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La politica italiana sul problema coloniale (1945-1949)

Il dibattito sul futuro delle colonie, in Italia, sino alla fine della Seconda guerra mondiale, impegna poche voci, a cominciare dagli stessi governanti, Pietro Badoglio e Ivanoe Bonomi, delle stesse istituzioni dell’Italia repubblichina e libera che non hanno i mezzi necessari per avere un quadro certo della situazione africana e, infine, le idee e le istanze degli uomini politici che hanno ritrovato la libertà di espressione con la caduta del fascismo, come Carlo Sforza, Don Luigi Sturzo, Benedetto Croce, Gaetano Salvemini ed altri118.

Con la fine del secondo conflitto mondiale, l’Italia riacquistò una parvenza di autonomia sul piano della politica estera e i primi riferimenti si rifanno alla già citata Conferenza di Postdam (17 Luglio – 2 Agosto 1945), con il governo italiano che effettuò dei sondaggi presso Londra e Washington, in base ai quali il Ministro degli Esteri De Gasperi inviò istruzioni agli ambasciatori Carandini e Tarchiani, nelle quali emerse il punto di vista italiano sulle colonie prefasciste:

a) L’Italia desidera conservare le sue colonie prefasciste;

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Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 566-567.

118

Per uno studio più approfondito degli anni tra il 1943 e il 1945, riguardanti l’ambito coloniale, si veda Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. Nostalgia delle colonie, Mondadori, Milano 1992, pp. 3-16.

b) se sarà costretta a fare delle rinunce, queste dovrebbero riguardare soltanto il grado di sovranità;

c) l’Italia ha bisogno delle sue colonie per convogliarvi l’eccesso della popolazione; d) se la Gran Bretagna ha interessi in Cirenaica, l’Italia ne terrà conto, ma sul Gebel dovrebbero restare i coloni italiani;

e) se l’Italia dovesse essere estromessa dall’Eritrea, che è la colonia primogenita, la misura apparirebbe agli italiani gravissima; la sua annessione all’Etiopia, poi, la riporterebbe indietro di mezzo secolo;

f) l’Italia è disposta a concedere all’Etiopia uno sbocco al mare, facilitandone l’accesso al porto di Assab;

g) l’Italia è pronta ad accettare l’amministrazione fiduciaria sulla Grande Somalia, se questa entità verrà realizzata119.

Istruzioni simili, modificate in considerazione del diverso atteggiamento dell’URSS di fronte al problema coloniale, furono inviate all’Ambasciata di Mosca, per insistere sul carattere non capitalistico, ma demografico, della colonizzazione italiana. “In linea generale, è opportuno rilevare che tali istruzioni erano improntate ad una certa elasticità: pur indicando una netta propensione per la piena sovranità italiana sulle colonie prefasciste, esse non escludevano l’applicazione del regime di amministrazione fiduciaria e mostravano, inoltre, comprensione per le esigenze altrui”120.

L’idea di fondo italiana rimase la stessa anche durante la successiva Conferenza di Londra, riguardante l’elaborazione del trattato di pace italiano, attraverso due missive, inviate il 22 Agosto 1945, da parte del Presidente del Consiglio Parri a Truman e dal Ministro degli Esteri De Gasperi a Byrnes. Il Primo Ministro italiano, nella sua lettera, fu molto generico, limitandosi a chiedere l’appoggio americano per una giusta pace, dato che una ingiusta potrebbe portare a determinate conseguenze nei territori strappati all’Italia mentre il Ministro degli Esteri, con il concorso e l’approvazione del governo, scriveva che l’Italia democratica considerava le colonie come strumento di assorbimento della manodopera in eccesso e che ciò non era in contrasto con la disciplina dell’amministrazione fiduciaria. La lettera conteneva anche degli accenni riguardanti

119

MAE, Inventario delle rappresentanze diplomatiche, Francia e Russia, b. 337. Tel. Del 14 Luglio 1945; cfr. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, pp. 15-16.

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le due colonie la cui appartenenza all’Italia suscitava le più forti ostilità: Cirenaica ed Eritrea.

