• Non ci sono risultati.

La storiografia italiana sulle ex colonie e sull’Africa nel corso del

Gli studi coloniali e di africanistica italiani hanno avuto un impatto minore sulla storiografia nazionale rispetto ad altre indagini curate all’estero. All’inizio del

60

Ibid., p. 149.

61

Novecento i pochi storici che se ne occupavano, a causa dell’assenza di competenze storico-coloniali nelle università italiane, portarono un misero contributo all’argomento, dato che le uniche opere sul tema furono relazioni scritte da esploratori e da funzionari delle colonie. Durante il periodo fascista gli studi e le pubblicazioni crebbero, in concomitanza con la conquista etiope, portandosi dietro il sospetto di fare propaganda per il regime fascista attraverso l’esaltazione della romanità e della civiltà italiana in Africa e nel Mediterraneo, esponendo la storia dei paesi sottoposti al dominio coloniale italiano. In più i documenti delle amministrazioni coloniali, come la Società Geografica Italiana o l’Istituto Coloniale

Italiano, non erano consultabili e le uniche fonti archivistiche che era possibile

sfogliare erano private, dei protagonisti della colonizzazione. Pochissimi storici curarono altri tipi di fonti come la stampa, gli atti del Parlamento italiano o le relazioni diplomatiche straniere.

La storiografia italiana cambiò con la fine della Seconda guerra mondiale, il crollo del fascismo e la perdita delle colonie prestando sempre più interesse per le tematiche generali del colonialismo e dell’anticolonialismo, con uno specifico riferimento alle ex colonie italiane62. Nei quindici anni tra la fine della guerra e la decolonizzazione africana, gli studi di diritto coloniale ebbero successo perché offrivano un quadro generale di diritto internazionale comparato sui domini europei d’oltremare; al contrario, gli studi storici andarono incontro ad una crisi evidente perché non accettarono la trasformazione radicale che stava avvenendo all’interno degli studi storici coloniali occidentali, in cui diveniva più importante la storia dell’altro, passando dalla storia coloniale alla storia dell’Africa o dell’Asia.

Negli anni cinquanta gli storici coloniali italiani si chiusero in sé stessi, non vollero saperne di abbandonare la disciplina, coadiuvati in questo dalla creazione del

Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in Africa per valorizzare la

documentazione del Ministero dell’Africa italiana63 e delle altre carte affluite a Roma. Sembrò la miglior soluzione al problema degli studi storici coloniali ma, come ben spiegato da Nicola Labanca all’interno del suo Oltremare: storia

dell’espansione coloniale italiana, accentuò la concentrazione nazionalistica degli

62

Ruggero Romano, La storiografia italiana oggi, Espresso Strumenti, Cuneo 1978, p. 93.

63

Nel 1953 c’è la soppressione degli ultimi uffici del Ministero dell’Africa Italiana, rimasto in piedi anche durante i primi anni dell’Italia repubblicana per volere dei governi centristi a guida democristiana.

storici coloniali e l’ampia serie di pubblicazioni che a partire da quelle carte era stata prevista dal Comitato venne assegnata non a storici, ma ad ex funzionari delle colonie. La gestione da parte del Comitato rese impenetrabile agli stessi studiosi esterni ed indipendenti gli archivi coloniali, autorizzandone al contempo uno scempio archivistico cui non è stato ancora oggi possibile rimediare64. Tra le poche opere prodotte si ricorda un importante volume del 1959 sulla prima guerra d’Africa di Crispi e Baratieri da parte di Roberto Battaglia. In pochi seguirono questo filone storiografico durante i primi anni sessanta, poiché era mancata una produzione storica di ampio respiro critico o analitico, resa difficile peraltro da condizioni precarie di ricerca e dalla scarsa credibilità concessa alle discipline africanistiche, le quali solo negli anni sessanta, e con riluttanza, venivano inserite negli statuti universitari65.

