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Parte seconda

5. La seconda guerra mondiale e la calma tempestosa dell’Indocina

5.1 Le relazioni internazionali all’alba della seconda guerra mondiale

5.1.2 L’ascesa del Giappone: dalla rivoluzione Meiji al fascismo

Nel 1868 il Giappone era un paese sconfitto. Poco più di sessanta anni dopo la forza militare e internazionale dell’Impero del Sol Levante era talmente elevata che l’esercito nipponico si permise, invadendo la Manciuria nel 1931, di assestare un duro colpo al sistema di relazioni internazionali fuoriuscito dalla prima guerra mondiale e che ebbe nella Conferenza di Versailles la sintesi più alta14. Nel 1937 venne dichiarata guerra aperta alla Cina, che a partire dal 1941 divenne guerra aperta agli Stati Uniti e alle potenze europee.

L’impatto del colonialismo sul Giappone fu peculiare. La risposta che venne elaborata, che va sotto il nome di rivoluzione Meiji, trasformò l’apparato economico-produttivo del paese, con tutte le conseguenze che ne derivarono, e contemporaneamente pose le basi per la nascita del “fascismo giapponese”, vero e proprio sistema sociale che, partendo da chiare basi di classe e dalla cultura di lungo periodo del paese, fu in grado di acquisire il consenso della popolazione e di portare la nazione sull’orlo del dominio globale dell’intera Asia Orientale e Meridionale.

12

VALERIA PIACENTINI FIORANI, Processi di decolonizzazione in Asia e Africa, Università Cattolica, Milano 2000, pp. 40-41

13 Per le prime posizioni della III Internazionale verso i popoli asiatici cfr. P

IERRE RENOUVIN, cit., p. 271. Una buona raccolta di documenti è STUART SCHRAM, CARRÈRED’ENCAUSSE HELENE, Le marxisme et

l’Asie 1853-1964, Paris, Armand Colin, Paris 1965

14 E

“La trasformazione del Giappone fu un processo globale che, avviato nel 1868, concluse la sua prima fase intorno al 1890”15. Tutti i sudditi divennero uguali di fronte alla legge, venne introdotta la coscrizione obbligatoria, decine di migliaia di giovani furono mandati a scoprire i segreti della tecnologia occidentale per poi riproporla dentro il paese. L’educazione divenne obbligatoria, la terra venne privatizzata, lo sviluppo dell’industria largamente aiutato e attentamente seguito, l’amministrazione profondamente trasformata. Ciò non impedì che l’imperatore continuasse a splendere di luce sacra, e che la classe dominante, che viveva un periodo di interna trasformazione, non continuasse ad esercitare il potere. Sia nella prima fase che successivamente, lo sfruttamento dei lavoratori era netto.

Dopo la prima fase, di impostazione e consolidamento, il paese entrò in una fase di espansione. Il sistema economico, che progressivamente fu sempre più egemonizzato dalle zaibatsu, nel corso dei decenni si alleò sempre più strettamente con chi lavorava per una politica estera aggressiva, imperialista. Le necessità dello sviluppo dell’economia si incontrarono con gli interessi espansionisti di larga parte dell’establishment militare, la cui struttura era, già dal 1895, in grado di sostenere lo scontro con l’esterno.

L’economia giapponese si giovò sempre della guerra. Nel 1894-95 il Giappone sconfisse la Cina, nel 1904-05 la Russia, nel 1910 venne annessa la Corea, nel 1915 le ventun richieste a Yuan Shikai vennero sostenute dalla forza militare presente nell’area.

Dal punto di vista produttivo, la prima guerra mondiale segnò un momento di svolta: “Tra l’inizio e la fine del conflitto, il valore della produzione industriale aumentò di quasi cinque volte” 16. La crescente accumulazione di capitale si tradusse in un aumento dei profitti, e non in un aumento dei salari, e in una ulteriore concentrazione della produzione.

Le più grandi zaibatsu e i loro alleati, per mantenere i livelli dei profitti incassati durante la guerra, dovettero lavorare, internamente, per la ripresa di concetti quali “frugalità”, “benessere comune” etc., attraverso i quali giustificare i bassi salari e le persistenti condizioni di sfruttamento della classe operaia e dei contadini poveri17. Tra il 1921 ed il 1925, infatti, il Giappone sperimentò una crisi economica18.

Nel frattempo il paese visse profondi cambiamenti strutturali (industrializzazione, urbanizzazione etc.) che rendevano inquieto il tessuto sociale. Alcune contraddizioni economiche, poi, vennero ben presto al pettine. Il paese attraverso una serie di crisi, dalle quali se ne uscì solamente con la dichiarazione di guerra alla Cina. La depressione economica internazionale, infatti, fu in Giappone preceduta ed acuita dai caratteri propri del paese.

Il legame dei grandi interessi economici ad una politica estera imperialista19, la presenza di ufficiali delle forze armate tra gli snodi fondamentali del potere, l’inesistenza della libertà di stampa, la debolezza d’analisi e di forza delle organizzazioni del mondo operaio, la struttura amministrativa sostanzialmente antidemocratica del paese, la necessità del mantenimento di una forte pressione sul

15

FRANCESCO GATTI, Storia del Giappone contemporaneo, Mondadori, Milano 2002, p. 14

16 Cfr. F

RANCO GATTI, Il fascismo giapponese, Franco Angeli, Milano 1983, p. 13

17 Idem, p. 37 18 P

IERRE RENOUVIN, cit., p. 249

19

Secondo Di Nolfo fu proprio l’imperialismo giapponese a determinare lo smantellamento dello status quo stabilito a Versailles. “Il passaggio dalla crisi allo smantellamento del sistema, la fine dello status

quo, la fine delle illusioni concepite a Parigi nel 1919 ebbe inizio fuori dall’Europa, in Estremo Oriente.

La crisi della Manciuria e l’iniziativa giapponese che la determinò, sebbene remota dalle contraddizioni europee, ne fu l’espressione, dal momento che la diplomazia giapponese aveva legato le sue sorti a quella europea almeno a partire dall’inizio del secolo XX”. ENNIO DI NOLFO, cit., p. 152

mondo del lavoro, le permanenze della cultura oligarchica confuciana20, permisero l’affermarsi del “fascismo giapponese”, la cui affermazione definitiva può essere datata 1936, quando venne eliminata la possibilità di un “fascismo dal basso” e si stabilizzò definitivamente un sistema di potere “nuovo” all’interno del paese21.

Il fascismo giapponese fu sicuramente originale rispetto al fascismo italiano e a quello tedesco. Se però si pongono come caratteristiche costitutive del fascismo il rifiuto del liberalismo e del marxismo, la compressione delle organizzazioni e del protagonismo dei lavoratori, la tendenza all’espansionismo internazionale, la creazione di un regime con un consenso di “massa”, allora il termine fascismo rende ciò che si verificò in Giappone nella prima parte del ventesimo secolo.

Una tale impostazione, che si basava sulla compressione dei diritti, sull’irreggimentazione, e su una presunta superiorità che permetteva, quasi rendeva obbligatorio una “missione”, ben difficilmente poté congiungersi con il concetto di fratellanza, fosse pure tra popoli asiatici, che ci sarebbe dovuto essere nello slogan “l’Asia agli asiatici” e in tutta la politica estera che si basò sulla sfera di co-prosperità della Grande Asia Orientale.