Per far comprendere l’unità politica nei confronti del destino delle colonie, anche il vice Presidente del Consiglio Pietro Nenni, leader del Partito socialista italiano (PSI), indirizzò a Bevin, nei giorni precedenti l’inizio della Conferenza dei ministri degli esteri, un messaggio che riassumeva nei seguenti termini la posizione del suo partito: “Il Partito socialista italiano ha votato contro tutte le avventure coloniali, dall’Eritrea alla Tripolitania. Nel 1936 ha preso nettamente posizione contro la conquista dell’Abissinia. Allo stato attuale delle cose le colonie hanno per noi un interesse nella misura in cui assorbono una parte della nostra mano d’opera e attivano il nostro commercio. È sotto questo aspetto che ci interessano la Tripolitania, l’altopiano cirenaico, l’Eritrea e la Somalia. Rettifiche di carattere militare, le quali non alterino le nostre possibilità di lavoro, ci lasciano assolutamente indifferenti”121. Se nelle occasioni ufficiali si allineava alla posizione del governo italiano, di cui era vice-premier, Nenni fece considerazioni molto più vaghe in altre occasioni, come in un articolo su l’«Avanti!», l’organo del Partito socialista, del 9 Settembre 1945: “Noi assoceremo volentieri i nostri sforzi ad una rivalutazione e ad una riorganizzazione delle colonie che tenda a favorire gli interessi delle popolazioni africane. Noi non intendiamo sottrarci all’obbligo di concorrere a riparare i danni che alcuni paesi hanno subito per colpa dell’aggressione fascista”122.

De Gasperi, nella sua veste di Ministro degli Esteri, il 29 Settembre 1945, fece una dichiarazione alla Consulta Nazionale sul lavoro diplomatico italiano alla Conferenza di Londra e sugli sviluppi interni a quest’ultima riguardo il trattato di pace, il futuro di Trieste e dei possedimenti africani. Nel parlare davanti all’assemblea, De Gasperi riferì dei propri scambi di vedute con il Segretario di Stato Byrnes e il Ministro degli Esteri francese Bidault in cui ripeté ancora una volta la linea del governo italiano: le colonie sono indispensabili come sbocco demografico per la popolazione della penisola e per il lavoro svolto dagli italiani in terra d’Africa.

121

Nenni a Bevin, messaggio del 5 Settembre 1945, FO 371, U 7538/50/70; cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., p. 136.

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Le sue parole vennero approvate con un lungo applauso da tutta la Consulta e, in particolar modo, dal presidente dell’assemblea Carlo Sforza123.

Il dopo Londra fu caratterizzato da un’intensa azione diplomatica italiana, che ebbe i suoi momenti più significativi nel viaggio a Londra dell’ambasciatore Cora124, di quello dell’ex governatore dell’Harar Cerulli e nella redazione di un memorandum sulle colonie italiane125, presentato alle grandi potenze alla fine di Ottobre. Per De Gasperi, che illustrò la nota italiana in un telespresso di accompagnamento del 24 Ottobre a varie ambasciate, si elencavano una serie di motivi affinché le colonie fossero restituite all’Italia, come, ad esempio, l’acquisizione tramite accordi internazionali, oppure la valorizzazione dei possedimenti africani ad opera del popolo italiano ed, infine, il ruolo di mediatore internazionale svolto dall’Italia nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Il memorandum italiano ottenne solamente reazioni negative da parte delle cancellerie a cui era stato inviato ma, nonostante ciò, Palazzo Chigi continuò ad insistere sulla tesi del ritorno dell’Italia in Africa quale amministratrice unica delle sue ex colonie.

Un punto di svolta per l’opinione pubblica e i partiti politici italiani venne nei primi mesi del 1946, con una più ampia sensibilizzazione verso la questione coloniale che poteva essere utilizzata dal governo come nuovo mezzo di pressione. In questa direzione fu molto attivo il Ministero dell’Africa Italiana che svolse all’interno un’azione di propaganda che trovò un buon sostegno in talune istituzioni culturali, nelle associazioni di profughi e in certi gruppi economico-finanziari che avevano lasciato vasti interessi in Africa. Vennero incoraggiate le pubbliche manifestazioni dei profughi126 e alle associazioni di rimpatriati dall’Africa fu suggerita l’opportunità di inviare al Consiglio dei Ministri degli Esteri ordini del

123

Atti della Consulta Nazionale. Discussione dal 25 Settembre 1945 al 9 Marzo 1946, Tip. della Camera dei Deputati, Roma 1946, pp. 96-98; cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., p. 211.

124

Giuliano Cora era stato Ministro ad Addis Abeba nel periodo fascista. Nel dopoguerra era fra i più ascoltati consiglieri del governo in materia coloniale.

125

Per una lettura integrale del memorandum si veda Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 157-159.

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Il primo Congresso nazionale dei profughi d’Africa si svolse a Roma nel Febbraio 1946 e fu seguito da pubbliche manifestazioni dei profughi nelle principali città.

giorno, appelli, telegrammi, messaggi, ecc., mentre le rappresentanze all’estero furono invitate a svolgere un’azione di propaganda presso le collettività locali127.

