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Le istituzioni italiane di fronte al conflitto franco-algerino

Dallo scoppio della ribellione algerina nella notte di Ognissanti, fino all’estate del 1955, il governo italiano dette scarsa importanza a ciò che accadeva sulla sponda sud del Mediterraneo, e le poche volte che se ne occupò fu sempre in considerazione dei rapporti bilaterali con la Francia, cruciali per il ruolo italiano all’interno del Patto Atlantico e nei vari progetti europei. Portatore di queste istanze fu il governo presieduto da Mario Scelba57, in carica dal Febbraio 1954, con il Ministro degli Esteri Martino58 che portava avanti una politica estera molto prudente per non intaccare i rapporti con l’oltralpe e con il resto del blocco occidentale, grazie alla quale riuscì ad arrivare all’accordo per il territorio di Trieste e all’ingresso della penisola nelle Nazioni Unite. Inoltre, un fattore che limitava l’intervento esterno nel conflitto franco-algerino fu che l’Algeria era formalmente territorio metropolitano francese e quindi veniva considerata un problema interno dello stato transalpino. Una

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Ibid., p. 121.

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Mario Scelba (1901-1991), politico della Democrazia Cristiana, fu Presidente del Consiglio dei ministri italiano dal 10 febbraio 1954 al 6 Luglio 1955, Presidente del Parlamento Europeo dal 1969 al 1971 e parlamentare italiano dal 1946 al 1983.

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Gaetano Martino (1900-1967), esponente del Partito Liberale Italiano, fu eletto deputato nelle fila del Partito Liberale Italiano e divenne vice presidente della Camera nel 1948. Rieletto deputato nel 1953 nel Collegio unico nazionale, tornò a fare il vice presidente dell'assemblea fino a quando divenne Ministro della Pubblica istruzione durante il Governo Scelba nel Settembre 1954. In seguito ad un rimpasto dell’esecutivo gli venne affidato il Ministero degli Affari Esteri, carica che mantenne anche nel Governo Segni I fino al 1957.

maggior attenzione al problema nordafricano fu data dal successivo governo Segni I, entrato in carica dal Luglio 1955, che subì il mutato scenario internazionale a causa della Conferenza di Bandung e la Conferenza di Ginevra, un direttorio a quattro tra i presidenti di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica per discutere di sicurezza europea, riunificazione tedesca, di disarmo e di scambio culturale. In questi due frangenti si capì che la linea di attrito del sistema globale si era spostata nel bacino del Mediterraneo attraverso lo scontro Est-Ovest e Nord-Sud, che si protrarrà fino al processo di decolonizzazione. Anche all’interno delle istituzioni italiane ci furono dei cambiamenti con l’elezione al Quirinale di Giovanni Gronchi59, fautore dell’apertura ai socialisti dell’area di governo e di un nuovo modo di elaborare i rapporti internazionali in ambito atlantico, europeo e mediterraneo60.

L’Italia, quando la questione algerina venne portata dai paesi afroasiatici per essere discussa durante l’Assemblea plenaria delle Nazioni Unite, non faceva ancora parte dell’ONU ma cercava di informarsi sulla posizione degli alleati occidentali in merito al caso nordafricano, in particolar modo l’orientamento e l’opinione statunitense, su cui le diplomazie di Bandung tentavano di fare pressione affinché prendesse una posizione contraria al perdurante colonialismo europeo. Un voto favorevole in prima commissione iscrisse il problema algerino all’ordine del giorno della X Assemblea Generale dell’ONU tenuta nel Dicembre 1955, con la Francia che abbandonò i lavori congressuali per protesta contro tale decisione, una situazione che rientrerà solamente dopo le elezioni legislative del Gennaio 1956, con l’aspettativa di avere un governo più solido in materia internazionale. La situazione francese venne percepita negativamente dall’Italia, preoccupata dalla crisi drammatica che stava attraversando l’Oltralpe in materia nordafricana e istituzionale. Il governo di Roma, con la fine del problema triestino e l’ammissione all’ONU aveva portato a termine i due problemi principali di politica estera e con il suo atteggiamento sulla questione

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Giovanni Gronchi (1887-1978), esponente di spicco della corrente di sinistra della Democrazia Cristiana, fu Ministro dell’Industria e del Commercio già nei primi governi successivi all’8 Settembre 1943 e divenne nella prima e seconda legislatura Presidente della Camera dei Deputati. Venne eletto Presidente della Repubblica il 29 Aprile 1955 al quarto scrutinio grazie alla confluenza dei voti delle sinistre sul suo nome. Per una più esaustiva biografia si veda Gianfranco Merli, Emo Sparisci, Giovanni Gronchi: una democrazia più vera, Studium editore, Roma 1993.

