4. Nazionalismo, radicalismo e comunismo, tra lotta per l’indipendenza e questione sociale
4.3 Il radicalismo, il nuovo contesto sociale, le altre risposte
Gli esami confuciani vennero aboliti nel 1919. Fu la fine della secolare modalità di riproduzione dell’élite culturale vietnamita. I vietnamiti, grazie al confucianesimo, erano riusciti a creare una nazione, unificata territorialmente, amministrativamente e culturalmente. La fine degli esami confuciani fu la fine del confucianesimo come ideologia di governo. Ormai non dava più le risposte di cui i vietnamiti avevano bisogno.
I francesi erano in Indocina ormai da trent’anni. Non si trattava più di una parentesi. La
mise en valeur cominciava a dare i suoi primi risultati. La fine della prima guerra
mondiale aveva visto soccombere la Germania e vincere l’Impero francese. Non si vedeva la fine dell’impero coloniale.
Le élites vietnamite, per la prima volta, vennero educate non al confucianesimo, bensì ad una nuova cultura intrisa di principi estranei alla tradizione. L’armonia non era più il principio massimo sul quale costruire lo stato e le relazioni politico-sociali. Il darwinismo sociale e il positivismo, ideologia volgare che spiega il progresso e l’evoluzione della storia, agirono in profondità.
Secondo Hue-Tam Ho Tai il darwinismo sociale fece la sua prima apparizione in Viet Nam nel 1904, in alcuni opuscoli del movimento riformatore, che tentava di riprendere l’attività antifrancese dopo la sconfitta del can vuong17. Il darwinismo sociale, con la sua tesi che solamente i migliori riescono a sopravvivere nella società e che proprio per questo la società è in continua evoluzione, dava una spiegazione illuminante sia delle ragioni per cui il paese era stato sconfitto dai francesi, sia dei passaggi che avrebbero dovuto essere intrapresi dai vietnamiti per riconquistare l’indipendenza. Il Viet Nam aveva perso perché inferiore culturalmente, economicamente e militarmente alla Francia. Il confucianesimo, che attraverso il can vuong propugnava il ritorno alla passata armonia, aveva perso perché non aveva, appunto, compreso che la superiorità francese non poteva essere combattuta nel nome di un ritorno al passato.
Il compito immediato, allora, fu riallineare il Viet Nam, culturalmente ed economicamente, ai paesi più avanzati, così da poter partecipare alla pari alla corsa verso il progresso e il benessere. Il darwinismo sociale fu usato anche dai riformisti cinesi. Esso andò di pari passo con il positivismo.
Il positivismo, che trasportava sul terreno storico i concetti del darwinismo, si basava sull’assunzione che la storia poteva essere concepita come una linea che, dal buio del passato, avrebbe portato e stava portando l’umanità, grazie al progresso tecnologico e all’aumento della conoscenza, verso il benessere, di cui avrebbero potuto godere tutti. Il darwinismo sociale ed il positivismo, insieme ad altre ideologie, vennero, nei primi due decenni del Novecento, popolarizzate e fatte proprie da ampi strati sociali che si andarono formando in quegli anni nelle principali città vietnamite. Si trattava principalmente di piccola e media borghesia e, al sud, anche di proprietari terrieri, molti dei quali avevano studiato alle scuole franco-annamite.
Tali gruppi sociali, anche se conoscevano, o per esperienze familiari o per esperienza di vita, il can vuong e l’impostazione confuciana, rifiutavano il passato e cercavano nel presente, e soprattutto nella cultura internazionale, occidentale o cinese, le risposte alla crisi del proprio paese e alle loro precarie condizioni di vita. Essi infatti erano impiegati
17
HUE-TAM HO TAI, Radicalism and the Origins of the Vietnamese Revolution, Harvard University Press, London 1992, p. 20
o nella pubblica amministrazione francese o in aziende private, che operavano peraltro sempre in stretto contatto con i francesi.
