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La decisione finale delle Nazioni Unite sulle ex colonie italiane

3.2 Il futuro dei possedimenti italiani in Africa (1941-1949)

3.2.8 La decisione finale delle Nazioni Unite sulle ex colonie italiane

L’esito negativo della votazione all’Assemblea generale indicò la necessità di ricercare formule più gradite ad arabi ed asiatici, affinché si potesse raccogliere una maggioranza meno precaria rispetto al compromesso Bevin-Sforza. Nonostante ciò, per il Ministro degli Esteri italiano andava ricreata una forma di collaborazione con gli inglesi per salvare il salvabile delle colonie prefasciste, cercando nuovamente un accordo sulla falsariga di quello precedente. Gli inglesi, però, non avevano nessun interesse a riesumare in una forma o nell’altra il compromesso, preferendo rimanere liberi di agire per propri interessi, riconoscendo ufficialmente il diritto del popolo cirenaico all’autogoverno, così da poter installare le desiderate postazioni militari. Bevin sottopose al suo collega americano un progetto di dichiarazione sull’autogoverno della Cirenaica ma il Dipartimento di Stato avrebbe dichiarato che il provvedimento preso dalla Gran Bretagna non pregiudica in alcun modo il diritto delle Nazioni Unite di decidere in merito sulla questione92.

La notizia della dichiarazione britannica sulla Cirenaica non prese alla sprovvista il governo di Roma, dato che Palazzo Chigi aveva diramato un comunicato in cui l’Italia dava il suo appoggio al desiderio di autogoverno e di indipendenza nei riguardi dell’Eritrea e della Tripolitania. L’atteggiamento italiano era già stato modificato dal Ministero degli Esteri prima della comunicazione inglese poiché si considerava l’accordo Bevin-Sforza come l’ultima trincea a difesa delle posizioni italiane, ed era ormai impensabile riproporlo negli stessi termini all’Assemblea generale di Settembre e, perciò, gli andava data una veste nuova. È anche vero che l’Italia avrebbe potuto bloccare nuovamente, come già accaduto in precedenza, qualsiasi proposta che non fosse stata di suo gradimento, ma una simile posizione non conveniva più al governo di Roma, per ragioni interne ed internazionali.

La nuova strategia italiana aveva il pregio di portare l’Italia alla testa del movimento anticolonialista, avrebbe salvaguardato assai meglio i suoi interessi politici ed economici in quei territori e la presenza di consistenze comunità di italiani in Tripolitania ed Eritrea avrebbe assicurato una posizione di primo piano e una favorevole politica commerciale. Inoltre, la nuova tattica conteneva l’obiettivo di una politica collaborativa con i paesi arabi, incoraggiando quest’ultimi in un

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atteggiamento più favorevole al trusteeship italiano in Somalia. Infine, avrebbero consentito al governo italiano di chiudere al più presto la partita coloniale e di liquidare definitivamente una pendenza della guerra che non aveva certo giovato ai rapporti con il Regno Unito e con gli altri paesi europei93.

Un nuovo tentativo con gli inglesi fu tentato il 6 Giugno, quando Palazzo Chigi indirizzò all’ambasciata britannica a Roma una nota che illustrava, nuovamente, il punto di vista italiano sulla Libia e la creazione di due stati distinti che avrebbero concordato la forma della loro associazione con l’Italia e la Gran Bretagna. Il Foreign Office replicò di essere disposto a discutere la questione, invitando Palazzo Chigi a precisare in via preliminare l’autorità che avrebbe dovuto sovraintendere all’insediamento del governo tripolino con il quale l’Italia sarebbe entrata poi in relazioni, le misure da adottare nel periodo transitorio fino all’autogoverno e i punti principali del trattato che avrebbe regolato l’associazione con l’Italia. Il 24 Giugno, Sforza chiariva che: il governo tripolino sarebbe stato designato da un’Assemblea costituente eletta dal popolo, le cui modalità sarebbero state fissate da una speciale commissione; il trattato italo-tripolino si sarebbe stipulato in base a liberi negoziati e riguardava la collaborazione politica ed economica, il reciproco trattamento doganale, l’assistenza tecnica nei vari rami dell’amministrazione, la difesa del territorio, il regolamento dei rapporti finanziari tra i due stati e il contributo del lavoro italiano allo sviluppo del paese. Infine, sull’unità libica, nonostante il favore degli stati arabi a tale soluzione, non c’era un accordo tra le parti perché: per gli italiani avrebbe comportato delle difficoltà nei rapporti con la sola Tripolitania mentre gli inglesi preferivano un Emirato sulla Cirenaica per controllare più facilmente quel territorio94.

