• Non ci sono risultati.

Le sentenze esaminate si segnalano per il definitivo superamento di quell’iniziale

self

restraint

della Corte costituzionale nei confronti delle scelte politico criminali del legislatore nella configurazione del trattamento sanzionatorio delle condotte punibili. Ma non solo.

Dette pronunce rappresentano la piena ricezione, da parte della Corte, dei princìpi fondamentali del diritto penale396. Evidenti sono, in questo senso, i riferimenti al principio di proporzione tra gravità del fatto e misura della pena, al principio di offensività come unico legittimo fondamento della reazione punitiva, allo

standard

del giudizio di ragionevolezza.

394 Cfr. M.PELISSERO, L’incostituzionalità della recidiva obbligatoria. Una riflessione sui vincoli legislativi alla discrezionalità giudiziaria, cit.

395 F.MANTOVANI, Diritto penale, cit., 655, osserva che la mancata indicazione dei criteri di valutazione porta con sé il rischio di instaurare un sistema di «sovranità giurisdizionale» difficilmente conciliabile con il principio di legalità e utilizzabile negli opposti sensi - come la prassi insegna - della clemenza o del rigorismo, secondo le spinte emozionali del momento e le convinzioni personali.

Circa il ruolo della discrezionalità penale nella disciplina della recidiva e delle possibili conseguenze applicative, si veda G. CARUSO, La discrezionalità penale: tra tipicità classificatoria e tipologia ordinale, Padova, 2009, 208.

396 F.VIGANÒ, Nuove prospettive per il controllo di costituzionalità in materia penale?, cit. L’Autore scrive che i passaggi motivazionali delle sentenze della Corte costituzionale sono «musica per le orecchie del penalista» proprio perché recepiscono «i princìpi che si insegnano oggi correntemente in qualunque manuale di diritto penale».

In questa prospettiva, come si è visto, paradigmatica è la questione della recidiva, là dove sia interpretata come espressiva di una maggiore pericolosità sociale. Se, infatti, è vero che la misura della pena corrispondente alla gravità del reato costituisce un limite invalicabile, allora l’aumento di pena per la recidiva non può avvenire al di sopra dei limiti segnati dalla colpevolezza per il fatto, se non con violazione degli artt. 25, secondo comma, e 27, primo comma, Cost.397.

Eppure, come si è visto, il legislatore con la legge n. 251 del 2005 ha tracciato, rispetto al recidivo, soprattutto se reiterato, uno «statuto differenziato» determinante una discriminazione repressiva in una prospettiva carcero-centrica neutralizzante e segregazionista.

Lo sviluppo della giurisprudenza costituzionale e di legittimità sulla disciplina della recidiva dopo la riforma del 2005 segnala una chiara linea di tendenza verso il recupero dei princìpi dello Stato di diritto sulle politiche securitarie animate da quella riforma398.

In questo senso, la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione hanno, dapprima, consolidato la discrezionalità delle ipotesi di recidiva previste nei primi quattro commi dell’art. 99, cod. pen. È stata, così, accreditata una possibile interpretazione conforme a Costituzione, che considera quella circostanza non automatica, ma subordinata all’eventualità che il giudice, nell'esercizio del proprio potere discrezionale, la ritenga sussistente.

Poi è stata la volta delle sentenze di incostituzionalità. Tra queste, prima quelle che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dei limiti imposti al giudizio di bilanciamento della recidiva reiterata (art. 69, quarto comma, cod. pen.) rispetto a specifiche circostanze attenuanti. Pur non incidendo direttamente sull’art. 99 cod. pen., siffatte pronunce hanno evidenziato l’irragionevolezza dell’irrigidimento degli effetti indiretti della recidiva. I princìpi costituzionali sulla commisurazione in senso ampio della pena hanno, dunque, preso il sopravvento sulle scelte di politica criminale che avevano irragionevolmente irrigidito il potere discrezionale del giudice. La sentenza della Corte costituzionale, che da ultimo ha dichiarato l’illegittimità dell’unica ipotesi di recidiva obbligatoria prevista dall’art. 99, quinto comma, cod. pen., costituisce un ulteriore tassello della politica di smantellamento progressivo della rigidità dello «statuto penale» del recidivo.

