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Fanon, la decolonizzazione e la guerra d’Algeria: un’introduzione

Frantz Fanon, medico ed intellettuale martinicano, grazie all’esperienza diretta nell’indipendenza algerina cerca, all’interno del suo saggio I dannati della

terra, di proporre una via d’uscita ai popoli colonizzati che aspirano

all’autodeterminazione e all’autogoverno per liberarsi dalle catene europee.

La relazione tra il colono e il colonizzato si basa, per Fanon, sulla violenza e la loro coabitazione avviene tramite il soldato e il poliziotto che fanno da interlocutori principali tra le due parti. La violenza può assumere anche forme differenti, come la diversa situazione abitativa, agiata per i coloni rispetto ai nativi, fino ad arrivare ad una violenza psicologica utilizzando un “linguaggio zoologico” per riferirsi al colonizzato55. La conseguenza più ovvia, secondo Fanon, sarà la rivalsa del colonizzato che si fa persecutore del colono affinché il primo si senta veramente un cittadino vero, che abbia i suoi diritti. Ciò è contrastato dalla borghesia nazionale per i suoi legami con il potere coloniale a livello politico ed economico, cerca di ristabilire lo status quo pacificando la situazione attraverso il messaggio religioso. In questo momento la popolazione locale comprende che la violenza è l’unica arma disponibile per arrivare ad una soluzione contro il potere coloniale56.

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Valentin Y. Mudimbe, L’invenzione dell’Africa, Meltemi, Verona 2007, pp. 15-20.

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Frantz Fanon, I dannati della Terra, cit., p. 28.

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Nel risveglio indigeno una parte da protagonista la dovrebbero avere i partiti politici, aperti al proletariato di città, ovvero lo strato sociale più legato al mondo coloniale, restio a qualsiasi rivoluzione e diffidente nei confronti delle masse contadine che, secondo Fanon, dovrebbero essere organizzate in senso nazionalista e progressista. Nonostante ciò, le masse rurali tentano di entrare nel processo di maturazione della coscienza nazionale e il mezzo necessario a ciò è il partito nazionalista che, invece, non sfrutta l’occasione di integrarle e politicizzarle ma rimane diffidente nei loro confronti. La strada perseguita dai partiti politici li porta alla centralizzazione del potere politico ed amministrativo, inquadrando e gerarchizzando il popolo riprendendo i metodi usati dal potere coloniale. Saranno i partiti di opposizione, contrari alle politiche nazionaliste, e i sindacati nazionali, che preparano un programma sociale statale per arrivare al governo, a cercare le masse contadine per poter contare sul loro appoggio. Secondo Fanon, l’interazione tra sindacati e contadini sarà fondamentale per l’intervento di quest’ultimi nella lotta di liberazione nazionale e per l’orientamento futuro del paese, fenomeno che riveste un’importanza basilare per i paesi sottosviluppati57.

Da tramite con le masse rurali faranno gli intellettuali e i ricercati che si rifugeranno nelle campagne, dove possono portare avanti l’opera di politicizzazione dei contadini, cercando di spiegare i problemi che affliggono il proprio paese ed organizzare l’insurrezione per liberarli. La rivolta partirà dalle campagne, penetrando nelle città attraverso i sobborghi, abitati da contadini che andarono a cercar fortuna nelle città, come accadde, ad esempio, in Kenia con la rivolta dei Mau-Mau all’inizio degli anni cinquanta. Questo mina le fondamenta dei partiti nazionali, dato che i più poveri portano la propria esasperazione a farsi violenza e al risveglio del proprio orgoglio nazionale. L’obiettivo primario delle forze che appoggiano l’insurrezione è la partenza degli stranieri dal proprio paese, non cadendo nella trappola coloniale delle divisioni tribali ed etniche che possano dividere il fronte di liberazione e nell’inquadramento delle masse dei sobborghi attraverso un diverso trattamento rispetto al passato, più umano e meno basato sulla violenza, come accaduto in Algeria ed Angola dove fiumi di denaro sono stati versati per questo scopo. Da qui l’autore ritorna sul tema della politicizzazione delle masse, riconosciuta come necessità storica per il popolo per fargli comprendere le finzioni delle concessioni coloniali, poiché “il popolo che lotta, il popolo che, grazie alla lotta, dispone questa

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nuova realtà e la conosce, avanza, liberato dal colonialismo, avvisato in anticipo contro tutti i tentativi di mistificazione, contro tutti gli inni alla nazione. Solo la violenza esercitata dal popolo, violenza organizzata e illuminata dalla direzione, consente alle masse di decifrare la realtà sociale, gliene dà la chiave. Senza questa lotta, senza questa conoscenza nella prassi, non c’è più che solfa o carnevalata. Un minimo di riadattamento, alcune riforme al vertice, una bandiera e, giù giù, la massa indivisa sempre «medievale», che continua il suo perpetuo movimento” 58.

