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La guerra in Libia, l’ultima conquista coloniale dell’Italia prefascista

3.1 Il colonialismo italiano: dai primi possedimenti all’Impero fascista (1882-

3.1.2 La guerra in Libia, l’ultima conquista coloniale dell’Italia prefascista

La penetrazione italiana in Africa Orientale aveva suscitato la ferma opposizione di buona parte della stessa borghesia e del parlamento, oltre che delle forze socialiste ma, a distanza di quindici anni dalla disfatta di Adua, la conquista della Libia fu appoggiata da un fronte compatto, formato dalla stampa e dalle forze politiche borghesi, provocando dubbi e scissioni nel Partito Socialista. Tutto ciò si spiega con lo sviluppo della politica estera e della situazione interna dell’Italia, dato che la Libia era un paese poverissimo, dal traffico commerciale molto modesto, e

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Ibid., p. 30.

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non portava alcun vantaggio reale per l’economia italiana. Il valore del territorio libico per l’Italia consegue dal fatto che era l’unica regione dell’Africa settentrionale ancora disponibile, dopo che la Francia aveva messo le mani sull’Algeria e sulla Tunisia e la Gran Bretagna sull’Egitto. Più volte le due potenze europee offrirono la Libia al governo italiano, che venne rifiutata, limitandosi a concludere una serie di accordi bilaterali con i maggiori stati del vecchio continente per riconoscerne i diritti sul territorio libico. Per dare solidità alle richieste italiane ci sarebbe voluta una presenza economica nel paese, per la quale il governo incaricò intorno al 1905 il Banco di Roma, legata al Vaticano, per penetrare finanziariamente in Libia ma fu un fallimento per la logica ostilità delle autorità locali e il dilettantismo dei banchieri italiani. La vera spinta alla conquista libica venne dalla situazione interna dove il forte sviluppo industriale del primo decennio del Novecento aveva acutizzato i conflitti di classe. Le destre chiedevano una politica estera di prestigio per distrarre l’opinione pubblica dai contrasti interni, provocando un aumento delle spese militari e delle commesse statali all’industria pesante ed assicurato nuovi mercati in esclusiva alle esportazioni italiane. La povertà del territorio libico passava in secondo piano perché avrebbe intanto segnato una sconfitta del movimento operaio, avrebbe mobilitato più facilmente l’opinione pubblica data la sua vicinanza alla penisola e la sua stessa scarsezza economica diventava garanzia di un’occupazione tutt’altro che difficile9.

L’invasione della Libia rappresentò il culmine di una manovra di politica interna, che vide il ruolo di punta assunto dai grandi quotidiani e dai loro inviati speciali che condussero una campagna di falsificazione e leggerezze, sistematicamente volta ad illudere i lettori sulla facilità e la convenienza dell’impresa. Il governo Giolitti, trascinato dalla propaganda, inviò il 26 Settembre 1911 un ultimatum alla Turchia per la cessione della Libia all’Italia e, in mancanza di risposta, quest’ultima inviò 35.000 soldati per conquistare le città costiere di Tripoli, Tobruk, Derna, Bengasi e Homs e, nonostante le difficoltà per la presa di queste città inviando 100.000 soldati ed imponendo la legge marziale, dichiarò l’annessione della Libia il 5 Novembre 1911. La battaglia continuava e la situazione italiana non migliorava malgrado l’occupazione di Zuara e Misurata e una serie di conquiste territoriali anche se, dopo un anno dall’inizio dell’occupazione militare, non si era ancora usciti dalle oasi costiere e la resistenza araba non accennava a desistere. La

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pace italo-turca firmata a Ouchy, in Svizzera, il 18 Ottobre 1912, pur assicurando all’Italia il dominio della Libia, conteneva diverse concessioni alla Turchia, che rinunciava ai suoi diritti sul paese senza per questo riconoscere quelli italiani. Il trattato di pace fu ratificato dal parlamento italiano, il 20 Novembre fu costituito il Ministero delle Colonie e il 9 Gennaio 1913 vennero creati i due governi della Tripolitania e della Cirenaica, entrambi dipendenti direttamente da Roma. Le forze politiche e l’opinione pubblica seguirono questi avvenimenti con un crescente distacco, dato che era stato ottenuto tutto quello che si poteva ricavare per la politica interna con la vittoria delle destre e una battuta d’arresto per il movimento operaio10.