397 Cfr. R.BARTOLI, Le circostanze «al bivio» tra legalità e discrezionalità, cit. M.PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario, Torino, 2008, 360. Altresì, F.VIGANÒ, Nuove prospettive per il controllo di costituzionalità in materia penale?, Quest’ultimo, facendo leva sulle argomentazioni espresse con riferimento all’aggravante della clandestinità, in particolare sotto il profilo del principio di offensività, ritiene che si possano affacciare prospettive ablatorie sul sistema vigente, proprio con riguardo all’istituto della recidiva, giudicato un residuo del diritto penale d’autore.

398 Si allenta così il «cappio sanzionatorio» stretto intorno al collo di quei «tipi d’autore», destinatari di un regime penale differenziato, all’insegna del rigore punitivo. Cfr. T. PADOVANI, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, cit., 32.

Che il recidivo reiterato meriti un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto agli altri potrebbe essere, in linea generale, giustificato: il recidivo reiterato, proprio perché continua a commettere reati, potrebbe denotare in effetti una particolare pericolosità e maggiore colpevolezza individuale.

Questo giudizio investe il rapporto tra le precedenti condanne e il reato oggi commesso ed è attualmente demandato

in toto

al giudice. Il giudice, infatti, deve valutare se le precedenti condanne sono tali da rendere il fatto per il quale si sta procedendo più grave, sotto il profilo della pericolosità o della colpevolezza.

Solo quando il giudice applica la recidiva, si producono gli effetti indiretti della recidiva, incluso il divieto di prevalenza delle attenuanti di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. Quest’ultimo divieto è, secondo la Corte, in sé ragionevole: rappresenta un ulteriore incremento sanzionatorio collegato alla ritenuta maggiore pericolosità o colpevolezza.

Eppure, questo meccanismo non funziona più nei casi in cui l’attenuante di cui si esclude la prevalenza è una circostanza ad effetto speciale, tale da determinare uno sconto di pena significativamente superiore al terzo. Nella commisurazione della pena, infatti, il legislatore può attribuire un peso alla qualifica soggettiva dell’agente, qualora ciò denoti una maggiore carica offensiva, ma tale rilievo non può finire con il produrre un effetto così rilevante rispetto al peso dato al profilo oggettivo. In altri termini, non è possibile invertire il rapporto tra la qualifica soggettiva e il fatto, pena altrimenti la punizione del soggetto per ciò che è e non per la condotta commessa.

Nell’argomentazione della Corte si risentono gli echi della pronuncia - che, qui, non si ha modo di analizzare – sull’aggravante della clandestinità399. Anche in quella occasione la Consulta ha respinto con fermezza il modello del «diritto penale d’autore», nel quale la pena è concepita come una risposta alla pericolosità sociale dell’autore e non già come una reazione proporzionata alla gravità del singolo fatto commesso400.

399 Si tratta della già menzionata sentenza Corte cost., sent. n. 249/2010, cit. Per commenti alla sentenza, si vedano A. MATERIA, Gli extracomunitari tra discrezionalità penale, diritti fondamentali e principio di offensività, in Giur. it., 2011, 4; F.NUZZO, Appunti sulla incostituzionalità dell’art. 61, n. 11-bis, c.p., in Cass. pen., 2010, 11, 3748; F.VIGANÒ, Nuove prospettive per il controllo di costituzionalità in materia penale?, cit. 400 Si segnala che un problema simile si è posto recentemente negli Stati Uniti. La Suprema Corte nel caso Buck v. Davis, con sentenza del 22 febbraio 2017, ha messo a freno all’ingresso di discriminazioni razziali nel sentencing. Il caso riguardava un afroamericano condannato per duplice omicidio alla pena di morte. Nell’irrogare la sanzione, la giuria aveva ritenuto decisiva la valutazione circa la futura pericolosità (future dangerousness) del condannato ed aveva quindi optato per la pena di morte anziché per la pena dell’ergastolo. Tra i fattori statistici di cui il consulente della giuria aveva tenuto conto nel giudizio di pericolosità vi era quello relativo alla razza: «Black: increased probability. There is an over-representation of Blacks among the violent offender». Nella conclusione della Corte Suprema – al di là del dato formale e sostanziale della violazione del diritto di difesa, funzionale a riaprire la fase del sentencing – si legge «Buck may have been sentenced to death in part because of his race». Ed è questa una deviazione da una fondamentale premessa del sistema della giustizia penale statunitense («a basic premise of our justice

