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L’opinione pubblica francese durante gli otto anni di conflitto franco-

2.4 La società francese e algerina durante il conflitto

2.4.1 L’opinione pubblica francese durante gli otto anni di conflitto franco-

Un’opinione pubblica che protesta e sfoga la propria contrarietà alla guerra d’Algeria appare come un momento di intensa presa di coscienza, di aspre contese e divisioni, aprendo un vero dibattito nella società francese dal 1956, anno dei poteri speciali e l’invio in massa dei militari di leva. Uno dei primi problemi che sorge nel contesto sociale francese è l’utilizzo della tortura come una normale pratica di

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pacificazione durante la battaglia di Algeri, ritenuta una prassi comune contro i sospetti e per interrogatori approfonditi43. A partire dalla metà del Febbraio 1957 iniziano le pubblicazioni dei primi dossier provenienti dall’Algeria con le testimonianze oculari di chi effettua in prima persona la tortura o di chi ha visto le ferite sulle vittime algerine. Sempre nello stesso anno, nel mese di Novembre, per iniziativa del matematico Laurent Schwartz e di Pierre Vidal-Naquet, si forma il Comitato Maurice Audin, giovane matematico francese arrestato dai parà di Massu nel Giugno 1957 e scomparso misteriosamente mentre è del Gennaio 1958 l’uscita del libro La Question di Henry Alleg, che sconvolse le coscienze e rivelò al grande pubblico il ricorso a quelle barbare pratiche. Inizia allora il dibattito che spaccò l’opinione pubblica, la Chiesa, le famiglie e i partiti sul quesito: perché l’esercito francese pratica la tortura su grande scala ? Molti ritengono che la tortura possa diventare una pratica istituzionalizzata in ambito poliziesco e militare44.

La pubblicazione su giornali e riviste, come «L’Humanité», «Le Temps modernes», «Esprit» e «Vérité pour», di estratti di opere come Contre la torture di Pierre-Henri Simon, segnano l’inizio dell’impegno di molti intellettuali, in poco tempo riuniti in reti associative, che combattono contro la disinformazione e le violazioni dei diritti dell’uomo insieme a militanti comunisti, scrittori, intellettuali cattolici e preti.

Nonostante la censura e la cappa di piombo che regna sull’Algeria, l’opinione pubblica francese scopre poco alla volta la vera natura di un conflitto che, decisamente, non ha più nulla a che vedere con il tanto proclamato mantenimento dell’ordine45. Restrizioni significative alla libertà di stampa e alla pubblicazione di immagini vengono emanate all’interno della legge del 3 Aprile 1955, che dichiara lo stato di emergenza, concedendo alle autorità amministrative, al Ministro dell’Interno, al governo centrale e ai prefetti la possibilità di prendersi il controllo della stampa e delle pubblicazioni di qualsiasi natura. Sotto la Quarta Repubblica alcuni giornali

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Ciò emerge da un rapporto di Roger Willaume, ispettore generale dell’amministrazione, del 2 Marzo 1955 consegnato all’allora governatore Soustelle, da cui emerge chiaramente come la tortura fosse una pratica utilizzata abitualmente nei confronti dei sospetti. Il 13 Dicembre 1955 il presidente del Consiglio, Edgar Faure, riceve da Jean Mairey, direttore della sicurezza nazionale, un rapporto che giunge alle medesime conclusioni di quello di Willaume. La tortura è praticata dai Dop, Détachement opérationnel de protection, unità speciali dell’esercito incaricate di interrogatori approfonditi.

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Stora, La guerra d’Algeria, cit., pp. 33-34.

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come «L’Express», «France-Observateur», «L’Humanité», «Le Canard enchaîné», «La Vérité des travailleurs», «Le Libertaire» sono presi di mira e alcuni libri editi da Jérôme Lindon e François Maspero vennero sequestrati sotto la Quinta Repubblica, fra il 1958 e il 1962. Tra questi c’è il Manifesto sul diritto all’insubordinazione, pubblicato da Maspero e redatto da 121 personalità di spicco della cultura francese, che pagheranno con la denuncia e il divieto di partecipazione alle trasmissioni televisive la loro presa di posizione sulla spinosa questione algerina46.

Importanti manifestazioni studentesche per la pace si svolsero alla fine del 1960, ossia un anno e mezzo prima dell’indipendenza algerina e la prima imponente manifestazione ebbe luogo il 13 Febbraio 1962, con 500.000 persone che sfilarono per i funerali delle vittime, tutti militanti comunisti, del metro Charonne appena un mese prima della firma degli accordi di Evian. Se i due o trecento renitenti alla leva e disertori e le poche migliaia di militanti organizzati in reti di solidarietà e sostegno agli algerini sono indubbiamente la testimonianza del coraggio di una minoranza, essi non costituiscono una vera resistenza francese alla guerra d’Algeria. Prendendo in considerazione le inchieste d’opinione tra il 1955 e il 1962, ci si accorge che la maggioranza dei francesi non era così attaccata al mantenimento dell’Algeria sotto la sovranità francese a causa, secondo le conclusioni dello storico francese Jean-Pierre Rioux, della mancanza di un progetto colonialista collettivo e ad ampio raggio che coinvolgesse in profondità la dimensione sociale, ideologica e morale del paese. La tesi di una sorta di consenso passivo da parte del popolo francese verso la decolonizzazione è condivisa anche da Charles Robert Ageron, così da confermare la teoria che la colonizzazione ha sempre riguardato una estrema minoranza e la vocazione coloniale è sempre stata rara, così come la coscienza imperiale. Per Benjamin Stora la Francia combatte una dura battaglia contro gli algerini, ma la società rifiuta di vivere in uno stato di guerra e non vuole riconoscere che il proprio esercito possa macchiarsi di torture o atti di oppressione poiché si rischia di riaprire la dolora parentesi di Vichy47.

In conclusione possiamo affermare che la battaglia franco-algerino ha favorito l’impegno di molti cittadini francesi al fianco dei nordafricani per concludere nel più breve tempo possibile il conflitto e la parentesi coloniale cominciata nel 1830. Ciò ha rappresentato un momento importante per una vera e

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Ibid., pp. 71-72.

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propria ricostruzione culturale che passa attraverso i saggi di importanti intellettuali come Albert Camus, Jean Paul Sartre e Henri Alleg che scrivono e cercano di far comprendere all’opinione pubblica cosa sta veramente accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo.

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