Il mancato elemento unificatore della monarchia, la difficoltà degli spostamenti, l’incapacità per un gruppo nazionalista di conquistare l’egemonia determinò un notevole frazionamento regionale del movimento radicale. Esso è ben evidente anche nelle direzioni che prese l’emigrazione: mentre i giovani del sud e del Trung Bo si recarono principalmente in Francia e in Giappone, i giovani promettenti del Nord vennero sempre invischiati, e parteciparono attivamente, nelle vicende politiche e culturali della Cina. I percorsi culturali dei giovani radicali di allora, che furono anche la prima élite di cultura non confuciana che si formò nel Viet Nam, erano talmente diversi, i riferimenti culturali talmente disparati, il legame di classe e d’appartenenza talmente labile, che essi presero le posizioni più disparate. Sia nel Nam Bo che nel Bac Bo molti gruppi nazionalisti non erano nient’altro che un gruppo di amici, i quali si riunivano in un locale o in un ristorante, discutevano sino a notte fonda del futuro della nazione, probabilmente emergevano anche profondi contrasti su alcuni articoli letti sulle riviste più in voga nel momento, e poi si tornava a casa, convinti di essere all’inizio di un percorso che avrebbe portato alla liberazione del paese. Concretamente, il più delle volte, non si faceva niente.
Il ventaglio delle opzioni politiche era il più ampio che si potesse immaginare: si andava dal collaborazionismo più fedele, che usava solamente il francese quale lingua veicolare e disprezzava il quoc ngu e il nom in quanto lingue inferiori, ai teorici dell’anarchismo, dai terroristi che pensavano di rovesciare il regime con un attentato ai collaboratori convinti che la Francia avrebbe traghettato il Viet Nam verso livelli e stili di vita occidentali.
La risposta francese alle nuove domande, di trasformazione socio-economica e di riconoscimento politico, che vennero presentate dalle nuove élite, le prime non devote alla tradizione, fu ambigua e inefficace. La riforma dell’istruzione voluta da Sarraut, seppur non abolita, non fu sviluppata adeguatamente durante gli anni venti. Le elezioni nazionali francesi del 1924, che avevano visto la vittoria di un governo progressista, portarono alla nomina di Alexandre Varenne, socialdemocratico, a governatore generale. Le aspettative furono sin dall’inizio tante, e furono quasi tutte deluse. Dal punto di vista sociale ed economico, in definitiva, a fine anni venti, cioè prima della crisi mondiale, erano pochi coloro, anche tra le élite filo-francesi, che affermavano che Parigi avesse migliorato il Viet Nam.
Dal punto di vista politico, gli ufficiali locali e la censura si dimostrarono relativamente pronti ad accettare una pubblicazione delle élite radicali e a queste dedicata, anche nei casi nei quali questa prendesse delle posizioni chiaramente anti-coloniali. La censura, sia chiaro, operò spesso e in profondità, soprattutto dopo gli eventi del 1926, e però lasciò anche lo spazio per lo sviluppo di posizioni non-allineate.
Vi sono due personaggi, tra loro molto diversi, uno del Nord e uno del Sud, che danno l’idea del range all’interno del quale si mosse l’intellettualità vietnamita individualista di quegli anni. Essi sono Pham Quynh e Nguyen An Ninh.
Pham Quynh
Pham Quynh, nato nel Bac Bo da una famiglia di letterati le cui origini risalivano al tredicesimo secolo, rimase orfano e fu allevato dai nonni, che scelsero per lui una cultura francese. Nel 1917 venne scelto da Sarraut e da Marty, capo della Sureté, quale direttore di Southern Wind, che sarebbe diventato un punto di riferimento per l’élite vietnamita filo-francese. Fu il primo giornale dedicato esclusivamente a vietnamiti. Il suo obiettivo, per espressa ammissione del suo direttore, era di traghettare la nazione, in quel momento in mezzo a un guado poiché la vecchia riva (la cultura tradizionale) era
stata abbandonata, verso il nuovo (la nuova cultura). Essa non era da intendersi esclusivamente come cultura occidentale. Pham Quynh, infatti, lavorava per un bilanciamento, un incontro fecondo tra la cultura orientale e la cultura occidentale. Tale nuova cultura sarebbe dovuta nascere il prima possibile.
Nonostante l’ammirazione per la Francia e la sudditanza sostanziale alla sua politica e l’ammirazione per la cultura occidentale, che avrebbe dovuto mescolarsi con e far rinascere, vittoriosa, la cultura orientale, Pham Quinh, rimase nel concreto un intellettuale neo-tradizionalista, che non ebbe il coraggio di discutere i pilastri fondamentali sia del colonialismo francese sia della vecchia società vietnamita. Possiamo apprezzare tale atteggiamento sia riguardo al problema della famiglia sia, dal punto di vista politico, riguardo al suo atteggiamento rispetto agli eventi che seguirono i funerali di Phan Chu Trinh.
