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3. Il paradigma coloniale indocinese

3.5 Il colonialismo: la modernità distorta

Se per modernità intendiamo l’imporsi di un nuovo modo di produzione che, in forza della propria superiorità tecnica, organizzativa e, di riflesso, militare, riesce a soppiantare i precedenti, e se nel colonialismo e nell’imperialismo moderno individuiamo l’azione dello stato che si fa portatore degli interessi di coloro i quali vogliono, per meri fini privati, che tale nuovo modo di produzione si affermi e s’allarghi, si può allora individuare nel colonialismo la modernità distorta. Il caso Indocina francese è assolutamente in linea con gli altri casi coloniali. La modernità è distorta perché imposta dall’esterno, con la forza delle armi, e perché non nasce da un endogeno processo di accumulazione e di trasformazione sociale. La modernità è distorta perché il territorio non ne subisce l’azione in maniera uniforme. La modernità è economica, ma anche sociale e politica.

In Indocina i francesi arrivarono per caso. Prima della Francia l’Indocina non esisteva; almeno, non nel senso che intendiamo oggi91. Esisteva il Viet Nam, con l’etnia kinh e le sue minoranze, esisteva la Cambogia, sempre più schiacciata tra i due giganti, il Siam e il Viet Nam, esistevano le tribù, coi loro capi, del Laos. Ma poi, dalla seconda metà del XIX secolo, la storia europea, ormai storia mondiale, si è incontrata e scontrata con la storia dell’Asia, e si è imposta: in questo senso la storia europea è diventata storia mondiale. Ha imposto il proprio modo di produzione e i propri interessi a popolazioni altre.

Le economie e le società reagirono, in Indocina, in maniera diversa. Nel Nam Bo, le terre vergini, la scarsa pressione imperiale di Hue, le favorevoli condizioni climatiche, permisero la nascita dei latifondi agricoli, la messa a coltura del caucciù, del tè, del

88 Il tentativo non arrivò a nessun risultato. Duy Tan ed il padre furono esiliati nell’isola Réunion,

nell’Oceano Indiano. Cfr. DANIEL GEORGE EDWARD HALL,cit., p. 931

89

S.M. Bao Dai, Le Dragon d’Annam, Plon, Paris 1980, p. 121

90 P

IERRE BROCHEUX,DANIEL HÉMERY, cit., p. 276

91 Cfr. H

EMERY DANIEL, "Inconstante Indochine… L'invention et les dérives d'une catégorie gégographique", Outre-Mers Revue d'histoire 1er semestre 2000, pp. 137-158, e CHRISTOPHER

E.GOSCHA, Vietnam or Indochina – Contesting concepts of Space in Vietnamese Nationalism, 1887-1954, NIAS Report No. 28, Copenhagen 1995

caffè92. I commercianti cinesi fecero il resto. Nel Trung Bo le scarse possibilità di sviluppo agricolo e la presenza della corte vietnamita fecero propendere per una gestione concordata del potere. I francesi assegnarono alla monarchia un ruolo: il pupazzo dietro cui potevano nascondersi coloro i quali prendevano le decisioni. Nel Bac Bo, invece, la vicinanza alla Cina, le risorse minerarie, l’attivismo economico di Hanoi, la creazione di Haiphong portarono ad un ruolo diretto del capitale e delle forze francesi. In Cambogia, la difficile possibilità di sfruttamento economico e la presenza di una monarchia innocua fecero optare per un protettorato con a capo, nominalmente, la corte di Phnom Penh. Il Laos, infine, nominalmente riunificato e sotto controllo, servì a difendersi dalle rivendicazioni siamesi e inglesi.