Costante, nel ragionamento della Consulta, è l’utilizzo di quella regola di giudizio secondo la quale le presunzioni assolute hanno diritto di cittadinanza se e in quanto rispondono all’

id quod

plerumque accidit

. Dette presunzioni, proprio perché servono ad imporre un determinato trattamento per tutte le situazioni riferibili alla fattispecie che le presuppone, a prescindere da eventuali scarti tra modello astratto e fattispecie concreta, generano «naturalmente» una tensione con i princìpi di uguaglianza e ragionevolezza. Pertanto, la «legge di copertura» in base alla quale una presunzione viene costruita deve essere molto attendibile, specialmente quando si discute di presunzioni

iuris et de iure

. L’automatismo deve, dunque, essere costruito in modo da ridurre grandemente, se non eliminare, il rischio della sua applicazione ad ipotesi concrete prive della connotazione che giustifica razionalmente la disciplina considerata401.

Attraverso le sentenze esaminate si consolida ulteriormente un principio di carattere generale che spesso il legislatore trascura quando, nel perseguire esigenze preventive, mette in secondo piano i princìpi di proporzione e di sussidiarietà. Questo principio è quello della tendenziale necessità costituzionale della flessibilità del potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena.

Principio bene esplicitato dalla Corte costituzionale già nella «storica» sentenza che ha fissato la regola di tendenziale incostituzionalità delle pene fisse: «l’adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti - in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento - contribuisce da un lato, a rendere quanto più possibile

personale

la responsabilità penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma; e nello stesso tempo è strumento per una determinazione della pena quanto più possibile

finalizzata

, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Cost.»402.

I princìpi costituzionali di uguaglianza e della funzione rieducativa della pena condizionano non solo le scelte del legislatore sulla determinazione in astratto della pena, ma anche la disciplina sulla c.d. commisurazione in senso ampio della pena, comprensiva di tutti i meccanismi che ne definiscono in concreto la quantificazione, circostanze e pene accessorie comprese. Limitazioni al potere discrezionale del giudice non sono di per sé illegittime, purché siano ragionevolmente giustificabili alla luce di obiettivi di politica criminale di prevenzione

system»): si puniscono le persone per quel che fanno, non per quel che sono («our law punishes people for what they do, not who they are»). Irrogare la pena sulla base di una caratteristica immutabile, come il colore della pelle, viola immancabilmente questo principio giuda. Il testo della sentenza è reperibile in www.penalecontemporaneo.it, con nota di G.L.GATTA, Omicida condannato a morte, anziché all’ergastolo, perché nero quindi «pericoloso». La Corte Suprema U.S.A. mette un freno all’ingresso di stereotipi razziali nel sentencing, 28 febbraio 2017.

401 G.LEO, Sul riconoscimento di attenuanti generiche a recidivo reiterato (nota a Corte cost., 10 giugno 2011, n. 183), cit.

generale o speciale e non determinino il sacrificio di interessi costituzionalmente rilevanti e non sopprimibili.

Le sentenze annotate si inseriscono, dunque, nel solco di una serie di pronunce della Corte costituzionale che, a fronte del quadro normativo ora delineato, hanno in vario modo tracciato la via per restituire al giudice gli spazi di discrezionalità compressi o sottratti

tout court

dal legislatore.