Le posizioni di Roma e Londra sull’Eritrea, invece, erano ritornate inconciliabili, a causa dell’impossibilità per Bevin di recedere dal progetto di annessione della quasi totalità del territorio eritreo all’Etiopia. A tale soluzione si oppose Palazzo Chigi, riaffermando il principio dell’integrità dell’Eritrea e proponendo, come soluzione ottimale, l’avviamento del paese all’indipendenza con l’intesa che, non appena le Nazioni Unite avessero approvato questo principio, Italia, Gran Bretagna ed Etiopia avrebbero elaborato un progetto inteso a darvi attuazione da sottoporre ad una successiva sessione dell’Assemblea generale. Sforza non mancò

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Ibid., pp. 488-494.

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di manifestare agli americani il sospetto che l’obiettivo fondamentale degli inglesi era di escludere completamente l’Italia dalla partecipazione allo sviluppo del Nord Africa e, parallelamente, la diplomazia italiana aveva proposto l’avvio di conversazioni quadripartite allo scopo di concordare un piano di soluzione comune per l’imminente sessione dell’ONU, cosa che non andò giù agli statunitensi che si mostrarono da subito riluttanti e di non essere in grado di ricevere tale programma95.

Il 14 Luglio, i britannici comunicarono agli americani il loro vero progetto sulla Libia, che partiva dal presupposto di concedere all’interno paese l’indipendenza, riguadagnando un po’ del prestigio perduto nel mondo arabo. La Gran Bretagna si sarebbe posta come unica esecutrice delle raccomandazioni delle Nazioni Unite, sostenendo che stavano già amministrando di fatto il paese e che il futuro stato dovesse avere una struttura federale, con un ampio grado di autonomia per la Tripolitania e che il trattato anglo-libico sarebbe stato negoziato nel periodo transitorio, prima della proclamazione dell’indipendenza. Washington era favorevole al piano britannico, divergendo solamente sul tipo di unità della Libia, che volevano unica e non a vocazione federale per proteggere gli interessi militari americani della zona96.

Gli interessi militari americani portarono quest’ultimi a sostenere l’annessione dell’Eritrea all’Etiopia, così da poter concludere con quest’ultima un accordo per l’uso degli impianti militati di Asmara e Massaua, e a fissare la data d’indipendenza libica al 1 Gennaio 1952, o al massimo alla stessa data del 1953, in modo da assicurare la protezione degli interessi statunitensi nell’area e per concludere accordi circa l’uso permanente della base di Wheelus Field. Gli Stati Uniti, fermo restando che sarebbe toccato alle amministrazioni britanniche e francesi preparare l’indipendenza libica, avrebbero poi caldeggiato la creazione di un Consiglio consultivo composto da Gran Bretagna, Francia, Italia, Egitto e Stati Uniti97.

Nello stesso mese di Luglio, erano iniziate le conversazioni separate tra la delegazione italiana e britannica a Londra, per concordare una linea politica unica da portare alla prossima Assemblea generale, riguardante il riconoscimento della Tripolitania e della Cirenaica come aree di influenza italiana e britannica, chiedendo 95 Ibid., pp. 498-501. 96 Ibid., pp. 502-504. 97 Ivi.

che entro sei mesi dalla risoluzione dell’ONU sarebbero state indette libere elezioni in Tripolitania per formare l’Assemblea costituente e che dopo un anno il paese avrebbe raggiunto l’indipendenza. L’Italia chiedeva che questo iter costituzionale fosse condizionato alla conclusione di un trattato di cooperazione italo-tripolitano e, nella stessa ottica della divisione della Libia in aree di influenza, raccomandava che l’unità libica venisse congegnata in modo da assicurare ai singoli territori un’autonomia tale da garantire una speciale posizione all’Italia in Tripolitania, alla Gran Bretagna in Cirenaica e alla Francia nel Fezzan. Gli inglesi concordarono pienamente con gli italiani sul principio dell’indipendenza libica ma si mostrarono contrari all’idea di una Commissione internazionale che avrebbe dovuto vigilare sull’attuazione del piano e giudicarono troppo breve il periodo transitorio proposto.

