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La Conferenza di Londra (Settembre-Ottobre 1945)

3.2 Il futuro dei possedimenti italiani in Africa (1941-1949)

3.2.3 La Conferenza di Londra (Settembre-Ottobre 1945)

Il Consiglio dei ministri degli Esteri, istituito in base alla Dichiarazione di Potsdam, si riunì a Londra, a Lancaster House, dall’11 Settembre al 2 Ottobre 1945

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Ibid., pp. 95-100.

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per l’elaborazione dei trattati di pace41. Già nella prima riunione, i Ministri degli esteri42 incontrarono qualche difficoltà sulla procedura e sul programma delle discussioni. Riguardo al trattato di pace italiano, si convenne subito che esso venisse dibattuto per primo e che il futuro delle colonie risultasse esaminato in relazione ad esso. Secondo un memorandum procedurale, presentato il 12 Settembre dalla delegazione americana ed approvato da quella sovietica, con lievissime modifiche, l’Etiopia, la Jugoslavia e la Grecia sarebbero state invitate ad esporre oralmente il loro punto di vista sugli aspetti della sistemazione italiana di loro particolare interesse. Successivamente, in seguito a discussioni tra i delegati supplenti, venne deciso di invitare i Governi di tutti i paesi in guerra con l’Italia soltanto a presentare i loro punti di vista per iscritto43.

La questione coloniale iniziò ad essere affrontata durante la quarta riunione del Consiglio, il pomeriggio del 14 Settembre, sulla base di un indicativo memorandum statunitense che non escludeva, come prevedeva un documento britannico di alcuni giorni prima, la preventiva rinuncia dell’Italia ai suoi possedimenti africani e il rinvio della decisione, indicando l’opportunità di un accordo tra le grandi potenze, relativamente alla loro temporanea amministrazione. Sempre nella stessa riunione, Byrnes propose un trusteeship collettivo sulle ex colonie italiane poiché, se in un primo tempo si mostrò favorevole al ritorno dell’Italia tramite l’amministrazione fiduciaria, successivamente cambiò opinione a causa del timore delle mire sovietiche nel Mediterraneo dato che, il trusteeship singolo all’Italia, apparve rafforzare indirettamente la richiesta sovietica, già avanzata a Potsdam, di un’amministrazione fiduciaria temporanea e singola all’URSS, sotto il controllo delle Nazioni Unite. Infine, non era opportuno che l’Italia riassumesse l’onere finanziario di amministrare questi territori nello stesso

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A riguardo del trattato di pace italiano le questioni sul tavolo erano quattro: Trieste, il confine italo- jugoslavo, la sistemazione del Dodecanneso e delle colonie, le riparazioni. Si ricorda, inoltre, che in un messaggio a Byrnes dell’Agosto 1945, Bevin mostrava di voler considerare la questione delle colonie italiane come a se stante rispetto all’elaborazione del trattato. Contrario a questa tesi si dichiarò Byrnes nella sua lettera di risposta e Bevin finì per acconsentire; cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., p. 105.

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Le delegazioni erano così composte: Byrnes, Dunn, Cohen, J. F. Dulles per gli Stati Uniti; Bevin, Campbell, Clark Kerr, Duff Cooper per il Regno Unito; Molotov, Gusev, Novikoc, Golunski, Pavlov per l’Urss; Bidault, Couve de Murville, Massigli, Fouques-Duparc per la Francia; Wang Shil-Chiel, W. Koo, V. Hoo, H. Tong Yun Chu per la Cina; cfr. Ibid., p. 106.

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momento in cui gli Stati Uniti stavano raccogliendo fondi di soccorso per tale paese44.

Nell’illustrare le proposte statunitensi45, Byrnes osservò che si doveva anzitutto decidere se togliere o no le colonie all’Italia e, una volta esclusa tale opzione, non si doveva dimenticare che nella Carta Atlantica, nella dichiarazione di Mosca e in altre occasioni, le grandi potenze avevano affermato di non cercare vantaggi territoriali e di voler garantire ai popoli del mondo la possibilità di scegliersi la forma di governo sotto la quale desideravano vivere. Il progetto venne accolto con scarso entusiasmo all’interno del Consiglio, se non dal rappresentante del governo cinese, il quale non aveva alcun interesse alla sistemazione della questione, oltre ad auspicare in generale l’idea dell’indipendenza dei popoli coloniali.

La delegazione francese, guidata dal Ministro degli Esteri Bidault, non era entusiasta dei progetti proposti dalle altre delegazioni perché i territori in questione erano di grande importanza per la Francia e non sarebbe stato saggio toglierli all’Italia. A riguardo della proposta americana, obiettò che la Commissione preparatoria dell’ONU non aveva ancora esaminato le modalità di funzionamento dell’amministrazione fiduciaria collettiva ed era più opportuno, per il governo francese, il trusteeship singolo. L’atteggiamento della delegazione d’oltralpe fu scettico per il timore di un inserimento di altre potenze in Libia, al posto dell’Italia, che potesse stimolare il desiderio d’indipendenza delle vicine colonie francesi e per le pretese territoriali nei confronti dell’Italia in Europa, nel caso di Briga e Tenda, e in Africa, con la cessione del Fezzan e di alcune oasi libiche al confine con l’Algeria. A riguardo dei territori siti in Africa orientale, la Francia manteneva un atteggiamento neutro nei riguardi delle ambizioni italiane che etiopiche46.