Per quanto riguarda la famiglia, Phan la individuava come il nucleo tradizionale fondamentale sul quale la nuova società avrebbe dovuto essere costruita. Egli andò a cercare autori occidentali, anche minori, che difendessero i legami familiari, la santità del matrimonio, che s’opponessero al controllo delle nascite, così che potesse dimostrare che la preservazione della famiglia tradizionale non era d’ostacolo allo sviluppo di uno spirito “occidentale” in altri settori18. Tale atteggiamento contrastava con tutte le problematiche relative alle relazioni familiari che emersero proprio in quegli anni. I figli, di solito allevati in ambienti tradizionali, al momento dell’incontro con la cultura occidentale e con le idee riformiste cinesi si rendevano conto dell’inutilità e della spregevolezza della rigida gerarchia familiare, secondo la quale la donna era subordinata in quanto donna e i figli non avevano alcuna possibilità di confrontarsi con i genitori.
Dal punto di vista politico, Pham ebbe sempre paura che le masse, una volta chiamate all’azione, non sarebbero più state controllabili, se prima non ci fosse stata un’ampia azione educativa di riforma, che doveva conquistare innanzitutto le élite e solamente in una fase successiva avrebbe potuto trasformarsi in azione politica di massa. Perciò, in seguito ai sommovimenti che scossero il Viet Nam dopo la morte di Phan Chu Trinh, Pham qualificò la gioventù responsabile di tali azioni come “politicamente immatura e incapace di un’azione articolata, e propose la costituzione della Viet Nam Tan Bo Dan
Hoi, la Lega progressista del Popolo Vietnamita, che avrebbe dovuto sostenere le
riforme economiche e sociali del paese. La morte di Phan Chu Trinh e i conseguenti moti popolari, tuttavia, segnarono l’inizio di una nuova fase del radicalismo vietnamita, e ben presto la lega di Pham Quynh scomparse.
Nguyen An Ninh
Nguyen An Ninh nacque nel 1900 alla periferia di Saigon. Il padre, fervente anticolonialista e letterato, decise di educarlo in scuole francesi. Dopo aver terminato il
cursus honorum a Saigon, si trasferì ad Hanoi e da lì ottenne il permesso di andare in
Francia, dove si trattenne, a parte alcuni brevi soggiorni in altri paesi europei, dal 1920 al 1923. Giovane brillante, al suo ritorno a Saigon cominciò la carriera politico- intellettuale. Si scagliò sia contro i neo-tradizionalisti sia contro l’intellettualità filo- francese. La sua azione era favorita da una conoscenza diretta e indiretta del mondo occidentale, e anche delle sue idee, fuori dal normale. Nella sua biblioteca si potevano trovare libri di Renan, Nietzsche, Flaubert, Kant, Platone, Rousseau, Tolstoy, Dostoevsky. Nel 1924 Leon Werth lo definì l’uomo “più europeo” che aveva incontrato in Indocina19.
18 D
AVID G. MARR, cit., p. 110
19 H
UE-TAM HO TAI, cit., p. 72. Leon Werth fu uno degli intellettuali francesi che più, nella prima metà del novecento, si occupò di antimilitarismo e colonizzazione. Nel 1926, un anno dopo un viaggio nel Nam Bo, uscì Cochinchine, libro di viaggi che si trasforma in critica feroce del colonialismo
Il suo rifiuto del confucianesimo era articolato. Nonostante il confucianesimo, se ben compreso, potesse portare l’uomo ad una concezione della vita generosa e di alto respiro, Nguyen riteneva che, in Viet Nam, il problema fosse che il confucianesimo era un “articolo di esportazione”20. Inoltre, i neo-tradizionalisti si nascondevano dietro il confucianesimo per non analizzare in profondità le ragioni per le quali la nazione vietnamita era affondata.
La colpa dell’intellettualità filo-francese, invece, era che, accecata dalle prebende individuali, non si accorgeva che la mission civilisatrice non era mai esistita. Le condizioni di vita della popolazione erano peggiorate, il già basso livello intellettuale era ancor di più diminuito, il livello di servitù delle élite, invece che diminuire, era in netto aumento. In quest’ottica, l’idea di una tutela francese si era rivelata una delusione. La soluzione che Nguyen An Ninh, figlio di intellettuali anti-colonialisti, di cultura francese, che aveva conosciuto l’anarchismo, e che dell’anarchismo, secondo Hue-Tam Ho Tai, divenne il più vero rappresentante in Viet Nam, propose fu fondamentalmente una soluzione individualista. Il risveglio della nazione si sarebbe potuto realizzare solamente attraverso un risveglio della gioventù, che doveva lasciarsi il passato alle proprie spalle, abbandonare i propri genitori, creare una nuova cultura, che nascesse dalla curiosità verso tutto ciò che si muoveva e accadeva nel mondo.