CAPITOLO TERZO

LA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DEGLI AUTOMATISMI SANZIONATORI

PREVISTI DURANTE L’ESECUZIONE DELLA PENA

1. PREMESSA: L’INDIVIDUALIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO PENITENZIARIO E GLI OSTACOLI ALLA SUA REALIZZAZIONE. – 2. L’ART. 4-BIS DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO E LE PRESUNZIONI DI PERICOLOSITÀ. – 3. CONSIDERAZIONI SULLA LEGITTIMITÀ DELLE PRESUNZIONI POSTE ALLA BASE DELL’ART. 4-BIS DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO. – 3.1. LA LOGICA DEL «TIPO DI REATO» E DEL «TIPO DI AUTORE». – 3.2. LA CONDOTTA COLLABORANTE ELEVATA A UNICO INDIZIO DI ROTTURA DEL VINCOLO ASSOCIATIVO. – 4. I PERSISTENTI DUBBI DI LEGITTIMITÀ DELL’ART. 4-BIS DELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO. – 5. SEGUE: L’ERGASTOLO OSTATIVO. – 6. ULTERIORI AUTOMATISMI SANZIONATORI NELL’ORDINAMENTO PENITENZIARIO. – 7. SEGUE: I PRINCIPI DI DIRITTO ESPRESSI DALLA CORTE COSTITUZIONALE. – 8. PROFILI DI DIRITTO INTERTEMPORALE DEL REGIME PRECLUSIVO DI ACCESSO AI BENEFICI PENITENZIARI. - 8.1. L’ESTENSIONE DELLE NUOVE NORME AI CONDANNATI IN CORSO DI ESECUZIONE: L’INCOSTITUZIONALITÀ DI REVOCA E DINIEGO AUTOMATICI DI BENEFICI PENITENZIARI. - 8.2. L’ESTENSIONE DELLE NUOVE NORME AI CONDANNATI PRIVI DI UN PERCORSO RIEDUCATIVO IN ATTO: IL PRINCIPIO DEL TEMPUS REGIT ACTUM. - 9. AUTOMATISMI IN MATERIA DI LIBERAZIONE CONDIZIONALE. – 10. LA PRECLUSIONE ASSOLUTA DELLE MISURE ALTERNATIVE PER IL CITTADINO EXTRACOMUNITARIO IRREGOLARE. – 11. LA SOSPENSIONE CONDIZIONATA DELL’ESECUZIONE DELLA PENA DETENTIVA AI SENSI DELLA LEGGE N. 207 DEL 2003 (C.D. «INDULTINO»). – 12. GLI AUTOMATISMI E LE PRECLUSIONI NELL’ESECUZIONE PENALE MINORILE. – 13. CONCLUSIONI INTERMEDIE ALLA LUCE DELLA GIURISPRUDENZA ESAMINATA.

1. PREMESSA: L’INDIVIDUALIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO PENITENZIARIO E GLI OSTACOLI ALLA SUA REALIZZAZIONE

La legge sull’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) si apre con l’art. 1 che bene riassume i princìpi direttivi che informano il trattamento penitenziario. In particolare, si legge all’ultimo comma della citata disposizione che «nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti

con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti»403.

Sullo sfondo di tali affermazioni campeggia il precetto dell’art. 27, terzo comma, Cost., che attraverso il suo duplice livello di previsione, in negativo («le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità») e in positivo («devono tendere alla rieducazione del condannato»), definisce l’area di incidenza del vincolo costituzionale sulle scelte della legislazione penale e penitenziaria.

La legge sull’ordinamento penitenziario attua altresì gli impegni assunti dall’Italia negli accordi internazionali – sottoscritti dall’Italia in àmbito tanto europeo quanto mondiale - diretti a stabilire le c.d. «Regole minime per il trattamento dei detenuti»404.

L’idea di fondo è che il carcere non debba conservare la centralità di un tempo ma, piuttosto, debba segnare l’inizio di un percorso rieducativo che si compone di aperture all’esterno e di sempre più ampi spazi di libertà che favoriscano contatti sociali, strumentali al futuro pieno reinserimento405.