La delegazione sovietica, al pari di quella francese, si dichiarò contraria al ritorno dell’Italia in Africa e al progetto di trusteeship collettivo statunitense perché avrebbe incontrato seri ostacoli in fase di realizzazione, pur non negando che l’idea

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Ibid., pp. 107-110.

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Sezione III del memorandum: la Libia sarebbe divenuta indipendente nel giro di dieci anni durante i quali sarebbe stata amministrata fiduciariamente sotto l’egida dell’ONU; analogo trattamento per l’Eritrea, ma si suggeriva la cessione all’Etiopia di territorio eritreo per consentire a questa uno sbocco sul Mar Rosso attraverso Assab; la Somalia sarebbe stata sottoposta al regime di amministrazione fiduciaria collettiva, senza che però venisse fissata la data dell’indipendenza; cfr. Rossi, L’Africa italiana verso l’indipendenza, cit., pp. 110-111.

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era valida in quanto salvava il principio di indipendenza di tali territori e assicurava il controllo alle Nazioni Unite, ribadendo il concetto di dare l’amministrazione di questi possedimenti ad un singolo membro dell’ONU. Una volta chiarito questo punto, non restava che avanzare una precisa richiesta sovietica nei riguardi della Tripolitania, l’obiettivo di fondo delle argomentazioni di Molotov, il quale dichiarò senza mezzi termini che il governo sovietico considerava il futuro di questa regione di primaria importanza per il loro popolo e doveva insistere con la richiesta di assumere l’amministrazione fiduciaria di quel territorio. Tale richiesta si basava su tre considerazioni: a) l’Italia aveva attaccato l’Unione Sovietica con dieci divisioni e tre brigate di camicie nere provocando gravi danni; b) l’Unione Sovietica poteva vantare una vasta esperienza in fatto di rapporti amichevoli tra nazionalità diverse; c) l’URSS era ansiosa di avere basi nel Mediterraneo per la sua flotta mercantile, dato che il commercio mondiale si sarebbe sviluppato e l’Unione Sovietica intendeva svolgere in esso la sua parte. Le tesi sovietiche incontrarono le obiezioni delle altre delegazioni, in particolar modo di quella statunitense su alcuni incontri avuti durante il 1945 dall’ambasciatore Gromkyo con l’allora Segretario di Stato Stettinius riguardo un appoggio americano in una eventuale richiesta di amministrazione fiduciaria dell’URSS47.

Il progetto inglese presentato dal Ministro degli Esteri Bevin si rifaceva alle indicazioni ricevute dal governo britannico, ovvero: opporsi a qualsiasi richiesta di trusteeship da parte sovietica; sostenere il progetto della grande Somalia evitando per il momento di proporre il trusteeship britannico; chiedere da subito l’amministrazione fiduciaria sulla Cirenaica ed evitare per il momento quella italiana sulla Tripolitania; chiedere la cessione di parte dell’Eritrea all’Etiopia e il resto del paese al Sudan. Nella seduta del 15 Settembre la richiesta sovietica venne respinta e Bevin ribatté punto su punto le argomentazioni di Molotov, incoraggiato dai governi del Commonwealth, ed in primo luogo dal governo sudafricano48. Entrando nel merito del progetto britannico, Bevin, evitando di accennare al problema libico, propose delle modifiche sostanziali riguardo la Somalia e l’Eritrea suggerendo che la sorte dell’intera regione venisse esaminata dai sostituti, con particolare riguardo per i problemi economici dei tre paesi in questione al fine di promuovere lo sviluppo di questi territori e l’elevamento della loro popolazione.

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Ibid., pp. 116-123.

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Questo cambiamento britannico fu dovuto certamente all’iniziativa sovietica che bloccava ogni possibilità di avanzare proposte sulla Libia ma anche alle incertezze del progetto statunitense che fu si accolto come base di lavoro, ma certificò una certa libertà inglese sugli aspetti più controversi del piano. Una possibile alternativa sarebbe stata la proposta di restituire le colonie all’Italia, aderendo alla tesi francese, ma era ormai acquisita l’idea di privarla delle sue colonie. C’era l’eccezione della Tripolitania, ma il ritorno della penisola in quel territorio era condizionato ad un trusteeship britannico in Cirenaica49.

Durante lo svolgimento della Conferenza di Londra, gli stati direttamente interessati alla soluzione coloniale e non facenti parte del Consiglio dei Ministri degli Esteri, ovvero Italia, Egitto ed Etiopia, non tralasciarono l’occasione per sostenere le proprie tesi attraverso le dichiarazioni di esponenti governativi e di promemoria di contatti diplomatici nelle capitali di grandi potenze vincitrici.