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algerina misurava la capacità e la volontà politica di modificare, aggiustare, rimodellare i parametri del suo modo di partecipare alla comunità internazionale61.

Nel 1956 il pensiero degli ambienti politici e diplomatici italiani era di crescente preoccupazione per la situazione algerina, con la Francia incapace di riprendere il controllo del territorio e pesantemente condizionata dalla resistenza dei coloni francesi. Un problema non di poco conto per Pietro Quaroni62, ambasciatore a Parigi, dato che questo problema si rifletteva sulle scelte francesi a livello internazionale e ciò che si prefiggeva era una linea cautelativa delle istituzioni italiane, per non favorire eventuali cambiamenti di politica estera dello stato transalpino. Il governo Segni I continuò su questa strada, sostenendo la Francia nelle sedi internazionali, come la Nato, per scongiurarne l’allontanamento dalle posizioni occidentali, con possibili alleanze con l’URSS, ed europee. Questo aiuto poteva servire a favorire l’ingresso dell’Italia all’interno dei piani occidentali sul Medio Oriente, attraverso un accordo di politica comune italo-francese all’interno della Nato e dell’ONU e rinviando nuovamente la stabilizzazione dei rapporti diplomatici con il Marocco e la Tunisia, divenuti indipendenti nel Marzo del 195663.

L’Italia si sarebbe dovuta esprimere sulla questione nordafricana all’ONU alla XI Assemblea Generale, convocata per la fine dell’anno 1956, con molte difficoltà di tenuta della propria linea diplomatica, dato che non si voleva far torto alla Francia ma nemmeno pregiudicare i futuri rapporti diplomatici con i paesi arabi. Ulteriori problemi alla diplomazia italiana vennero posti dalla questione altoatesina64 e dall’intervento anglo-francese in seguito alla nazionalizzazione del Canale di Suez da parte del presidente egiziano Nasser. Ci si aspettava, in Italia, sviluppi positivi sul fronte algerino per favorire la propria posizione all’interno delle Nazioni Unite, presto smentiti dal sequestro del DC-3 marocchino con a bordo i personaggi più importanti della ribellione algerina. Per non incorrere in eventuali rischi all’ONU, il

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Ibid., 77-96.

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Pietro Quaroni (1898-1971), fu un diplomatico italiano, ambasciatore in Unione Sovietica tra il 1944 e il 1946, quando viene trasferito a Parigi, dove intesserà relazioni di primo piano con le varie personalità politiche francesi. Rimarrà nella capitale di Francia sino al 13 Giugno 1958, quando verrà trasferito a Bonn, Fu anche presidente della Rai tra il Maggio 1964 e l’Aprile 1969.

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Bagnato, L’Italia e la guerra d’Algeria, cit., pp. 97-98.

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Il problema dell’Alto Adige venne fuori in seguito alla denuncia da parte austriaca di non rispettare gli accordi stipulati dai due paesi nel 1946, in base ai quali gli altoatesini dovevano avere una certa autonomia nell’ambito statutario italiano.

Ministro degli Esteri Pineau tenne colloqui con il segretario della Democrazia Cristiana (DC) Amintore Fanfani65 e il Ministro Martino in cui si convenne allo slittamento della discussione alle Nazioni Unite per far si che la Francia riuscisse a regolare la faccenda per conto proprio. La diplomazia italiana si tenne vicina a Parigi ma non voleva avere le mani legate sulle modalità di voto, scegliendo tra l’astensione o il voto favorevole per mettersi al riparo dalla vicenda altoatesina, con il capo delegazione Attilio Piccioni che verificava la possibilità di fronteggiare le proposte radicali delle delegazioni afroasiatiche.

