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Il compromesso italo – inglese tra Bevin e Sforza

3.2 Il futuro dei possedimenti italiani in Africa (1941-1949)

3.2.7 Il compromesso italo – inglese tra Bevin e Sforza

Con il rinvio della questione degli ex possedimenti italiani in Africa, l’Assemblea generale era chiamata a svolgere un ruolo determinante sulla loro sorte, dato che il suo giudizio avrebbe avuto un carattere vincolante per effetto di un accordo tra le quattro potenze, anche se ciò non spogliava quest’ultimi dei poteri che avevano assunto in tale materia. Alle Nazioni Unite la ricerca di una soluzione non si presentava semplice, per via della maggioranza dei due terzi richiesta alla delibera che costrinse l’Assemblea, già nella seduta del 24 Settembre 1948, al rinvio della questione al primo Comitato, competente in materia politica e di sicurezza. A margine di questa sessione di lavori, da parte italiana fu mantenuta la tesi minima consistente nell’assegnazione immediata dell’amministrazione fiduciaria della Somalia e il rinvio per il resto delle ex colonie, senza pregiudicare nulla. Nell’autunno del 1948 il governo etiopico aumentò i contatti con gli anglo- americani, ricevendo una conferma da Marshall sulla cessione di Massaua ed Asmara all’Etiopia senza però metterlo per iscritto e anche gli stessi rapporti con i britannici migliorarono dopo che, in Settembre, l’Ogaden venne restituito alle autorità etiopi, senza però modifiche sostanziali al progetto di trusteeship temporaneo per l’Eritrea81. L’azione anglo-americana conseguì dei risultati tra gli stati membri più favorevoli alle tesi italiane poiché, la formula concordata dai delegati sudamericani, a margine dei lavori assembleari, era basata sull’assegnazione del trusteehip somalo e tripolino all’Italia, mentre la Cirenaica veniva assegnata all’Inghilterra e il Fezzan alla Francia. Passando all’Eritrea, la maggioranza del gruppo era favorevole ad affidarla all’Italia, salvo la parte meridionale da cedere all’Etiopia. Il governo italiano, nell’impossibilità di far accogliere la propria proposta agli anglo-americani, spinse per il rinvio dell’intera questione alla sessione primaverile del 1949, per paura delle ripercussioni interne e sull’opinione pubblica circa l’esito dei lavori alle Nazioni Unite. Da parte italiana, quindi, ci si preoccupò di mobiliate le delegazioni amiche al fine di bloccare le proposte britanniche e statunitensi, considerate catastrofiche a Roma.

La spinta decisiva al rinvio della questione venne dallo stesso Comitato politico che, essendo pieno di ordini del giorno, non poteva affrontare la questione con la massima attenzione nella sessione in corso e, nonostante la contrarietà del

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delegato sovietico e di quello britannico, fu rinviata alla seconda parte della terza sessione dell’Assemblea generale, prevista per la primavera successiva. Il rinvio fu accolto con soddisfazione dal Ministero degli Esteri perché era un successo della diplomazia italiana e di una certa sua influenza, che le avrebbe consentito di bloccare alle Nazioni Unite le soluzioni da essa non desiderate, nonostante non fosse un membro dell’ONU. Un successo temporaneo, come commentato da Sforza, poiché i paesi ostili alle tesi italiane avrebbero utilizzato il tempo a disposizione per guadagnare più consensi possibili82.