Il governo italiano illustrò il proprio punto di vista già in anticipo, inviando due lettere al Presidente americano Truman e al Segretario di Stato Byrnes il 22 Agosto, a firma del Presidente del Consiglio Parri e del Ministro degli Esteri De Gasperi, al cui interno si ripeteva che le colonie erano un mezzo per assorbire manodopera eccessiva e che non c’era incompatibilità tra questo fine e il metodo fiduciario. Durante la Conferenza e, in seguito a nuove conferme sull’opposizione britannica sull’Eritrea e sulla Cirenaica, si ritenne opportuno insistere con il governo di Londra sulle possibilità di un compromesso tra le parti, concedendo all’Etiopia i porti di Massaua e Assab e costruendo un corridoio per uno sbocco sul mare, rettificando il confine tra l’Eritrea e la Somalia francese. Anche l’ambasciata italiana a Washington fece pervenire al Dipartimento di Stato un promemoria riassuntivo delle idee italiane sulle ex colonie che potevano tornare utili durante l’incontro dei ministri degli esteri50.

Il governo etiopico, già il 24 Agosto, ricevendo i rappresentanti diplomatici delle quattro potenze, ribadì le aspirazioni del proprio paese connettendole alla preparazione del trattato di pace italiano, insistendo nel poter prendere parte alla Conferenza di Londra come parte lesa ed interessata, data la presenza della Jugoslavia all’incontro. Tale richiesta non fu accolta, ma fu consentita la preparazione di un memorandum, e di note da inviare alla Segreteria del Consiglio,

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Ibid., pp. 132-133.

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presentato alla fine di Settembre e costituito di tre punti, per l’Imperatore, fondamentali: a) il governo etiopico escludeva qualsiasi connessione tra le sue rivendicazioni territoriali e le riparazioni chieste all’Italia in conseguenza dell’aggressione del 1935-36, sostenendo che l’Etiopia rappresentava da tempo l’unico sbocco per l’élite eritrea, che già era stata inserita nell’amministrazione dell’Imperio etiopico, come dimostrava l’appendice allegata contenente l’elenco dei funzionari ed impiegati eritrei al servizio del governo di Addis Abeba; b) si può rilevare che le richieste etiopiche erano ben più fondate nei riguardi dell’Eritrea che della Somalia e si può supporre che l’Etiopia adottasse la tattica di chiedere di più allo scopo di raggiungere degli obiettivi più plausibili; c) non può considerarsi del tutto infondato il riferimento ad un impegno britannico circa la riunificazione dell’Eritrea all’Etiopia al termine del conflitto51.

Il governo egiziano, in quanto non belligerante con l’Italia, era stato escluso dall’elenco dei paesi invitati ad esprimere un parere scritto sulla questione ma, grazie alla mediazione britannica, il 19 Settembre il problema fu risolto positivamente per l’Egitto. Nei riguardi dell’Eritrea, il paese nordafricano aveva un interesse non diretto, condizionato alla sistemazione futura del Sudan anglo-egiziano che l’Egitto sperava di annettersi, chiedendo la cessione dell’area del Keren al primo e per sé il porto di Massaua a titolo di restituzione. Nei confronti della Libia c’era un interesse diretto e, già il 12 Settembre, il governo egiziano aveva inviato una nota al Consiglio dei ministri degli Esteri nel quale si chiedeva che i desideri del popolo libico venissero accertati attraverso un plebiscito, divergendo leggermente dal punto di vista della Lega araba che chiedeva l’indipendenza immediata, precisando che il periodo di preparazione doveva essere affidato a lei stessa o ad un paese arabo. L’idea di una nazione libica veniva ribadita anche da Idris, rilanciando il suo progetto di un Emirato sull’intera Libia, contrastato da molti leader tripolitani e dalla ferma intenzione britannica di non ricostruire l’unità libica, controbilanciato dalla netta opposizione di un ritorno italiano in Tripolitania che offriva ad Idris un appiglio per realizzare il suo programma nazionale e preoccupava Londra, che non poteva permettersi di ignorare i sentimenti del mondo arabo in merito alla definitiva sistemazione politica della Libia52.

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Ibid., pp. 140-146.

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La Conferenza di Londra si concluse il 2 Ottobre senza raggiungere un accordo sulle questioni pendenti del trattato di pace italiano e, a riguardo delle colonie, già dalle prime riunioni le discussioni si arenarono a causa degli interessi politico-militari delle quattro potenze, come l’antagonismo sviluppatosi tra questi paesi nel Mediterraneo e in Medio Oriente oppure per impegni presi durante la guerra, mettendo all’ultimo posto le indicazioni fornite dai paesi direttamente interessati alla questione. La divergenza di vedute era dunque troppo grande perché si potesse giungere ad un accordo. Solo su un punto, al termine della sessione di Londra, i Ministri degli Esteri raggiunsero un compromesso: le colonie italiane dovevano essere sottoposte al regime di amministrazione fiduciaria previsto dalla Carta dell’ONU, mentre restava impregiudicata la questione della forma che esso avrebbe dovuto assumere53.

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