La rappresentanza italiana presentò in Commissione Politica, insieme ai paesi latino-americani, un progetto di risoluzione dai toni molto moderati che venne fuso con una proposta di Giappone, Thailandia e Filippine. Il testo venne approvato il 13 Febbraio, diventando parte di una risoluzione congiunta con i paesi afroasiatici che venne presentata all’Assemblea due giorni più tardi e votata all’unanimità. La risoluzione si limitava ad esprimere l’auspicio che fosse individuata, per la questione algerina, una soluzione pacifica, democratica e giusta conforme allo Statuto dell’ONU66. Nuovi incontri bilaterali italo-francesi avvennero nel mese di Maggio del 1957 tra il Presidente della Repubblica Gronchi, il suo omologo francese Coty e il Ministro degli Esteri Pineau in cui l’Italia si propose come possibile collegamento tra Parigi e i ribelli algerini ma i francesi volevano un aiuto italiano solamente nel caso di far comprendere ai cittadini nordafricani la buona fede del governo d’oltralpe. Il tentativo italiano fu particolarmente apprezzato dalla diplomazia francese poiché pervenuto da un governo amico che era sempre rimasto al loro fianco durante le assise internazionali67.

Negli ultimi giorni di Maggio del 1957 ci furono dei cambiamenti significativi negli apparati di governo italiano e francese, con Zoli che sostituiva

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Amintore Fanfani (1908-1999), fu un politico e uno storico dell’economia. È stato tre volte presidente del Senato, cinque volte presidente del Consiglio dei ministri fra il 1954 e il 1987 quando, all'età di 79 anni e 6 mesi, divenne il più anziano primo Ministro della Repubblica Italiana, due volte segretario della Democrazia Cristiana e anche presidente del partito, Ministro degli Esteri, dell'Interno e del Bilancio. Dal 1972 fu senatore a vita. Per una biografia più ampia si veda Vincenzo La Russa, Amintore Fanfani, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012.

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Bagnato, L’Italia e la guerra d’Algeria, cit., pp. 169-185.

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Segni68 alla Presidenza del Consiglio, un governo di passaggio fino alle elezioni da tenersi nel Maggio 1958, e Bourgès-Maunory che prendeva il posto di Mollet in Francia, il cui unico scopo era la risoluzione del problema algerino nel più breve tempo possibile. Una novità molto importante all’interno dell’esecutivo italiano riguarda Giuseppe Pella69, quale nuovo Ministro degli Esteri, che proponeva una versione dinamica dei dettami dell’Alleanza euro-americana. Un nuovo approccio ai temi internazionali che venne portato avanti dal segretario della Democrazia Cristiana Amintore Fanfani, dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, dal Sindaco di Firenze Giorgio La Pira70 e dal Presidente dell’Eni Enrico Mattei71 che si adoperarono, non sempre in sincronia, nel tentativo di rendere possibile e politicamente ben visibile un primato italiano fondato e sviluppato sulla base di un diverso approccio ai temi mediterranei.

Per portare avanti questa linea politica servivano strumenti e quantità di risorse adeguate e un Presidente del Consiglio stabile che potesse entrare in sintonia con le idee del Presidente della Repubblica Gronchi, parlando con un’unica voce

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Antonio Segni (1891-1972), fu un politico italiano, quarto presidente della Repubblica. È stato il quinto e l'ottavo Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. Dopo aver ricoperto diversi incarichi governativi nei governi Bonomi III, Parri, De Gasperi I, De Gasperi VII e Pella, Segni fu per due volte Presidente del Consiglio dei ministri, dal 6 luglio 1955 al 15 maggio 1957 e dal 15 febbraio 1959 al 23 marzo 1960.

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Giuseppe Pella (1902-1981), fu il secondo Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. È stato deputato all'Assemblea Costituente dal 1946 al 1948, deputato dal 1948 al 1968 e senatore dal 1968 al 1976. Inoltre fu Presidente del Consiglio dei ministri nel periodo dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954 e più volte Ministro.

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Giorgio La Pira (1904-1977), fu un politico democristiano, venne eletto all’Assemblea costituente, dove entra nella “commissione dei 75” lavorando alla scrittura dei principi fondamentali della Costituzione italiana, in particolar modo alla scrittura dell’art. 2. Eletto nuovamente alle elezioni del 1948, divenne sottosegretario al Ministero del lavoro e della previdenza sociale nel Governo De Gasperi V, fino al 1951 quando fu eletto sindaco di Firenze, carica che ricoprirà in due momenti distinti: 1951-1957, 1961-1964.