Nei mesi disponibili tra il rinvio della questione e la ripresa dei lavori assembleari, Palazzo Chigi cercò di consolidare l’appoggio dei paesi amici e di far recedere Gran Bretagna e Stati Uniti dai loro progetti su Libia ed Eritrea. Per il Ministro Sforza la chiave del problema era Londra e, nei colloqui tra l’ambasciatore Gallarati Scotti e Bevin, il 16 Dicembre 1948, si percepì, da parte inglese, una certa simpatia per le aspirazioni etiopiche sull’Eritrea e la viva preoccupazione per i gravi disordini che comporterebbe il ritorno italiano in Tripolitania. In seguito ai colloqui con i francesi, quest’ultimi offrirono la loro mediazione con gli anglo-americani e gli italiani erano pronti a fare delle concessioni, con il Ministro Sforza che dichiarò la disponibilità a rinunciare ad una parte dell’Eritrea. Con questa nuova strategia, all’inizio del 1949, Palazzo Chigi inviò nuove istruzioni a Gallarati Scotti per preparare un memorandum da presentare a Bevin, su un possibile mandato italiano o, in alternativa, a discutere il conferimento dell’amministrazione fiduciaria alla nascente Unione Europea, con l’intesa che sarebbe stata l’Italia ad esercitarlo in nome dell’Europa. Sulla Tripolitania, invece, si chiedeva l’apertura di negoziati con esponenti arabi, in vista di un accordo per l’immediata costituzione di uno stato tripolino al quale l’Italia avrebbe prestato il suo appoggio, attraverso la conclusione di un trattato italo-tripolitano, la possibilità di creare un vincolo federativo tra le diverse componenti territoriali della Libia per soddisfare l’aspirazione della Lega araba al mantenimento dell’unità libica.

Il completo silenzio su Cirenaica, Somalia e Fezzan, indicava un’adesione di massima alle tesi inglesi su questi territori e quindi Palazzo Chigi concentrava la sua azione sui due problemi che restavano il nocciolo dell’intera questione coloniale. I due territori, però, erano al centro degli obiettivi strategici degli anglo-americani e non si potevano inimicare, nel caso della Tripolitania, la popolazione araba, contraria

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ad un ritorno italiano nella regione libica e nel caso dell’Eritrea un forte alleato nell’Africa orientale come l’Etiopia. A prescindere dall’impegno di tutelare le collettività italiane nei due territori, il trusteeship in Somalia costituiva ancora per gli anglo-americani il massimo che si potesse accordare all’Italia83.

La terza sessione ordinaria dell’Assemblea generale si riunì a Lake Success (New York) nell’Aprile del 1949 e la questione delle ex colonie italiane fu subito affrontata dal Comitato politico, al quale era stata deferita, come descritto in precedenza, fin dall’autunno del 1948. Per un mese, a partire dal 6 Aprile, si alternarono le varie delegazioni nella presentazione dei propri punti di vista e si notò subito l’estrema difficoltà a giungere ad un progetto unitario che raggiungesse la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea, a causa delle divergenze tra il gruppo anglosassone e quello latino-americano circa il futuro dei territori libici, mentre ormai si era creata una certa convergenza verso il trusteeship italiano in Somalia e le aspirazioni etiopi sull’Eritrea.

Gli interventi di Dulles e McNeil, in apertura del dibattito, confermarono le proposte concordate dalle due delegazioni nell’estate del 1948: amministrazione italiana in Somalia, la cessione all’Etiopia dell’Eritrea orientale, comprese Asmara e Massaua, una decisione a parte per la regione occidentale eritrea strettamente legata al Sudan, l’amministrazione inglese in Cirenaica e il rinvio per la Tripolitania. Le proposte avanzate da de Chauvel rilevarono che non era stata trovata un’intesa tra le tre potenze occidentali, dato che i francesi raccomandavano la restituzione all’Italia, sotto il controllo fiduciario dell’ONU, della Somalia, della Libia e dell’Eritrea mentre certamente più remota era la possibilità di un compromesso tra occidentali e sovietici, in una fase in cui la tensione Est-Ovest aveva ricevuto nuovo impulso dalla conclusione del Patto atlantico, poiché quest’ultimi, tramite l’ambasciatore Gromkyo, confermarono la proposta di trusteeship diretto delle Nazioni Unite su tutte le ex colonie, formulata da Vishinski alla Conferenza parigina dei Ministri degli Esteri il 14 Settembre 1948. A tale progetto aderirono interamente i cinque paesi dell’Europa orientale84 e, sia pure in termini più generici e con qualche variazione, l’India, il Pakistan, la Birmania, la Liberia e la Cina.

