 1928 che concesse a quest’ultima la libertà di commercio nei porti eritrei. Ciò però non comportò un’impennata negli scambi, come ci si augurava, e il relativo aumento dei commerci nel 1934 è solamente dovuto ai preparativi per la guerra d’Etiopia18.

L’ascesa di Mussolini e dello stato fascista segnò l’inizio della effettiva conquista italiana della Somalia, all’epoca limitata alla parte centrale del paese con Mogadiscio, Merca e Brava. Cesare De Vecchi, uno dei più violenti capi delle squadracce fasciste, divenne governatore della colonia somala dal 1923 al 1928, estendendo il dominio italiano nell’interno e nelle regioni settentrionali, grazie ad ampi mezzi, a poteri illimitati e ad una serie di operazioni militari a cui seguirono

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Ibid., pp. 102-105.

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dure repressioni che distrussero l’organizzazione sociale dei somali, affidando il mantenimento dell’ordine ai carabinieri e agli ascari somali. Sotto il suo governatorato, nel biennio 1924-25, la colonia fu ampliata grazie alla cessione dell’Oltregiuba effettuata dalla Gran Bretagna come compensazione per l’intervento italiano al suo fianco nel conflitto mondiale nel 1915. Un altro ampliamento fu effettuato verso l’Etiopia, con lo spostamento graduale di un confine che non era mai stato tracciato sul terreno. Anche la Somalia, come l’Eritrea, non offriva molto a livello economico, data la sua scarsa popolazione, la sua povertà di riserve acquifere e la sua economia di sussistenza e miseria che non lasciavano spazio a nessun sviluppo economico che potesse interessare il regime italiano, se non il corso inferiore dello Uebi Scebeli che si predisponeva per la produzione del cotone e delle banane, resa redditizia per gli italiani dallo sfruttamento schiavistico della manodopera locale accompagnato, come nel caso libico, dal massiccio intervento statale in tutte le fasi lavorative19.

Al 1934 i risultati ottenuti dal regime fascista sul fronte coloniale sono limitati e insoddisfacenti, a cominciare dalle scarse conquiste coloniali, ad eccezione dell’Oltregiuba somalo, per proseguire con la colonizzazione demografica, che si rivela un insuccesso perché le partenze italiane verso le colonie non raggiungono neanche le 70.000 unità, fino alle troppe perdite umane e finanziarie che mettono in difficoltà il non entusiasmante bilancio statale italiano. Queste ultime problematiche possono essere pericolose per la tenuta del regime che, grazie alla propaganda, riesce a creare nuovi miti per l’ideologia coloniale attraverso una sistematica valorizzazione dei territori d’oltremare, un nuovo programma di colonizzazione demografica e la presa di nuove terre per accogliere i contadini italiani, come l’altopiano abissino che, a partire dal 1932, sarà nelle mire del regime che sta cominciando a preparare l’impresa d’Etiopia20.

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