Nettamente respinta fu la proposta italiana di indipendenza per l’Eritrea. Il Foreign Office spiegò che la spartizione di quel territorio serviva a tutelare gli interessi britannici nella regione, dato che avrebbe contagiato il vicino Sudan. Un promemoria consegnato ad Alessandrini dallo stesso Bevin alla fine di Agosto, riassumeva il pensiero britannico in quattro punti:

a) Il governo britannico avrebbe proposto l’indipendenza per la Tripolitania e la Cirenaica non appena possibile e senza alcun periodo intermedio di trusteeship; b) la questione dell’unità libica avrebbe dovuto essere decisa dagli stessi abitanti dopo l’indipendenza e nel frattempo le autorità amministratrici non avrebbero fatto nulla che potesse pregiudicarla;

c) il governo inglese riconosceva inoltre la speciale posizione della comunità italiana in Tripolitania e gli stretti legami economici di quel territorio con l’Italia;

d) il governo inglese restava infine favorevole all’incorporazione dell’Eritrea all’Etiopia, salvo la provincia occidentale da cedere al Sudan mentre era nettamente contrario all’idea di un’Eritrea indipendente sia per la debolezza economica, sia per l’eterogeneità linguistica e razziale del territorio;

In altre parole, se era disposta a riconoscere gli interessi economici italiani, la Gran Bretagna era viceversa decisa ad escludere un ruolo attivo dell’Italia nella fase di preparazione all’indipendenza. Gli inglesi intendevano riservare unicamente a sé questo ruolo in Tripolitania, come in Cirenaica, con o senza Consiglio consultivo perché temevano una nuova reazione araba e perché, in una prospettiva di lungo periodo, preferivano che in quel paese si affermasse stabilmente un’influenza britannica o americana, piuttosto che italiana. Gli inglesi non riconoscevano più quel

parallelismo tra la posizione inglese in Cirenaica e italiana in Tripolitania, che aveva rappresentato per gli italiani la vera sostanza del compromesso di Maggio. Al di là di queste divergenze, l’allineamento di Roma, Londra e Washington sul principio dell’indipendenza risolveva virtualmente la questione libica. Determinante era il punto di vista italiano: soprattutto perché ad esso avrebbero aderito numerosi paesi e, nel corso dell’estate, gli italiani si adoperarono per ottenere dai governi latino- americani la conferma del loro appoggio alla nuova tesi indipendentista per la Libia, come per l’Eritrea, oltretutto più consona alle tradizioni storiche del continente sudamericano98.

Chi non si adattò facilmente al principio dell’indipendenza libica furono i francesi, per paura di possibili contraccolpi indipendentisti nelle proprie colonie nordafricane e, se gli statunitensi e gli inglesi non desideravano deteriorare i loro rapporti con la Francia, non potevano neanche rinviare l’indipendenza della Libia. Né maggiore entusiasmo suscitava negli anglo-americani l’idea francese di dare vita ad un organismo internazionale, dotato di ampi poteri decisionali, che avrebbe dovuto preparare la Tripolitania all’indipendenza, sottraendola all’amministrazione britannica e creando uno stato cuscinetto tra la Cirenaica e la Tunisia. Tutto ciò indicava un’avversione netta all’idea dell’unità libica, soprattutto all’idea di una Libia unita sottoposta alla leadership del Senusso e consideravano le tre regioni libiche come entità ben distinte tra loro e in quest’ottica si inquadrava la politica di Parigi nel Fezzan, nel quale volevano mantenere un’influenza decisiva perché considerato strategicamente importante e possibilmente ricco di risorse petrolifere99. Ai primi di Luglio, su invito del governo britannico, l’emiro senusso si era recato a Londra per definire con il Foreign Office le modalità di attuazione dell’autogoverno. Il 16 Settembre, a seguito di queste trattative, l’amministratore capo de Candole emanava un proclama che, nell’autorizzare l’emiro a promulgare una costituzione, precisava i poteri del governo provvisorio senussita della Cirenaica, poteri limitati all’amministrazione e alla legislazione interna, poiché le relazioni estere e la difesa restavano affidate alla competenza del residente britannico. La Gran Bretagna imponeva propri consiglieri finanziari e giuridici e si riservava la piena

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Ibid., p. 510.

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facoltà di revocare, modificare o emendare il proclama. Il 18 Settembre un nuovo proclama fissava la data di entrata in vigore della Costituzione della Cirenaica100.

