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La definizione del Trattato di Pace del 10 Febbraio 1947

3.2 Il futuro dei possedimenti italiani in Africa (1941-1949)

3.2.5 La definizione del Trattato di Pace del 10 Febbraio 1947

Con la Conferenza dei Ventuno, svoltasi nella capitale francese dal 29 Luglio al 15 Ottobre 1946, il processo di elaborazione del trattati di pace entrava in una nuova fase poco incisiva, dato che a tale conferenza era riconosciuto il potere di presentare al Consiglio dei ministri degli Esteri raccomandazioni su emendamenti da apportare al progetto di trattato, non vincolanti e con l’approvazione della maggioranza dei due terzi. Su un piano più sostanziale, i quattro non intendevano allontanarsi dall’accordo faticosamente raggiunto per paura di rovinare l’intero compromesso. Più limitate erano le possibilità offerte agli ex nemici come l’Italia, poiché non era consentito presentare emendamenti ma di esporre per iscritto le proprie osservazioni e di illustrarle oralmente.

Quando si aprì ufficialmente la Conferenza, alla questione coloniale fu riservata un’attenzione assai modesta nel più vasto contesto del problema del trattamento da riservare all’Italia ma alcuni interventi di delegati delle nazioni presenti furono favorevoli all’indipendenza delle ex colonie. Anche la delegazione etiope non si lasciò sfuggire l’occasione di esporre nuovamente le proprie tesi sull’Eritrea e sulla Somalia, illustrando la futura organizzazione del territorio eritreo come provincia autonoma all’interno dell’Etiopia. L’Egitto, invece, richiese la restituzione dell’oasi di Giarabub e la rettifica del confine libico-egiziano in modo da includere nel suo territorio, per motivi strategici, la piana desertica di Sollum. Sulla questione libica, propose l’indipendenza immediata del paese e il periodo transitorio doveva essere affidato ad un membro della Lega araba, progetto a cui si dichiarò favorevole la delegazione irakena. In contrasto con le tesi sopra citate, la delegazione brasiliana si fece portatrice del punto di vista dell’intera America latina che invocava un equo trattamento per l’Italia e definì ingiusto il progetto di trattato di pace che toglieva una parte di territorio metropolitano e le colonie alla penisola66.

Anche l’Italia poté esporre il proprio punto di vista alla Conferenza parigina e, già alla vigilia dell’appuntamento, intensificò l’attività dei rappresentanti ed esperti italiani per ammorbidire la posizione delle quattro potenze e guadagnare la fiducia, sulle proprie tesi, dei paesi partecipanti all’incontro. Il governo di Roma si sforzò di far modificare l’art.17 attraverso l’attenuazione o l’eliminazione del primo capoverso, quello sulla rinuncia ai territori in Africa, ma le pressioni e i colloqui

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avuti con i rappresentanti governativi e diplomatici dei quattro grandi non ebbero i risultati sperati. Un’azione portata a buon fine fu condotta sui paesi latino-americani per influire direttamente sugli alleati in vista di un eventuale deferimento della questione all’ONU, dato che un compatto atteggiamento di questi governi avrebbe favorevolmente incoraggiato il governo brasiliano a sostenere le tesi italiane già alla Conferenza dei Ventuno

Dal 10 Agosto, De Gasperi si trovava a Parigi per il discorso davanti alla seduta plenaria e, dopo aver descritto ciò che l’Italia si aspettava da tale trattato, decise di incontrare personalmente i Ministri degli Esteri dei quattro grandi e alcune delegazioni di altri stati sulla questione coloniale e del Venezia Giulia. Il 19 Agosto, l’Italia presentava il suo memorandum sulle clausole del progetto di trattato relative ai territori italiani in Africa, proponendone la modifica per tenere conto degli interessi della penisola in questi territori, affidando una parte dell’amministrazione a funzionari italiani.

Il 23 Settembre, Bonomi, di fronte alla Commissione politico-territoriale, disse che la rinuncia immediata e preliminare dell’Italia ai suoi diritti e titoli su quei territori avrebbe creato problemi pratici e un vuoto giuridico di un anno, osservando che nei territori occupati doveva essere mantenuta l’amministrazione locale sotto il controllo militare dello stato occupante. Concludendo, Bonomi chiese che l’Italia rimanesse in suddetti territori per continuare a condurre il loro pieno sviluppo economico e politico, nell’interesse degli abitanti delle colonie67.

All’interno della Commissione politico-territoriale, la questione coloniale italiana fu dibattuta tra il 23 e 25 Settembre, e la discussione verteva sugli emendamenti all’articolo 17 proposti da alcuni paesi membri. Modifiche che, nella maggioranza dei casi, vennero ritirate dalle delegazione e restarono in piedi l’emendamento brasiliano, che si rifaceva al memorandum italiano del 19 Agosto, e quello neozelandese, che proponeva l’ONU e non i quattro grandi per decidere definitivamente del futuro delle colonie italiane. Votati il 25 Settembre, essi vennero respinti e, successivamente fu messo ai voti l’articolo 17, approvato con una schiacciante maggioranza. Rinviata all’Assemblea plenaria la decisione finale, la discussione continuò, tra il 7 e il 9 Ottobre, con la disquisizione dei singoli articoli del progetto di trattato, con l’approvazione dell’articolo 17 che, a questo punto, era difficile rimettere in discussione nella sessione di New York del Consiglio dei

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ministri degli Esteri da parte del governo italiano. Nessun mutamento avvenne alla sessione in terra statunitense e delle clausole coloniali se ne riparlò solamente l’11 Dicembre, per concordare la data in cui la Commissione d’inchiesta avrebbe cominciato a funzionare: il 10 Febbraio 1947 per la nomina dei commissari, per l’entrata in vigore del trattato e per l’inizio dei lavori. Oltre a ciò, le uniche modifiche riguardarono l’articolo che dal diciassettesimo divenne il ventitreesimo e la dichiarazione del 12 Luglio del 1946 che fu inserita come allegato XI all’interno del trattato68.

3.2.6 Il tentativo di un’intesa tra le quattro grandi potenze (Marzo 1947-Settembre

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