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Enrico Mattei (1906-1962), fu un imprenditore di successo nel settore energetico di stato italiano. Fondò l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) nel 1953 con cui, negli anni successivi, negoziò importanti concessioni petrolifere nel Medio Oriente e in Africa, stringendo importanti legami con gli ambienti politici locali. Pur non essendo attivamente impegnato in politica, fu parlamentare per la Democrazia Cristiana nella I legislatura (1948-1953). Per una più approfondita analisi della sua persona si rimanda a Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, Bologna 2012.

anticoloniale sui temi mediterranei72. Anche Pella era fautore della dottrina neoatlantica ma, trovandosi di fronte alle difficoltà del nuovo esecutivo Bourgès- Maunory in materia algerina, non modificò la posizione italiana di vicinanza al partner europeo poiché si sarebbe pronunciata nel merito alle Nazioni Unite. Durante l’Estate del 1957 il Marocco, che aveva legami stretti con il presidente dell’Eni Mattei così come molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, propose un progetto di Comunità Mediterranea, che avrebbe potuto prendere in considerazione la questione algerina, a cui le autorità italiane rimasero perplesse perché un piano simile non poteva funzionare senza l’inserimento della Francia ed interferiva nei piani di quest’ultimo anche in virtù della legge quadro che era in discussione all’Assemblea Nazionale, considerata dalla diplomazia italiana un contentino per avere un voto favorevole all’ONU e rinviare nuovamente la questione a livello internazionale 73.

A poche settimane dal dibattito alle Nazioni Unite sull’Algeria, si dovette affrontare un tema spinoso come la richiesta di armi da parte della Tunisia che avrebbe messo in luce la strategia occidentale intorno al problema algerino. L’Italia avrebbe tenuto in considerazione l’interpretazione degli impegni atlantici nella direzione indicata dagli Stati Uniti, omogenea alla linea neoatlantica che sembrava già sulla strada dell’abbandono, in particolar modo al Ministero degli Esteri. La questione tunisina aprì un dibattito molto combattuto nella penisola ed ebbe il pregio di far interessare l’opinione pubblica sul caso algerino, un tema in precedenza ristretto ad una cerchia ristretta di addetti ai lavori. Agli orientamenti dell’opinione pubblica non poteva rimanere sorda la DC, a causa delle imminenti elezioni legislative, con il segretario Fanfani che fece presente all’ambasciatore Palewski come gli argomenti con cui comunisti e socialisti portavano avanti la loro critica alla guerra francese avevano facile presa su un vasto settore dell’opinione pubblica74.

Il dibattito alle Nazioni Unite, previsto nel mese di Dicembre 1957, era il banco di prova per l’Italia, il suo neoatlantismo e per il nuovo governo francese presieduto da Gaillard, entrato in carica all’inizio di Novembre subentrando a Bourgès-Maunory, che aveva posto tutta la sua azione di governo sul problema algerino attraverso la messa in discussione della legge quadro da presentare alle varie commissioni dell’Assemblea Generale. Fu il Ministro degli Esteri Pineau, il 1

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Bagnato, L’Italia e la guerra d’Algeria, cit., pp. 201-221.

73

Ibid., pp. 221-240.

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Dicembre 1957, ad esporre la legge quadro alla commissione politica aggiungendo la necessità che i ribelli accettassero il cessate il fuoco, condizione preliminare affinché iniziasse qualsiasi discussione tra le parti. Discorso che fu appoggiato dal rappresentate spagnolo e da quello italiano, nella persona di Attilio Piccioni. Dopo la discussione generale furono presentate due risoluzioni: la prima, preparata dai 18 membri del gruppo afro-asiatico, stabiliva che il principio di autodeterminazione dovesse essere applicato al popolo algerino; la seconda, presentata da sette paesi, tra cui l’Italia, si limitava ad esprimere una speranza di cooperazione per arrivare ad una soluzione pacifica, democratica e giusta mediante mezzi appropriati conformi alla carta delle Nazioni Unite. Quest’ultima fu la risoluzione votata in Commissione, con il voto favorevole degli Stati Uniti, che dava ancora del tempo ai francesi affinché riuscissero a venir fuori da questa situazione di impasse. Il 10 Dicembre, l’Assemblea Generale adottò all’unanimità la risoluzione uscita dalla Commissione, in cui si ricordava i buoni uffici avanzati da parte di Marocco e Tunisia e l’arrivo ad una soluzione mediata, nel rispetto dei principi dell’ONU. Anche in questo caso la delegazione italiana si era energicamente impegnata per favorire la Francia che, di fronte all’offensiva anticolonialista in Prima Commissione, venne salvata da una risoluzione molto blanda che evitava la condanna contenuta nella risoluzione afroasiatica. Per Parigi era la conferma della solidità dei suoi rapporti con Roma e l’atteso chiarimento della posizione italiana circa la guerra franco-algerina75.