Tra le istituzioni culturali, particolarmente attivo fu il Centro di studi coloniali di Firenze che organizzò un convegno dal 29 al 31 Gennaio 1946, dedicato all’esame di alcuni aspetti dell’azione italiana in Africa riguardante: la colonizzazione agricola; la politica indigena; i rapporti economici tra madrepatria e colonie; gli studi coloniali in Italia e, infine, vennero approvati alcuni ordini del giorno. La mozione finale ribadiva i seguenti punti:

a) l’Italia si era insediata nelle sue modeste colonie africane con il pieno e preventivo accordo delle grandi potenze, svolgendovi una proficua opera di avvaloramento; b) le ragioni che avevano spinto le potenze a consentire la cooperazione italiana nel continente africano erano ancora valide;

c) l’Italia, con i suoi quarantacinque milioni di abitanti, non poteva vivere senza un minimo di respiro coloniale;

d) non venisse inflitta al popolo italiano l’umiliazione di essere privato dei frutti del proprio lavoro;

e) si consentisse all’Italia di restare in Africa nell’interesse dell’Italia non meno che del progresso africano e della pace mondiale128;

Anche i grandi giornali di opinione come «Il Messaggero», «Il Tempo», «Il Corriere d’Informazione», «Il nuovo giornale d’Italia», pubblicarono molti articoli sull’Africa e sulle colonie italiane ma nacquero, in questi mesi, periodici e bollettini finanziati dalle associazioni di profughi o da gruppi di interesse, come «La voce dell’Africa», «Il Pioniere» e il «Notiziario della Associazione fra le Imprese Italiane in Africa». Queste riviste erano nate con lo scopo di influenzare l’opinione pubblica, trattando esclusivamente la questione delle colonie italiane riguardo il loro futuro status politico e il ritorno dei profughi in Africa.

In questo periodo furono più frequenti le dichiarazioni dei leader di ogni tendenza politica che andavano a coincidere con la posizione ufficiale del governo mentre i giornali di partito dedicavano al problema uno spazio sempre maggiore.

127

Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 211-212.

128

Università degli Studi di Firenze, Centro di Studi Coloniali, Aspetti dell’azione italiana in Africa, Firenze 1946. Atti del Convegno di studi coloniali (Firenze, 29-31 Gennaio 1946); cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., p. 213.

Pietro Nenni, nella doppia veste di segretario del Partito socialista italiano e di vice Presidente del Consiglio, durante i suoi colloqui con Bevin riaffermò l’aspirazione italiana a conservare almeno l’amministrazione fiduciaria delle sue colonie mentre, in un discorso a Genova, il 4 Febbraio, aveva accusato che la rinascita economica del Mezzogiorno fu sacrificata all’imperialismo africano aggiungendo: “Senonché ingenti mezzi sono stati impiegati nelle colonie e l’Italia ha un interesse primordiale a difendere in Africa il lavoro e i lavoratori italiani senza fare ostacolo al solo programma legittimo e giusto: l’Africa agli africani”129. Nel discorso pronunciato al Congresso socialista di Firenze, l’11 Aprile, Nenni ripeté: “Siamo stati contro tutte le guerre coloniali e consideriamo suprema opera di civiltà favorire l’emancipazione e l’indipendenza delle popolazioni africane. Non abbiamo opposizione di principio contro il trusteeship, specialmente se applicato a tutte le colonie europee in Africa o in altri continenti. In Libia come in Eritrea noi abbiamo soltanto da difendere gli interessi dei contadini e dei lavoratori italiani pionieri di civiltà”.

Inaugurando la campagna elettorale il 5 Maggio 1946 a Roma, Nenni premise che l’epoca coloniale era passata, che l’Africa sarà degli africani nel giro di qualche decennio e che il principio di trusteeship andava interpretato come un primo passo verso l’indipendenza. Infine, all’Italia interessava solo difendere il lavoro degli italiani, concorrere a preparare l’indipendenza dei “territori alla conquista dei quali i socialisti negarono sempre il loro voto”. In altre parole, la posizione assunta dal leader socialista oscillava tra il desiderio di tutelare le posizioni italiane in Africa, alcuni principi ideali e la riaffermata necessità di risolvere in via prioritaria la questione meridionale. “Mezzo secolo fa – proseguì Nenni – ci mandarono nel Mar Rosso a cercare la chiave del Mediterraneo; poi Mussolini per venti anni ha tolto il sonno ai nostri ragazzi raccontando loro che soffocavano nel Mediterraneo e che bisognava ad ogni costo aprirsi una via. Tutte storie. I nostri problemi sono in casa nostra, non fuori. Il più grave è la questione meridionale. Se l’Italia non risolve la questione meridionale, essa può andare in Africa, può conquistare imperi, ma resterà