Al Comitato politico, l’11 Aprile, intervenne il Ministro degli Esteri Sforza, che ricordò un generale orientamento per il mandato italiano in Somalia e la

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Ibid., pp. 415-437.

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contrarietà del governo italiano ad una cessione dell’Eritrea all’Etiopia, proponendo un mandato italiano oppure il rinvio della questione, mentre per la Tripolitania avanzava la candidatura del proprio paese all’amministrazione fiduciaria. Successivamente, fu la volta delle principali organizzazioni politiche locali delle ex colonie italiane, i cui interventi confermarono che non esisteva un orientamento unanime in nessuno dei territori e le loro proposte non avrebbero inciso sul lavoro del Comitato politico85.

La costatazione delle difficoltà a trovare una formula compromissoria tra il gruppo anglo-sassone e quello latino-americano, convinsero Sforza a cercare un dialogo diretto con i britannici per sistemare la situazione libica perché solo con i voti favorevoli all’Italia, la Gran Bretagna poteva assicurarsi la maggioranza necessaria per il trusteeship sulla Cirenaica. Determinante per la situazione fu la scelta di opporsi al mandato britannico in Cirenaica se non fosse stata risolta in favore dell’Italia la situazione in Tripolitania, decisione adottata dai delegati latino- americani il 28 Aprile che, in via alternativa, su iniziativa del brasiliano Muniz, proposero un progetto di sostanziale rinvio di ogni decisione in base al quale sarebbe stata costituita, per ciascuna colonia, una commissione di cinque paesi con il compito di studiare i termini dell’amministrazione fiduciaria e della futura indipendenza86.

Prendendo a balzo la situazione di stallo, il Ministro Sforza si recò a Londra a trattare direttamente con Bevin, cercando una soluzione che, tra il 5 e il 6 Maggio 1949, venne raggiunta faticosamente e fu così strutturata:

a) per la Libia, trusteeship britannico sulla Cirenaica, francese sul Fezzan ed italiano in Tripolitania. Nel periodo di transizione continuerà l’amministrazione britannica che sarà assistita da un Consiglio consultivo composto da Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Egitto (o altro stato arabo) e da un rappresentante della popolazione locale.

b) L’Eritrea, ad eccezione delle provincie occidentali, sarà ceduta all’Etiopia che, mediante un trattato con le Nazioni Unite, darà garanzia di uno speciale statuto per le città di Asmara e Massaua. Le provincie occidentali saranno incorporate nel vicino Sudan mentre la Somalia sarà sottoposta ad un trusteeship internazionale e l’Italia ne sarà la potenza amministratrice.

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Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 438-448.

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Questo compromesso provocò reazioni negative in Libia, all’interno dell’opinione pubblica italiana e della stampa della penisola, causata dall’illusione dei governanti italiani di una ben diversa sistemazione della questione italiana e all’interno del gruppo latino-americano, per la procedura adottata. Anche gli inglesi stessi erano dubbiosi circa l’opportunità di presentare il progetto al Comitato Politico, dato che era un accordo bilaterale stipulato al di fuori dell’ONU87.

Il 9 Maggio, allo scopo di superare il punto morto, Dulles suggeriva di costituire un Sottocomitato di 16 membri con l’incarico di vagliare le diverse proposte e di presentare al Comitato politico un progetto di risoluzione non oltre il 12 Maggio. Approvato il suo suggerimento, il giorno successivo il Sottocomitato si riunì e decise di discutere, in via preliminare, l’ipotesi dell’indipendenza immediata e, mancando l’accordo su di essa, il tipo di trusteeship da applicare ai territori in questione. Infine, in ultima istanza, si sarebbe discusso in merito al rinvio ad una successiva sessione dell’Assemblea generale. Essendo stato inoltre deciso di discutere le suddette soluzioni territorio per territorio, fu affrontata anzitutto la questione libica. Furono scartate sia la proposta di indipendenza immediata che quella di trusteeship diretto delle Nazioni Unite e, nel momento in cui il Sottocomitato si accingeva a discutere il progetto di trusteeship singolo, Clutton interloquì dicendo che dopo la presentazione del suo progetto il 3 Maggio, la delegazione britannica aveva preso in esame nuove formule suscettibili di essere accolte dai latino-americani, sintetizzando il contenuto dell’intesa raggiunta e presentando, nella seduta pomeridiana del 10 Maggio, le nuove proposte per iscritto, ricalcando l’accordo trovato sulla Libia con l’Italia. Il progetto di risoluzione globale fu approvato dal Sottocomitato con 10 voti favorevoli, 4 contrari e 1 astenuto, un po’ più di difficoltà ci fu per la questione libica, a cui si opposero energicamente i delegati degli stati dell’Europa orientale, l’Egitto e l’Irak, in quanto la nuova formula britannica costituiva un tentativo di riportare la questione delle ex colonie italiane sul terreno delle trattative dirette88.