Il 20 Settembre 1949 si aprì a Flushing Meadows, New York, la quarta sessione ordinaria dell’Assemblea, da cui emerse, fin dai primi interventi, un generale orientamento favorevole all’indipendenza libica. In questi termini, dal 21 Settembre, si dichiararono il Segretario di Stato americano, per il quale l’Assemblea doveva elaborare un piano per una Libia unita e indipendente da portare a termine in non più di tre o quattro anni, e il Ministro britannico Bevin, che ricordò le promesse fatte al leader senusso e auspicava una soluzione rapida per la Tripolitania. Altri delegati ricordarono le aspirazioni e la prosperità degli abitanti come elemento determinante di qualsiasi decisione e prospettarono l’indipendenza del paese, come i rappresentanti di India, di El Salvador e del Pakistan. Più decisi nel richiedere l’autodeterminazione del popolo libico furono i delegati iracheno, egiziano e libanese. Questi orientamenti sarebbero stati poi confermati e precisati dal dibattito che, a partire dal 30 Settembre, si sviluppò in seno al Comitato politico, in seduta a Lake Success. All’interno di questa deputazione si sarebbe consolidato un orientamento favorevole al trusteeship italiano in Somalia mentre ebbe bisogno di un esame più approfondito il problema eritreo.

A Lake Success il problema delle ex colonie italiane seguì il solito iter: conclusosi il dibattito preliminare, al quale intervennero anche il Ministro degli Esteri italiano e i rappresentanti delle principali organizzazioni locali101, dal 15 Ottobre al 1 Novembre uno speciale sottocomitato elaborò un progetto di risoluzione che, dopo essere stato approvato dal Comitato politico, fu sottoposto il 19 Novembre all’approvazione dell’Assemblea generale102.

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Ivi.

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Il Comitato accolse infatti la richiesta italiana di partecipare alle discussioni senza diritto di voto e istituì nuovamente un sottocomitato di 11 membri con il compito di vagliare le richieste delle organizzazioni politiche locali che rappresentassero frazioni sostanziali della pubblica opinione. Tra il 6 e il 10 Ottobre furono ascoltati i rappresentanti delle seguenti organizzazioni: per la Libia, il Congresso nazionale della Cirenaica, il Congresso nazionale della Tripolitania, la Comunità ebraica della Tripolitania; per l’Eritrea il Blocco eritreo dell’indipendenza, il Partito Unionista, la Lega musulmana indipendente, il Comitato rappresentativo degli italiani dell’Eritrea; per la Somalia, la Lega dei Giovani Somali, la Conferenza della Somalia; cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., p. 518.

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I delegati inglese e statunitense proposero il programma che avevano deciso di comune accordo durante l’estate: trusteeship italiano in Somalia e spartizione dell’Eritrea tra Etiopia e Sudan perché, secondo McNeil, non significava lo smembramento di un organismo vivente ma piuttosto la divisione di un’unità completamente artificiosa nelle sue componenti, mentre Jessup si appellò a ragioni etniche, linguistiche e religiose. L’intervento del rappresentante francese, il 1 Ottobre, confermò che il governo di Parigi si era rassegnato all’indipendenza della Libia ma Courve de Mourville non nascose il rincrescimento transalpino, ribadendo la proposta di trusteeship italiano in Somalia ed insistendo, sull’Eritrea, sulla necessità di dare soddisfazione alle richieste etiopi e di rispettare le aspirazioni della popolazione locale.

L’allineamento delle tre potenze occidentali sul principio dell’indipendenza libica portò ad un nuovo progetto di risoluzione sovietico che concedeva l’indipendenza immediata alla Libia, mettendo come condizione il ritiro del personale militare straniero e la rimozione delle basi militari su tutto il territorio entro tre mesi. Nel piano sovietico veniva concessa l’indipendenza all’Eritrea e alla Somalia dopo un periodo di amministrazione fiduciaria di cinque anni e il Trusteeship Council veniva incaricato di designare un amministratore dotato di pieni poteri esecutivi e responsabile presso tale consiglio. Al di là dell’obiettivo propagandistico, l’Unione Sovietica si riprometteva di intralciare i piano anglo- americani nelle ex colonie perché non era da escludere che una parte delle sue proposte potesse ottenere un consenso adeguato.