La situazione nordafricana continuò a peggiorare a causa del bombardamento francese al villaggio di Sakiet avvenuto l’8 Febbraio 1958, al confine tra Algeria e Tunisia, che confermò l’instabilità delle istituzioni democratiche d’oltralpe e dei vari progetti in cui il paese transalpino era integrato. La diplomazia italiana si attivò immediatamente, tentando un’azione distensiva tra la Francia e la Tunisia, un gesto invisibile per il diritto internazionale e volutamente sottotono poiché nessuna delle due parti aveva richiesto interventi esterni per dirimere la questione. Il Ministero degli Esteri italiano si mise in azione per ricevere notizie dagli Stati Uniti, circa la preoccupazione di un intervento del Consiglio di Sicurezza demandato dalla Tunisia dove non c’era altra scelta che allinearsi con l’URSS ed abbandonare l’alleato atlantico. Inoltre, arrivavano dal Marocco molte preoccupazioni, visti i continui incidenti di confine con l’Algeria, minori rispetto a quelli franco-tunisini.

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Si attivò anche l’ambasciatore a Parigi Quaroni, che grazie ai suoi buoni uffici presso il Consiglio dei Ministri francese, venne a sapere che l’azione era stata imbastita dal gen. Salan e dal Ministro della Difesa Jacques Chaban-Delmas, senza consultare nessun altro rappresentante governativo. Tale rivelazione portò nuovamente a pensare che le autorità militari avevano molta più forza di quelle civili e che i rapporti tra Tunisia e Francia non sarebbero migliorati se non si fosse arrivati in tempi brevi alla fine del conflitto algerino. Gli sforzi in quella direzione, perfettamente consoni a una delle idee forti della politica estera italiana, furono superati e resi vani dall’inserimento nel contenzioso franco-tunisino della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, con un’offerta di buoni uffici che fu prontamente accolta dalle parti già il 17 Febbraio 1958.

L’esclusione dalla procedura dei buoni uffici è politicamente comprensibile, dato l’atteggiamento che Roma aveva assunto pochi mesi prima nella vicenda della fornitura di armi occidentali alla Tunisia, ponendo l’Italia ai margini di un processo che avrebbe stabilito nuove rotte per la politica francese in Algeria. Al governo italiano non restò che accettare di dirsi disponibile a esercitare una funzione di raccordo tra Parigi e Washington, in prospettiva più importante per provare a collegare le premesse politiche francesi e statunitensi in tema nordafricano e per evitare in futuro ulteriori crepe nella rete atlantica76.

Subito dopo l’accettazione dei buoni uffici anglo-statunitensi, il Primo Ministro Gaillard, durante un’audizione all’Assemblea Nazionale, si disse pronto alla creazione di una comunità dei Paesi del Mediterraneo occidentale, un’idea simile a quella sostenuta dal diplomatico britannico Murphy, che aveva pensato ad un Commonwealth mediterraneo dove discutere del problema algerino insieme ai paesi del Nord Africa, e al precedente progetto del Re del Marocco per un Patto Mediterraneo. Un progetto giudicato positivo dagli ambienti italiani anche se si mantenevano delle riserve sulla totalità del programma, mettendosi sullo stesso piano di Tunisia, Marocco, Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna. Per Quaroni il progetto di Gaillard era un espediente per riavvicinarsi ai due ex protettorati nordafricani e che, per la diplomazia italiana, poteva essere portato a compimento con la positiva conclusione della procedura dei buoni uffici e la capacità delle istituzioni di tenere in mano la situazione interna, cosa che non era affatto scontata. Sotto la pressione statunitense, il 13 Aprile, il governo Gaillard accettò le proposte contenute nel

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memorandum della commissione dei buoni uffici del 15 Marzo e decise di sottoporlo al voto dell’Assemblea Nazionale. Nella notte tra il 14 e il 15 Aprile Palazzo Borbone le esaminò e, al termine di quasi dodici ore di dibattito, le respinse, ritirando la fiducia al governo77.

La caduta del governo Gaillard dette avvio alla fase più alta, conclusiva e concitata di un processo che, con gli eventi di Algeri e le fibrillazioni che questi produssero nel sistema francese, riportò De Gaulle al potere. L’evoluzione precipitosa degli eventi francesi suscitò nella diplomazia italiana, nell’opinione pubblica e nella classe politica della penisola non pochi interrogativi e

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