403 Per approfondimenti, V.GREVI,F.DELLA CASA,G.GIOSTRA, Sub Art. 1, inF.DELLA CASA, G.GIOSTRA (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, Padova, 2015, 3. A detta degli Autori, l’art. 1 ord. penit. è la «norma più emblematica» della svolta ideologica del legislatore del 1975.

404 Si vedano, in questo senso, le «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e le «Regole delle Nazioni Unite relative al trattamento delle donne detenute e alle misure non detentive per le donne autrici di reato» adottate nell’àmbito dell’O.N.U. con risoluzione, rispettivamente, del 30 agosto 1955 e del 21 dicembre 2010; le «Regole minime per il trattamento dei detenuti» le «Regole penitenziarie europee» adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, rispettivamente, con risoluzione del 19 gennaio 1973 e con raccomandazione prima del 12 febbraio 1987 e poi dell’11 gennaio 2006. Si segnalano altresì le «Regole europee sulle sanzioni e misure alternative alla detenzione» e le «Regole europee sulla messa alla prova» adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con raccomandazione, rispettivamente, del 19 ottobre 1992 e del 20 gennaio 2010. Tra gli strumenti internazionali più significativi vi è anche la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti del 1987 (recepita con legge 2 gennaio 1989, n. 7). In argomento, P.COMUCCI,A.PRESUTTI (a cura di), Le regole penitenziarie europee, Milano, 1989. Alcuni dei testi menzionati sono rinvenibili in F.DELLA CASA, G.GIOSTRA

(a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, Padova, 2015.

405 L’ambizioso programma di decarcerizzazione, già delineato dalla legge del 1975, è stato in seguito arricchito dalla legge n. 663 del 1986 (c.d. legge Gozzini) e articolato su una pluralità di strumenti, alcuni volti all’ampliamento delle ipotesi di uscita temporanea dal carcere secondo la logica del «meno carcere», altri diretti al potenziamento delle opportunità di evitare l’ingresso in istituto secondo la logica del «non ingresso» o della «uscita anticipata». Per approfondimenti, P. COMUCCI, Lo sviluppo delle politiche penitenziarie dall’ordinamento del 1975 ai provvedimenti per la lotta alla criminalità organizzata, in A. PRESUTTI (a cura di), Criminalità organizzata e politiche penitenziarie, Milano, 1994, 16; V. MAFFEO, Il trattamento penitenziario della criminalità organizzata, in V.MAIELLO (a cura di), La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione e armi, Torino, 2015, 241. Si veda altresì F.DELLA

CASA, Quarant'anni dopo la riforma del 1975 (ovvero: il continuo divenire della «questione penitenziaria»), in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 1163. L’Autore ritiene che la legge Gozzini del 1986 rappresenti il punto più alto della «scommessa anticustodialistica». A proposito di un altro momento di rilievo nell'evoluzione del sistema penitenziario italiano, segnato dalla legge 27 maggio 1998, n. 165 (c.d. legge Simeone), si veda F. DELLA CASA, «Democratizzazione» dell'accesso alle misure alternative e contenimento della popolazione carceraria: le due linee-guida della nuova legge sull'esecuzione della pena detentiva (Commento alla legge

Ecco perché, accanto agli strumenti tradizionali di recupero del detenuto – che si sostanziano nell’accesso al lavoro, nella possibilità di istruzione e nel diritto a professare la propria religione -, sono contemplate misure più specificamente risocializzanti che possono essere distinte in: misure sostitutive della pena detentiva (ad esempio le pene pecuniarie, le pene paradetentive come la semidetenzione o la detenzione domiciliare o l’esecuzione della pena presso il domicilio di cui alla legge n. 199 del 2010, il lavoro di pubblica utilità), misure sospensive in prova (ad esempio l’affidamento in prova al servizio sociale), misure preparatorie alla liberazione (ad esempio l’ammissione al lavoro all’esterno, la semilibertà, le licenze premio, la liberazione anticipata) e premi in senso stretto (permessi premio)406.

