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3.1 Il colonialismo italiano: dai primi possedimenti all’Impero fascista (1882-

3.1.4 La guerra d’Etiopia (1935-1936)

L’avvento del fascismo non segnò una frattura nelle relazioni variabili, ma nel complesso amichevoli con l’Etiopia, tanto che il governo italiano nel 1923 appoggiò la proposta francese di ammettere il paese africano all’interno della Società

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Rochat, Il colonialismo italiano, cit., pp. 135-136.

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delle Nazioni e, nel dicembre 1925, l’Italia e la Gran Bretagna si accordarono per la spartizione in due zone di influenza economica delle regioni centro-settentrionali dell’Abissinia, sollevando le più vivide proteste internazionali. In più, nell’Agosto del 1928, Italia ed Etiopia stipularono un trattato di pace ed amicizia ventennale, che prevedeva lo sviluppo dei traffici e l’apertura di una camionabile tra Assab e Dessié, ossia tra la costa italiana del mar Rosso ed il centro dell’altopiano abissino. I rapporti tra i due paesi, durante gli anni venti, mantennero un andamento normale dato che, essendo impegnato in Libia e Somalia, il governo fascista non era interessato ad aprire un nuovo fronte coloniale proprio dove aveva l’avversario più forte21.

La situazione andò mutando dopo il 1930, quando da diverse parti si levò la richiesta di una politica più aggressiva verso l’Etiopia. La decisione di muovere guerra all’Etiopia maturò nel corso del 1934 per cause più profonde. Innanzitutto, la grande crisi di sovrapproduzione scoppiata negli Stati Uniti nel 1929 aveva provocato anche in Italia fallimenti, disoccupazione, diminuzione di salari e calo delle esportazioni. Il governo fascista, nonostante importanti sovvenzioni pubbliche alle imprese, non riusciva a rilanciare l’economia italiana e la diminuzione del potere d’acquisto creava malcontento nelle masse meno abbienti. In tale situazione un’impresa coloniale in grande stile poteva rappresentare un utile diversivo propagandistico e nel medesimo tempo l’occasione di una ripresa economica, grazie alle inevitabili commesse statali. La situazione europea, con la rapida ripresa della Germania nazista che chiudeva i mercati dei Balcani alle esportazioni italiane e l’accondiscendenza di Francia e Gran Bretagna affinché Mussolini si schierasse con loro nello scacchiere del vecchio continente, portava l’Italia sulla strada della creazione di nuovi mercati e approvvigionamenti di materie prime anche se ciò che contava per il regime era il sicuro successo propagandistico che le vittorie in Africa gli avrebbero procurato. Mussolini impostò l’impresa fornendo come unica motivazione la tempestività del momento internazionale e ciò che si cercava era un grosso rilancio politico, tale da sconvolgere tutta la nazione e da farle accettare tutti i sacrifici connessi, inviando in Somalia ed Eritrea centinaia di migliaia di uomini e immense quantità di materiale bellico. Il pretesto per l’inizio della mobilitazione dell’apparato propagandistico fascista e della preparazione militare fu fornito da un incidente alla frontiera somala tra italiani ed abissini ad Ual-Ual nel Dicembre 1934.

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Questo scontro, gonfiato dalla diplomazia italiana, portò l’Imperatore Hailé Selassié ad appellarsi alla Società delle Nazioni sperando nel sostegno dell’opinione pubblica mondiale e degli stati aderenti contro le ambizioni italiane di conquista. Il 3 Ottobre 1935 le truppe italiane varcarono il confine tra l’Eritrea e l’Etiopia e penetrarono in territorio nemico, senza dichiarazione di guerra né altra motivazione che la missione civilizzatrice dell’Italia e il suo diritto a prendere possesso di territori coloniali. La Società delle Nazioni, con 50 voti favorevoli e 4 contrari, dichiarò l’Italia stato aggressore e chiese ai suoi membri di predisporre una serie di sanzioni economiche che avrebbero dovuto mettere il governo italiano in ginocchio e, di conseguenza, a ritirarsi. La stampa fascista presentò l’episodio come un’offesa intollerabile all’onore e all’indipendenza del paese, muovendo l’opinione pubblica verso il dissenso contro chi potesse minare gli interessi italiani all’estero. Oltre non si andò e l’Etiopia fu lasciata sola a fronteggiare l’aggressione fascista in condizioni più sfavorevoli rispetto al 1896 perché l’esercito abissino aveva lo stesso armamento della battaglia di Adua di quarant’anni prima, non lasciando speranza sull’esito della guerra22.

Il primo comandante italiano, Emilio De Bono, dopo aver occupato senza resistenza Adua, Axum, Adigrat e Macallé, fu sostituito da Mussolini alla metà del Novembre 1935, a causa dello scarso controllo del complesso militare fascista e della lenta avanzata in territorio abissino, con Badoglio che dovette far fronte alla controffensiva etiopica, creatasi nella regione montuosa del Tembien, bloccando gli abissini e sferrando, nel Febbraio 1936, l’attacco verso la regione dell’Endertà travolgendo le armate etiopiche, distruggendo la resistenza nel Tembien e sconfiggendo le ultime armate guidate da Hailé Selassié presso il lago Ascianghi il 31 Marzo. La strada verso Addis Abeba era aperta e Badoglio, alla testa di una colonna motorizzata, vi entrò il 5 Maggio 1936. Contemporaneamente, un pieno successo italiano si delineava anche sul fronte meridionale, grazie al gen. Graziani che era stato incaricato di organizzare la difesa della Somalia ma, successivamente, prese ordini da Mussolini per l’attacco alla frontiera etiopica, dal Gennaio 1936, per assaltare e conquistare la parte sud del paese tanto che Graziani e Badoglio si incrociarono sulla linea ferroviaria Addis Abeba-Harrar. Mussolini proclamò

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unilateralmente la fine della guerra il 5 Maggio e la costituzione dell’impero italiano d’Etiopia quattro giorni più tardi, attribuendo la corona a Vittorio Emanuele III23.

“La guerra fu vinta non tanto sui campi di battaglia, ma a Roma, dove si delineò la decisione di trasformarla da guerra coloniale in guerra nazionale, e nelle retrovie italiane, che resero possibile il concentramento ed il rifornimento di forze ingentissime in regioni povere di strade e di mezzi di sussistenza. I generali italiani seppero approfittare dell’enorme superiorità di cui disponevano assicurando a Mussolini la clamorosa vittoria di cui aveva bisogno. In questo quadro, con un giudizio politico e non moralistico, va visto anche il ricorso ai gas asfissianti, che del comportamento italiano rappresenta un aspetto indicativo”24.

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