La pace con la Turchia sembrò segnare la fine delle ostilità dato che i contingenti arabi inquadrati dai turchi vennero sciolti e le colonne italiane occuparono rapidamente la Tripolitania settentrionale, approfittando della stanchezza delle popolazioni che avevano duramente sofferto per la guerra e l’arresto dei traffici locali. In Cirenaica, invece, gli italiani si limitarono all’occupazione dei maggiori centri costieri come Bengasi, Derna e Tobruk, riconoscendo di fatto il potere nell’interno della Senussia11, un’organizzazione politico-religiosa irradiata nel Nord Africa. Questa politica di compromesso fece si che, dalla pace di Ouchy agli anni venti, la Cirenaica godesse di una relativa tranquillità, sancita dagli accordi di Acroma dell’Aprile 1917, in cui fu abbozzata una divisione territoriale del paese tra governo italiano e la Senussia. Nella regione tripolina, invece, fu intrapresa la sistemazione burocratica dei territori occupati e contemporaneamente avviata la conquista dell’interno e nella Tripolitania settentrionale fu impiantata un’amministrazione vessatoria e ignara delle esigenze locali che irritò notevolmente la popolazione. Il risultato ottenuto fu la ripresa della rivolta araba e, in pochi giorni, alla fine del Novembre 1914, i presidi conquistati dal colonnello Miani nel Fezzan furono sopraffatti e le forze italiane costrette a ripiegare sulla costa. Il nuovo governatore, gen. Tassoni, si propose di ristabilire la situazione attraverso rappresaglie che ebbero l’effetto di far sollevare la popolazione in tutta la

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Ibid., pp. 63-65.

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Comunità spirituale il cui nome discende da Muhammad ibn ‘Alī as-Sanūsī (1787-1859), noto con il nome di as-Sanūsī al-Kabīr, il grande senusso, fondatore nel 1837 della confraternita religiosa musulmana presso La Mecca. Si spostò poi in Egitto e in Cirenaica dove costituì, senza titolo ufficiale di regno, uno stato territoriale con capitale Giarabub. Al grande senusso successe suo figlio Muhammad al-Mahdī (1844-1902), a cui susseguì Muhammad Idrīs (1890-1983) che diverrà con l’indipendenza sovrano di Libia fino al 1969.

Tripolitania, comportando la distruzione dei presidi militari italiani che ridussero, alla metà del Luglio 1915, la presenza italiana alle città di Tripoli e Homs. Le dimensioni del disastro furono tenute segrete al paese dalla censura e dall’intervento italiano nella Grande Guerra12.

Alla fine della Prima guerra mondiale, l’Italia cercava continuamente il dialogo con i Senussi, grazie anche alla figura moderata di Mohammed Idris, che si concluse nell’Ottobre 1920 con la stipula degli accordi di er Regima in cui il governo italiano riconobbe allo stesso Idris il titolo di emiro dei Senussi e rango di sovrano, sovvenzionandolo largamente. Quest’ultimo, a sua volta, riconosceva la sovranità italiana sulla Cirenaica, ma conservava l’amministrazione autonoma delle oasi e delle regioni semidesertiche, nonché il diritto di tenere in armi forze relativamente importanti. Con questi accordi il governo italiano sembrava rinunciare ad un dominio diretto sul territorio cirenaico, puntando ad una penetrazione pacifica tesa a sfruttare le poche ricchezze esistenti. Molto più complesse furono le vicende tripoline, dove il precario equilibrio tra i capi tribù locali non permise la creazione di un organismo politico-militare che organizzasse la resistenza anti-italiana. Tale divisione avrebbe potuto facilitare la riconquista della regione libica, ma le autorità italiane decisero di difendere le città occupate fino al 1918 tentando poi la via di un accordo, cessando le ostilità e proclamando il 1 Giugno 1919 uno statuto liberale per la Tripolitania. Questo ordinamento prevedeva larghe autonomie locali e l’elezione di organi rappresentativi, mettendo sullo stesso piano libici e italiani abolendo ogni discriminazione e, per quanto potesse essere importante per la convivenza tra arabi e italiani, non entrò mai realmente in funzione e fu superato molto prima della sua abolizione con il regime fascista13.

Negli ultimi anni dell’Italia liberale si avvia nuovamente una politica di affari, portata avanti dall’Agosto 1921 dal nuovo governatore Volpi, una personalità importante nel mondo economico-finanziario che doveva riprendere il modello adottato all’inizio del secolo, con il fallimento del Banco di Roma. Il nuovo governatore intendeva valorizzare le risorse della Tripolitania attraverso l’applicazione dello Statuto nella zona assoggettata e la ricostruzione di un legame economico tra italiani e tripolitani. Nel Gennaio 1922 Volpi volle riprendere il controllo di Misurata, importante centro sulla costa tripolina, provocando la rivolta

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Rochat, Il colonialismo italiano, cit., pp. 67-68.

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delle popolazioni locali e le ripercussioni di tale evento portarono l’esecutivo italiano verso un nuovo intervento militare per pacificare la zona, trasformandosi in una vera e propria campagna repressiva. Le ragioni di questi rapidi successi sono da ricercare nella divisione delle forze arabe, incapaci di un coordinamento organico e nella stanchezza delle popolazioni, logorate da anni di guerra e di blocco economico, ma soprattutto nel salto di qualità operato dagli italiani nella condotta delle operazioni militari. Il ritorno ad una politica di forza in Libia fu deciso dalla riscossa delle forze di destra in Italia, portata successivamente avanti con profitto dal regime fascista che non avrà pietà delle popolazioni indigene che verranno colpite duramente per la conquista e la creazione dell’Impero14.

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