129

«Avanti!», 5 Febbraio 1946. Si veda anche il corsivo Pro e Contro apparso su l’«Avanti!» del 16 Febbraio 1946. Alle elezioni del 2 Giugno 1946 il Partito socialista ottenne oltre quattro milioni e mezzo di voti (20,7%).

sempre un paese inadeguato a fare non dico una politica imperialista, ma financo una sua politica nazionale”130.

Tesi simili sosteneva il Partito Repubblicano italiano (PRI) che, alle elezioni del 2 Giugno 1946, rappresentava il 4 per cento dell’elettorato, e il cui organo di stampa si occupò assai raramente del problema durante la prima metà del 1946. Dopo l’indifferenza di Pacciardi, su «La Voce Repubblicana» si scriveva che: “è la questione che ci interessa di meno e accetteremmo volentieri la tesi di Bevin, che fosse per il momento accantonata”131. La questione venne presentata in occasione del Congresso del Partito nel Febbraio 1946: “Noi fummo sempre contrari alle imprese coloniali, alle aggressioni imperialistiche…Perciò abbiamo il diritto di dire la verità. Il lavoro degli italiani nelle colonie va rispettato ed apprezzato. E non si può chiamare imperialismo l’emigrazione ed espansione in Africa di pacifici lavoratori che cercano la terra da lavorare e fecondare. Si deve poter continuare a lavorare e operare in Africa come lavoratori liberi, non come schiavi”132. Così, le “ragioni superiori di giustizia internazionale”, considerate come il motivo più valido della restituzione delle colonie all’Italia133, si identificarono, infine, nell’argomento demografico, come appare evidente in questa nota anonima, apparsa su «La Voce Repubblicana» del 1 Maggio 1946: “Il laburismo non riconosce giusto che i lavoratori italiani trovino uno sbocco almeno nelle nostre poco appetibili colonie, dal momento che ogni altra via è loro preclusa ? L’imperialismo britannico ha indubbiamente la sua logica, e saremmo degli ingenui se volessimo contestarla; ma il laburista Bevin che sostiene l’unione di tutti i territori somali sotto l’amministrazione britannica, ci farà la cortesia di dimostrare, non a noi, ma al mondo ignaro, che l’amministrazione coloniale italiana non ha finora giovato alle popolazioni indigene…I vincitori si spartiscono pure le spoglie delle colonie italiane, se lo credono opportuno, ma ai lavoratori italiani aprano le vie del libero, dignitoso, fecondo lavoro in tutti i paesi dove la terra è ricca e immensa, e la popolazione è scarsa. Questo è il vero problema coloniale italiano”134.

130

Pietro Nenni, Una battaglia vinta, Edizioni Leonardo, Roma 1946, pp. 106-107 e 142.

131

Anon., Verso il trattato di pace, «La Voce Repubblicana», 7 Febbraio 1946, p. 1.

132

C. Facchinetti, Intervento di C.Facchinetti sulla politica internazionale al Congresso del Partito Repubblicano, in «La Voce Repubblicana», 3 Febbraio 1946, p. 1.

133

E. Terracini, La pace e l’Italia, in «La Voce Repubblicana», 23 Aprile 1946, p. 1.

134

La Democrazia Cristiana (DC) che, secondo i risultati elettorali del 2 Giugno, rappresentava buona parte dell’opinione pubblica italiana, a parte l’intervento alla Consulta Nazionale di Cingolani il 16 Gennaio e le numerose dichiarazioni di De Gasperi, trovò un buon oratore in Don Luigi Sturzo che tornò molte volte su questo argomento sulla rivista «Nazioni Unite», in cui motivava l’attribuzione del trusteeship all’Italia sulla base degli interessi economici poiché “il paese fiduciario se non vi ha interessi propri e diretti, non potrà essere obbligato ad anticipare denaro a vuoto…e il paese mandatario dovrà considerare la colonia come paese che fa parte del proprio complesso economico, altrimenti la colonia andrà in malora”135. Successivamente, Don Sturzo ricorda, inoltre, il cospicuo numero di italiani nelle tre colonie e il problema demografico che veniva, anche in questo caso, collegato al problema di trovare sbocchi alternativi. Infatti, “le colonie non hanno un interesse economico decisivo, ma rappresentano quelle sole terre dove l’italiano potrà emigrare trovando ancora le sue leggi e la sua bandiera, visto che la Tunisia è chiusa per gelosie oggi ingiustificate, e che la ripresa dell’emigrazione in buone condizioni sarà ritardata per lungo tempo dalle difficoltà ed incertezze dell’economia mondiale”136. Non meno importante per Don Luigi Sturzo era la funzione di equilibrio che l’Italia aveva all’interno del bacino del Mediterraneo, “il mare di tutti in pacifica convenienza”137. Anche «Il Popolo» appoggiava la tesi ufficiale, rilevando che “essa avrebbe dovuto essere accolta fin dal primo momento. Si sarebbe così reso subito giustizia al nostro paese e si sarebbe evitato di sollevare, fra i tanti, un altro problema che ha palesato l’esistenza di profondi dissensi fra le maggiori potenze”138.