La situazione si modificò alla fine di quel decennio, quando la congiuntura internazionale, le vicende politiche italiane e lo stesso sviluppo delle ricerche sul fascismo resero necessario tornare al colonialismo fascista e alle sue pagine più a lungo taciute. Gli studi di Giorgio Rochat sulla repressione della resistenza anticoloniale in Cirenaica, sulle brutalità della repressione successiva all’attentato a Graziani, sulla preparazione dell’aggressione all’Etiopia e sulla sua conduzione militare e politica da parte di Badoglio e Mussolini colmarono un vuoto e aprirono la strada verso un nuovo tipo di studi. A parziale discolpa della storiografia progressista va detto che, ancora per tutti gli anni sessanta, i principali strumenti di ricerca del settore sono utilizzati, in regime di quasi monopolio, dagli ambienti del vecchio colonialismo, non certo interessati ad affrontare i problemi più roventi e scomodi dell’espansione italiana in Africa, ma spinti, nella migliore delle ipotesi, a darne una reinterpretazione di carattere moderato66.

Questo cambiamento venne percepito anche durante il convegno del 1969, ideato dalla Società degli studi storici italiani, sugli studi storici in Italia a cui Carlo Giglio, stimato studioso-coloniale, partecipò e stilò un suo bilancio e le sue conclusioni sulla storiografia italiana sull’Africa dal 1945 al 1967. Espose il non univoco metodo nella valutazione del fenomeno coloniale che è venuto fuori in quel

64

Nicola Labanca, Oltremare: storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 442-443.

65

Alessandro Triulzi, Storia dell’Africa e del Vicino Oriente, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 11.

66

periodo, in cui Giglio parla di una divisione tra chi rimane aggrappato ad un concetto di storia come esposizione obiettiva dei fatti e cauta interpretazione di essi e per chi va riveduta e rivissuta integralmente alla luce della realtà presente, con nuove prospettive e da angoli visuali aggiornati67. Inoltre, negli stessi anni, l’archivio del Ministero degli Esteri cominciava a mettere a disposizione le carte coloniali, un tempo dedicate solamente al Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia

in Africa.

Angelo Del Boca faceva uscire nel 1976 il primo dei suoi volumi sugli italiani in Africa e, ai suoi studi, si affiancò una serie di monografie di altri studiosi che esprimevano la consapevolezza, da parte della storiografia italiana, di un settorialismo e di un ritardo durato troppo tempo nei confronti degli studi esteri a cui si doveva rimediare, portando a reazioni negative e polemiche da parte degli studiosi coloniali. Alcuni dei migliori giovani studiosi italiani preferirono perfezionale la loro formazione andando all’estero, dedicandosi a ricerche sul campo e acquistando familiarità con la “rivoluzione storiografica” in corso, in tema di storia dell’Africa, scegliendo di non occuparsi delle ex colonie e di occuparsi della storia dal punto di vista degli africani. In più, molti studiosi stranieri avevano iniziato ad occuparsi seriamente di storia dell’espansione coloniale italiana, restringendo lo spazio ai più vecchi e tradizionali studi coloniali italiani che, alla metà degli anni settanta, detenevano il controllo della disciplina, degli archivi e degli istituti di ricerca. La ritardata decolonizzazione della disciplina non solo non aveva aiutato l’opinione pubblica italiana nel suo ripensamento del passato coloniale ma aveva danneggiato se stessa.

Il cambio generazione accennato in precedenza, é confermato dalla discussione tra due noti africanisti italiani, Teobaldo Filesi e Alessandro Triulzi, avvenuta a metà anni ottanta sulla rivista Africa: rivista trimestrale di studi e

documentazione dell’Istituto Italo-Africano. Teobaldo Filesi, commentando l’opera, Storia dell’Africa e del Vicino Oriente, a cura di Alessandro Triulzi, la definisce “una

storia dal taglio nuovo ed ideologicamente impegnato…propone in sostanza tutte le tematiche e indica le linee di tendenza che dovrebbero ispirare la nuova storiografia

67

Carlo Giglio, Conclusioni di Carlo Giglio sulla Storiografia italiana sull’Africa tra il 1945 e il 1967, in La storiografia italiana negli ultimi venti anni, Marzorati Editore, Milano 1970, p. 1327.