La previsione delle misure alternative postula, così, una pena modulabile, qualitativamente e quantitativamente, in relazione al grado di rispondenza del singolo condannato al trattamento penitenziario intrapreso407. Il processo di modificazione degli atteggiamenti antisociali è rimesso alla «partecipazione attiva e consapevole» del condannato408. In quest’ottica, la condotta penitenziaria dovrebbe essere l’unico parametro per accedere ai benefici penitenziari e alle misure alternative409. Su tale scorta non potrebbero trovare spazio criteri presuntivi, dovendosi viceversa osservare la singola e concreta situazione.

27 maggio 1998, n. 165. Modifiche all'art. 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni. Premessa), in Leg. pen., 1998, 755;A.PRESUTTI, Legge 27 maggio 1998, n. 165 e alternative penitenziarie: la pena rinnegata, in A.PRESUTTI (a cura di), Esecuzione penale e alternative penitenziarie, Padova, 1999, 63. In nome del rispetto del principio di umanità e della tutela di altri diritti garantiti dalla Costituzione, quali il lavoro, la salute, la famiglia, la maternità, trovano giustificazione aperture verso la società in precedenza mai consentite. In argomento, E.FASSONE, Luci e ombre della «legge Gozzini», in Quest. giust., 1987, 3, 658. Sul versante del processo, un significativo contributo alla vasta applicazione delle misure alternative viene dall’istituto della sospensione obbligatoria dell’esecuzione della pena detentiva (art. 656 cod. proc. pen.), la cui area applicativa è stata ridefinita ad opera del decreto legge 1 luglio 2013, n. 78. Per un commento, si veda A. DELLA BELLA, Convertito in legge il «decreto carceri» 78/2013: un primo timido passo per sconfiggere il sovraffollamento, in www.penalecontemporaneo.it, 15 settembre 2013.

406 Per approfondimenti si veda F.MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2011, 751, e riferimenti ivi richiamati; G.FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2009, 743, e riferimenti ivi richiamati. Sulle diverse anime delle misure alternative, si veda V.GREVI, Esigenze di sicurezza e prospettive premiali nel quadro della legge penitenziaria, in V.GREVI (a cura di), Alternative alla detenzione e riforma penitenziaria, Bologna, 1982, 8.

407 Corte cost., sent. 16 - 30 dicembre, 1997, n. 445, in Cass. pen. 1998, 1310. Si veda § 2 del Considerato in diritto: «ogni misura si caratterizza per essere parte di un percorso nel quale i diversi interventi si sviluppano secondo un ordito unitario e finalisticamente orientato al fondo del quale sta il necessario plasmarsi in funzione dello specifico comportamento serbato dal condannato».

L’art. 1 del Reg. esec. ord. penit. parla di «offerta di interventi». Per approfondimenti, G.DI GENNARO, Il trattamento penitenziario, in V.GREVI (a cura di), Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, Bologna, 1981, 113; G. MAROTTA,F.BUENO ARUS, Le basi giuridiche del trattamento penitenziario, in F.FERRACUTI (a cura di), Carcere e trattamento, Milano, 1989, 79.

408 Cfr. A.PRESUTTI, Profili premiali dell’ordinamento penitenziario, Milano, 1986, 29.

409 G.GIOSTRA, Tre settori da differenziare nei rapporti tra giurisdizione ed esecuzione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 1348.

Eppure le scelte compiute dal legislatore, a partire dagli anni Novanta, si sono rivelate antitetiche rispetto alle affermazioni appena fatte410.

I provvedimenti legislativi di quel periodo, diretti

in primis

al contrasto alla criminalità mafiosa - particolarmente allarmante in quegli anni -, hanno introdotto un diverso criterio per la concessione delle misure alternative, fondato su condotte del condannato tenute in àmbito extrapenitenziario: le condotte collaborative prestate in sede processuale.

Queste sono state elevate, in taluni casi, ad esclusivo indice valutativo della personalità del

Outline

Documenti correlati