135

«Nazioni Unite», 1 Febbraio 1946: articolo ripubblicato con il titolo La sorte delle colonie italiane, in, La mia battaglia da New York, Garzanti, Milano 1989, pp. 401-405; cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., p. 218.

136

Dichiarazione rilasciata all’«INS» il 7 Marzo 1946 e ripubblicata con il titolo Per una vera pace con l’Italia, ivi, pp. 408-410; cfr. Ivi.

137

Commentando la rinuncia russa alla Tripolitania Don Sturzo scriveva: “C’è per la Russia un tale interesse verso Trieste fino ad abbandonare (o fingere di abbandonare) la richiesta di Tripoli e del Dodecanneso” (Le sorti dell’Italia a Parigi, in «Il Mondo», New York; articolo ripubblicato in La mia battaglia da New York, cit., p. 413). Già in precedenza Don Sturzo aveva respinto le accuse di cattiva amministrazione coloniale in epoca prefascista rivolte da alcuni all’Italia in Inghilterra e negli Stati Uniti; cfr. Ivi.

138

Anche il Partito liberale italiano (PLI) era deciso a sostenere il diritto italiano al trustreeship singolo sulle colonie, dato che aveva reagito vivacemente alle pessime notizie diffuse all’epoca della Conferenza di Londra. All’interno della Consulta nazionale, dopo le dichiarazioni di De Gasperi del 29 Settembre 1945, era stato Luigi Einaudi a sollevare la questione il 16 Gennaio 1946, durante il dibattito sulle questioni di politica estera, in conseguenza dell’esposizione del Ministro De Gasperi del 12 Gennaio che non conteneva alcun riferimento alle colonie. Einaudi, premettendo di non essere mai stato un colonialista e di essersi sempre battuto contro l’imperialismo, cercò di dimostrare il diritto/dovere dell’Italia a partecipare all’attuazione dell’amministrazione fiduciaria, incentrando il suo intervento sulla tesi che l’Italia aveva soddisfatto proprio quei principi che sarebbero stati poi sanciti nella Carta di San Francisco, riportando dati statistici relativi allo sviluppo delle colonie da parte italiana. Rigettava in maniera netta un ritorno delle colonie sotto sovranità italiana e l’amministrazione fiduciaria di più stati perché le riteneva soluzioni contrarie all’interesse delle popolazioni autoctone. Rimaneva il trusteeship singolo all’Italia, più consono “all’elevazione dei popoli indigeni, in guisa che essi meritino di diventare indipendenti e conservino con la madrepatria quei vincoli di affetti…e di interesse che noi avremmo potuto e saputo creare nel tempo in cui ne eravamo i tutori”139.

Il giornale del partito, «Risorgimento Liberale», in alcuni articoli, partendo dal presupposto che le grandi potenze nutrivano nei riguardi delle colonie italiane, aveva sottolineato che la presenza di comunità italiane avrebbe costituito una “fonte continua di serie preoccupazioni per chiunque voglia stabilirvi le basi avanzate della sua sicurezza imperiale. Perciò il meno che ci si possa attendere da un’amministrazione nominalmente fiduciaria ma in realtà strategica e imperiale delle nostre colonie da parte di una grande potenza straniera, è la estromissione dolce o violenta della popolazione coloniale italiana”140. L’articolo fa riferimento alla Gran Bretagna, che aveva tutto l’interesse al mantenimento dello status quo.

Il Consiglio nazionale del Partito liberale, in un ordine del giorno approvato il 22 Giugno, dopo aver ricordato i vari sacrifici effettuati dall’Italia per la conquista e la valorizzazione delle sue colonie, esprimeva l’auspicio che “il governo italiano, in

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