africana…”68. Si nota una prima differenza di vedute tra i due storici, uno, Filesi, legato più alla tradizione storiografica incarnata da Carlo Giglio, mentre Triulzi appartiene ad una nuova leva di storici che vuole cambiare l’approccio alla storia africana. Ciò che a Filesi non va giù è come venga strutturata l’introduzione, in cui Triulzi fa una marcata critica degli studi storici africani italiani nei trent’anni precedenti, giudicando negativa l’assenza italiana dai grossi temi del dibattito storiografico, a loro attuale, privilegiando le ricerche archivistiche, soprattutto missionarie. Su questi due punti Filesi non è d’accordo, perché già negli anni settanta ci sono molti saggi sull’Africa che utilizzano le fonti archivistiche che, a suo parere, sono molto importanti da ogni punto di vista degli studi umanistici, ma le fonti orali e il lavoro sul campo, per Filesi, devono essere fuse con la vecchia ricerca documentaria così da avere una visione più completa del proprio lavoro69. Triulzi, rispondendo alle critiche di Filesi alla sua opera e sul metodo storiografico utilizzato, riafferma quanto l’africanistica italiana fosse assente da un dibattito che, nell’ambito degli stessi studi sul colonialismo, aveva lasciato da tempo alle spalle un ambito puramente nazionale di approccio per indagare il complesso impatto della presenza coloniale europea sulle società africane, e le reazioni che ne erano derivate70. Inoltre, critica l’idea di Filesi di unire la ricerca sul campo ad un buon lavoro archivistico, poiché vede in quest’ultimo metodo la problematica principale della storiografia italiana sull’Africa negli anni sessanta e settanta.

In realtà il rinnovamento era già in corso, il panorama degli studiosi di Storia e istituzioni dei paesi afroasiatici si era ampliato, la generazione del dopoguerra era stata sostituita, erano stati allacciati rapporti molto stretti tra la Storia e l’Antropologia e sempre meno gli interessi degli studiosi erano ristretti alle ex colonie, studiando la storia del continente africano. Alcuni storici africani avevano iniziato già negli anni settanta, proseguendo negli anni ottanta e novanta, ad affrontare la storia dei propri paesi in opere di grande interesse, come U. Chelati Dirar, che insegna Storia dell’Africa all’Università di Macerata e ha pubblicato numerosi saggi riguardanti l’ex Africa italiana, con maggior attenzione per l’Eritrea

68

Teobaldo Filesi, Considerazioni sulla storiografia generale dell’Africa (1977-1982), in «Africa: rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italo-africano», 1984, n.1, p. 87.

69

Ibid., pag. 92.

70

Alessandro Triulzi, Metodologia e ideologia nella storiografia africanista: note per un dibattito, in «Africa: rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italo-africano», 1984, n.4, p. 634- 635.

in cui è nato. In questo caso possiamo dire che la decolonizzazione degli studi sull’Africa in Italia può dirsi conclusa, anche se permangono delle ristrettezze nel campo delle ex colonie, studiate da vicino per le vicende del colonialismo italiano e non accompagnate da una disamina approfondita dal punto di vista africano.

Nonostante i passi in avanti, permangono alcuni limiti riassumibili in alcuni punti: la decolonizzazione degli studi africani in Italia è avvenuta in ritardo rispetto alle altre ex potenze coloniali, nonostante la perdita dell’impero coloniale durante il secondo conflitto mondiale; l’evoluzione di questo campo di studi è avvenuta con una separazione e non con una collaborazione fra gli studiosi critici verso gli studi coloniali e gli eredi di quest’ultimo tipo di studi storici. Infine c’è un grave ritardo della storiografia italiana su molti punti di studio della cultura africana come ad esempio le lingue, a causa del limitato lavoro sul campo visti i pochi cultori della materia71.

In questi ultimi tre decenni si sono avuti degli africanisti di tutto rispetto che hanno aggiornato e portato avanti la ricerca storica italiana a riguardo delle nostre ex colonie e dell’Africa, come Angelo Del Boca e Nicola Labanca, storici del colonialismo italiano che hanno portato alla luce molti fatti e avvenimenti dell’avventura coloniale del nostro paese e Giampaolo Calchi Novati, Alessandro Triulzi ed altri che hanno portato avanti gli studi sul continente africano nella sua totalità, dalla decolonizzazione fino ai giorni nostri.

71

CAPITOLO 2

LA GUERRA D’ALGERIA

Documenti correlati