Un peso non trascurabile aveva il punto di vista del governo italiano che, il 1 Ottobre, con il discorso pronunciato dal Ministro Sforza, sintetizzò bene il mutamento verificatosi nella posizione italiana ed esercitò un ruolo favorevole nel consolidare la necessaria convergenza tra arabi e latino-americani. Le proposte del Ministro italiano per la Libia sembravano combinarsi con quelle avanzate da McNeil e Couve de Murville ed è in relazione a queste che devono essere valutate. Esse riprendevano la vecchia formula dello stato contrattuale già riaffiorata durante l’estate nei contatti confidenziali con gli inglesi e confermavano in pieno l’aspirazione dell’Italia ad assicurarsi un ruolo preminente in Tripolitania, spiegando la sostanziale inclinazione per la formula federale, che allineava Palazzo Chigi sulle posizioni del Foreign Office e del Quai d’Orsay. Dall’ambizione italiana scaturivano altri due corollari che costituivano i veri elementi di differenziazione rispetto alle

proposte anglo-francesi: Sforza invocava l’indipendenza immediata della Tripolitania e poteri sostanziali per la Commissione di controllo che avrebbe dovuto sorvegliare lo svolgimento di vere libere elezioni nel territorio, allargando l’adesione della comunità italiana della Tripolitania a questo nuovo corso103.

La strategia della diplomazia italiana fu accolta con favore all’interno del Comitato politico, aprendo la strada all’amministrazione italiana in Somalia e all’indipendenza libica, grazie all’adesione dei paesi arabi ed asiatici e del gruppo latino-americano alle proposte dell’Italia. Quest’ultimi, il 4 Ottobre, tramite il delegato argentino Arce, invocarono l’indipendenza immediata di Libia ed Eritrea e il mandato fiduciario italiano in Somalia che, in un certo senso, diventava merce di scambio all’interno del Comitato politico per l’adesione di altri stati, ma le sei risoluzioni presentate nel corso del dibattito confermarono una vasta intesa sulla Libia e minore sulla Somalia, come confermavano le risoluzioni presentate dalla delegazione statunitense, pakistana e di altre deputazioni104.

È vero che per la stessa Libia c’era da registrare qualche divergenza nel Comitato, in particolar modo sulla durata del periodo transitorio, andando dalla proposta di autogoverno immediata, sostenuta dal blocco sovietico, a quelle di Stati Uniti, Irak e India che suggerivano periodi diversi per la preparazione alla piena sovranità, con Francia e Gran Bretagna che propendevano per un periodo sufficientemente lungo. Un altro punto di frizione fu la questione dell’unità libica, se

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Ibid., pp. 524-528.

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Il progetto americano prevedeva: 1) l’indipendenza della Libia entro tre anni, restando inteso che il compito di definire la forma del futuro stato sarebbe spettato ai rappresentanti qualificati delle popolazioni locali e che un Consiglio consultivo di sei membri avrebbe assistito le autorità amministratrici; 2) cessione dell’Eritrea all’Etiopia, salvo la provincia occidentale da annettere al Sudan; 3) trusteeship italiano in Somalia, con l’intesa che le Nazioni Unite avrebbero periodicamente esaminato la situazione del territorio per accettare se esso fosse maturo per l’indipendenza. Il progetto di risoluzione pakistano era analogo a quello statunitense per la parte sulla Libia mentre prevedeva l’indipendenza entro tre anni per l’Eritrea, salvo l’accesso al mare per l’Etiopia attraverso Assab, e un trusteeship decennale delle Nazioni Unite per la Somalia. Le restanti risoluzioni, a carattere parziale, contemplavano: 1) l’indipendenza della Libia al più presto possibile e, in attesa del trasferimento dei poteri ad un governo libico indipendente, le potenze amministratrici avrebbero riferito alle Nazioni Unite in merito all’evoluzione politica di ciascun territorio (Irak); 2) la formazione di un’Assemblea costituente libica con il compito di elaborare una Costituzione da sottoporre poi all’approvazione di una speciale Commissione all’ONU: il tutto da realizzare nello spazio di due anni (India); 3) l’indipendenza per la Somalia dopo dieci anni di amministrazione diretta delle Nazioni Unite (Liberia); cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 532-533.

a vocazione centralistica o federale, provocando divisioni tra i rappresentati delle organizzazioni locali e tra gli stessi stati, con la linea britannica favorevole alla soluzione federale dato che, l’11 Ottobre 1949, l’emiro promulgava una costituzione105 per la Cirenaica. Infine, ci furono divergenze circa il ruolo delle Nazioni Unite nel processo di preparazione dell’indipendenza e nei limiti del controllo che l’ONU avrebbe esercitato nei riguardi delle potenze occupanti durante il periodo transitorio. Il silenzio di McNeil su questo punto era significativo, data la caduta della tesi del trusteeship, che implicava bene o male, un certo controllo delle

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