La principale attività di Ninh fu quella politico-letteraria. Qualche mese dopo il suo ritorno a Saigon pubblicò la Cloche Fêlée, che divenne ben presto il punto di riferimento della gioventù ribelle (che pur sempre poteva leggere il francese). Invece che chiedere alle autorità dei cambiamenti, come facevano tanti giornali di Saigon del periodo, la Cloche Fêlée aveva il compito di chiamare la gioventù all’azione, in prima persona, senza intermediari.
Come tanti radicali della sua generazione Ninh cerò di coniugare la forza e l’intransigenza delle proprie posizioni alle condizioni poste dai francesi. Il giornale, infatti era registrato e permesso dalle autorità coloniali.
Progressivamente, il mancato miglioramento delle condizioni materiali e spirituali della colonia fecero dubitare Ninh delle sue posizioni politiche, e per questo spostò sempre più i suoi interessi verso le questioni religiose, e assunse posizioni sempre più anticoloniali. In questo contesto, fu arrestato il 24 marzo 1926, in seguito alle affermazioni compiute durante un comizio di fronte a tre mila persone, tra cui tanti lavoratori e studenti, al quale non voleva neanche partecipare, a causa di turbe religiose interiori che viveva, ma al quale era stato costretto a prendere parte a causa della sua notorietà e della sua unica capacità oratoria.
Due giorni dopo il suo arresto, Phan Chu Trinh, da poco tornato a Saigon dopo quattordici anni di esilio, morì il 24 marzo 1926. I suoi funerali, che videro partecipare contemporaneamente rappresentanti del can vuong, i nazionalisti radicali degli anni venti e i giovani della futura generazione di rivoluzionari, rivelò ai radicali la forza e la consapevolezza del popolo. Il compito della lotta per l’indipendenza non era più una questione di élite, poteva diventare un movimento di massa.
Ma la risposta alla fine del confucianesimo non venne solamente dalle élite. Mentre i comunisti, guidati da Nguyen Ai Quoc, cominciarono ad organizzarsi nel 1925 a Canton, nel Viet Nam rifiorirono, anche se in realtà non erano mai venute meno, le sette segrete e i gruppi esoterici. In questo esatto periodo venne fondato il Cao-Dai, una religione con ampi legami con la politica e che fu protagonista della scena politica. Il Cao-Dai, erede di movimenti millenaristi e di sette esoteriche sviluppatesi a cavallo tra Cambogia e delta del Mekong, venne fondata nel dicembre del 1926 da un gruppo di
uomini d’affari, proprietari terrieri e ufficiali civili del Nam Bo21. L’adesione al caodaismo fu subito elevatissima, segno che si andò a coprire un vuoto spirituale e di “ordine” che esisteva.
Il nazionalismo, dopo i funerali di Phan Chu Trinh e dopo la repressione che seguì le mobilitazioni popolari del 1926 e del 1927, subì un cambiamento di prospettiva e un affinamento organizzativo. Solamente con la grande depressione e la crisi del 1930 e del 1931, l’ammutinamento di Yen Bai e il “soviet rosso” dello Nghe Tinh, fu chiaro che il punto di equilibrio del radicalismo aveva fatto il suo tempo. Al centro della speculazione non c’era più l’individuo, bensì la società. Il raggiungimento dell’indipendenza non doveva essere innanzitutto un cambiamento di se stessi, quanto un cambiamento della struttura sociale.
Prima di esaminare il momento di svolta del 1930, però, ci soffermeremo su un aspetto specifico della storia sociale e politica del primo Novecento in Viet Nam: la questione femminile. Attraverso essa ci accorgeremo come il Viet Nam sia stato investito e cambiato, nei primi cinquant’anni dello scorso secolo, da un forte vento di cambiamento, in gran parte non voluto, e però testardamente portato dalla storia. Se è vero, come dice Fourier, che il grado di civiltà di una società, intesa come civiltà contemporanea figlia della modernità, è dato dal grado di emancipazione sostanziale della donna all’interno di tale società, allora l’evoluzione della questione femminile ci può dare il senso della portata e della forza di tale vento.