Ma gli effetti, anche all’interno delle singole regioni, non furono univoci. Al fianco del minatore, del lavoratore delle piantagioni, del contadino senza terra del latifondo, sopravvivevano intatti vecchi modi di produzione, vecchie strutture sociali, vecchie figure sociali. Qua sta il nocciolo dell’economia duale, sfaccetatura ulteriore della modernità che distorce. Si calcola che gli operai, inesistenti sino alla seconda metà del XIX secolo, abbiano raggiunto nel 1929 la cifra di 221.05293. Il numero va rapportato ad una popolazione, solamente nel Viet Nam, di poco più di 17 milioni e mezzo94. Oltre agli operai veri e propri, poi, bisogna aggiungere, sempre tra gli effetti della modernità che distorce, anche la nascita di quel variegato mondo semi-proletario che si annidava nelle città, nel porto di Haiphong, e che viveva al servizio diretto dei coloni. La cifra sale, ma non di molto. La grande maggioranza della popolazione rimase nei villaggi che, seppur trasformati, resistettero al nuovo e sopravvissero. I contadini, sottoposti alle vessazioni dei monopoli, all’aumento delle tasse, ai soprusi dei francesi e dei cinesi, assistettero e parteciparono al tentativo, perdente in partenza, di opposizione del proprio rappresentante, il mandarino. Sconfitto il mandarino, il contadino vide i propri punti di riferimento progressivamente scomparire, combattuto tra l’idea di abbandonare l’amato villaggio per un futuro incerto, e la fame che cresceva. Si creò un vuoto di potere, che non venne coperto dai francesi. Ancor più importante, le condizioni materiali di vita dei containi peggiorarono nel corso del periodo coloniale. Al fianco di un aumento della produzione, agricola innanzitutto, il consumo procapite non aumentò, anzi diminuì. Ma la presenza francese non fu solo economica. Una nuova entità nacque: l’Indocina. Le strade, sia principali che di campagna, collegarono zone prima raggiungibili al prezzo di grandi sacrifici, e le strade ferrate, per la prima volta, concretizzarono la possibilità di un incontro fecondo tra il sud e il nord del Viet Nam. L’organizzazione amministrativa portò ad unità una regione. Prima dei francesi, la Cambogia e il Laos avevano con il Viet Nam lo stesso tenore di rapporti che intrattenevano con il Siam. Il giogo coloniale, tuttavia, li legò strettamente, in rapporti storici nuovi.

92 Nel Nam Bo la colonizzazione viet non era sedimentata a tal punto da far si che non esistessero terre

non messe a coltura, così come nel Bac Bo. Questo facilitò l’acquisto di larghi appezzamenti di terreno da parte di coloni e di ricchi vietnamiti, e la nascita del latifondo

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Non è possibile avere la cifra esatta delle persone che abbandonarono il lavoro nei campi per andare a lavorare in una fabbrica, in una miniera o in una piantagione. Le terribili condizioni di lavoro, la scarsa disciplina, la stagionalità dell’impiego, e la volontà dei padroni di non legarsi in maniera troppo stretta con i lavoratori determinarono un continuo turn-over dei lavoratori. Inoltre, moltissimi lavoratori non vennero mai denunciati alle autorità competenti, che pure non avevano un interesse particolare a far rispettare le normative. Si noti che sono nel 1936 vennero emanate delle norme che regolavano gli orari di lavoro, il divieto di lavoro notturno per le donne e i bambini, il riposo settimanale e la ferie pagate annuali etc. Cfr. J-P. AUMIPHIN, cit, pp. 221 e 229

94

TONG CUC THONG KE, So Lieu Thong Ke Viet Nam, Ha Noi, 2004, GENERAL STATISTICS OFFICE,

L’Indocina, anche dopo i francesi, divenne una categoria con cui confrontarsi, che esisteva nella realtà della vita economica, sociale e culturale95. Le differenze religiose, sociali, politiche, lasciarono il passo al pezzo di strada compiuto assieme.

La società vietnamita non è mai stata statica. Il villaggio, al cui interno la vita sociale è l’essenza stessa dell’esistenza umana del singolo, collegava la sua vita agli altri villaggi e dipendeva, dal punto di vista militare, dell’indipendenza e della sopravvivenza, dal potere centrale. La vita materiale e sociale, e le mille scuole di villaggio ricordavano e rendevano mito le lotte per l’indipendenza dagli invasori, cinesi innanzitutto. La struttura sociale e politica non ammetteva forze superiori o esterne: l’imperatore era l’imperatore del sud, e derivava tutta la sua autorità dall’indipendenza del paese.

In questo contesto, l’avventura coloniale francese non poté essere accettata passivamente. I mandarini, rappresentanti del popolo e dell’idea di monarchia, si ribellarono all’invasore in nome del realismo e della tradizione. Il popolo rispose, ma il movimento perse in quanto movimento di retroguardia, incapace di guardare al futuro e di rendersi conto della “mondializzazione” delle relazioni internazionali. Alcuni mandarini videro nella Francia una nuova Cina, cioè un nuovo impero di mezzo che non voleva esercitare la sovranità, ma semplicemente essere riconosciuta come “potenza superiore”. Niente di più sbagliato. La Francia faceva parte di un’altra storia, una storia europea, che si scontrava e si imponeva sulla storia asiatica. I vietnamiti ebbero bisogno di trent’anni, e di due generazioni, per accorgersene e per mettere a punto gli strumenti atti a liberare il paese dall’invasore. Complice, guarda caso, proprio una situazione internazionale favorevole.

95

Sul caso del Laos, che mantenne un rapporto speciale con la Thailandia, cfr. CHRISTOPHER E.GOSCHA, SØREN IVARSSON (edt.), cit.

4. Nazionalismo, radicalismo e comunismo, tra lotta per l’indipendenza