La questione ritornò all’interno del Comitato politico e il progetto basato sul compromesso Bevin-Sforza fu oggetto di un acceso dibattito, nelle sedute del 12 e 13 Maggio, al termine del quale furono messe ai voti le proposte di indipendenza immediata e di trusteeship decennale dell’ONU che furono entrambe respinte. Il

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Ibid., pp. 454-462.

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Comitato, in successione, prese in esame la risoluzione del Sottocomitato, emendata89 e poi approvata con 34 voti a favore, 16 contrari e 7 astenuti, superando la maggioranza richiesta dei due terzi, un buon viatico per la successiva approvazione all’Assemblea generale, il cui dibattito iniziò il 17 Maggio dove la risoluzione approvata dal Comitato politico fu oggetto di violenti attacchi da parte dei delegati dell’Europa orientale, generando malumori e timori nelle delegazioni britanniche ed italiane.

Nella tarda serata del 17 Maggio, cominciarono le votazioni e, se i paragrafi relativi alla Cirenaica e al Fezzan riportarono la prescritta maggioranza dei due terzi, ciò non avvenne per quelli pertinenti la Tripolitania e la Somalia. Venendo meno il progetto compromissorio Bevin-Sforza, l’intero piano non poteva essere accettato dalle delegazioni latino-americane che, insieme a molte altre, respinse clamorosamente l’interno progetto. L’Assemblea prese in considerazione le altre proposte, quella sovietica di trusteeship diretto delle Nazioni Unite e di indipendenza diretta della Libia da parte dei paesi mediorientali, entrambe respinte. Né sorte migliore ebbe un progetto che modificava quello latino-americano del 4 Maggio, che contemplava il rinvio della questione al Comitato ad interim e la costituzione di una Commissione d’inchiesta che avrebbe formulato delle raccomandazioni da presentare alla successiva sessione dell’Assemblea90. Fu infine adottata a larghissima maggioranza una risoluzione polacca che prevedeva il puro e semplice rinvio dell’intera questione della disposizione delle ex colonie italiane alla quarta sessione regolare dell’Assemblea generale91.

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Gli emendamenti al piano Bevin-Sforza approvato in Sottocommissione sono: quello norvegese di indipendenza automatica dopo dieci anni di trusteeship previa deliberazione in questo senso da parte dell’Assemblea generale; quello britannico di sostituire l’Egitto con la Turchia nel costituendo Consiglio Consultivo per la Tripolitania; quello etiopico che prevedeva la partecipazione dell’Etiopia nell’eventuale fissazione di nuovi confini per l’Eritrea. Più sostanziale fu l’abolizione della clausola relativa alla cessione dell’Eritrea occidentale al Sudan, la cui sorte restava in sospeso; cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 466-467.

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Il comitato ad interim, noto anche come “piccola assemblea”, era un organismo ufficioso creato dalle delegazioni occidentali, in cui l’Urss si oppose alla proposta latino-americana sostenendo l’incostituzionalità di tale organo. Il delegato inglese vi si oppose per motivi diversi: egli dichiarò che la presenza di una Commissione d’inchiesta avrebbe creato gravi imbarazzi all’amministrazione britannica; cfr. Ibid., p. 470.

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