Un aspetto importante da approfondire riguarda la borghesia nazionale, che si forma durante la decolonizzazione e vuole sostituire la vecchia borghesia metropolitana coloniale nonostante non abbia i mezzi economici, perché l’industria e la finanza rimangono nelle disponibilità occidentali, e politici per farlo. Una parte di essa, che si rifà alla borghesia agraria, si accontenta del suo ruolo latifondista cercando di aumentare le proprie proprietà attraverso la nazionalizzazione delle terre, un tempo di proprietà dei coloni. La borghesia nazionale deve affrontare una serie di problemi fondamentali per la vita del paese, come la divisione etnica che sfocia in scontri cruenti tra le opposte fazioni tribali, secondo l’autore fomentati dagli occidentali per poter ancora controllare l’approvvigionamento delle materie prime. Ciò fa da riscontro al pensiero di Fanon, secondo cui la borghesia non è in grado di governare il paese ricorrendo a misure eccezionali, come la dittatura del partito unico che relega in secondo piano i modelli parlamentari creati con l’indipendenza.

La cosa che interessa di più ai borghesi è il mantenimento del proprio ruolo statale e del guadagno economico accordandosi con le ex metropoli, lasciando la quasi totalità della popolazione nell’indigenza. Per questo motivo “occorre opporsi risolutamente ad essa perché letteralmente essa non serve a niente. Questa borghesia, mediocre nei guadagni, nelle realizzazioni, nel pensiero, tenta di mascherare quella mediocrità con costruzioni di prestigio sul piano individuale, con le cremature delle macchine americane, le vacanze in Riviera, i week-end nei nights neonizzati” 59. La soluzione adottata da Fanon per superare questa situazione neocoloniale, e per neutralizzare il piano della borghesia nazionale, riguarda la nazionalizzazione del terzo settore e, ancora una volta, la politicizzazione del popolo. In quest’ultimo caso un ruolo preminente spetta al partito politico che deve aumentare i contatti con le masse rurali, attuare una politica nazionale che riguardi la maggioranza della

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Ivi.

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popolazione usando un linguaggio concreto senza tecnicismi economici che non imbroglino il popolo. Attraverso l’esempio della rivoluzione algerina, Fanon coglie il nesso tra la rivoluzione popolare, il miglioramento delle condizioni lavorative nelle campagne e il concetto che il popolo è “proprietario di sé stesso”.

L’ultima analisi di Fanon è impostata sulla creazione della cultura nazionale nei giovani stati africani per legittimare la rivendicazione d’indipendenza nazionale, insieme ai fattori espressi precedentemente. Se ne dovrebbero occupare i partiti politici al potere ma essendo costituiti da uomini di cultura formati all’occidentale, la cui “ricerca appassionata di una cultura nazionale al di qua dell’era coloniale trae la sua legittimità dalla preoccupazione, condivisa da tutti gli intellettuali colonizzati, di prender le debite distanze dalla cultura occidentale in cui rischiano di impantanarsi. Poiché si rendono conto che stanno perdendosi, e cioè di essere perduti per il loro popolo, questi uomini, con la rabbia nel cuore e il cervello pazzo, si accaniscono a riprendere contatto con la linfa più antica, più precoloniale del loro popolo”60. Per questo si cerca di proclamare l’esistenza di una cultura non nazionale, ma africana, che rispecchi la cultura negra e che si discosti dall’uomo bianco, specificatamente negro-africana oppure arabo-musulmana. La responsabilità dell’uomo di cultura colonizzato è nei confronti del complesso nazionale, in cui la cultura negro-africana deve avere un ruolo principe dato che, secondo lo psichiatra martinicano, deve passare attraverso l’appoggio incondizionato alla lotta dei popoli affinché si irradi in tutto il continente61.

In conclusione al suo saggio, Fanon esorta tutti i popoli del Terzo Mondo, già usciti oppure in procinto di uscire dalla situazione coloniale, a non imitare l’Europa, negli anni successivi all’indipendenza, ma a camminare sulle orme degli Stati Uniti che sono riusciti a diventare il paese più avanzato e potente al mondo spodestando gli stati del vecchio continente.

1.6 La storiografia italiana sulle ex colonie e sull’Africa nel corso del

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