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Segue. Le pronunce di illegittimità costituzionale del divieto di subvalenza della recidiva

La prima sentenza che si è occupata della legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. ha avuto ad oggetto l’attenuante prevista dall’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309 del 1990 («Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope»)344.

Nella formulazione anteriore alla modifica del 2013 – modifica che ha trasformando la circostanza in una fattispecie autonoma di reato345 -, la norma menzionata prevedeva la circostanza attenuante della «lieve entità» nei reati in materia di stupefacenti, applicabile essenzialmente alla condotta del piccolo spacciatore.

Il riconoscimento di detta attenuante consentiva una riduzione di pena di sei volte rispetto alla pena base (considerata nel suo minimo edittale). La pena, infatti, passava dalla reclusione «da sei a venti anni e multa da euro 26.000 a euro 260.000» (prevista al primo comma) alla cornice ben più lieve della reclusione «da uno a sei anni e multa da euro 3.000 a euro 26.000» (prevista al quinto comma). Nel caso di recidiva reiterata equivalente all’attenuante, il massimo edittale previsto dal quinto comma per il fatto di «lieve entità» (sei anni di reclusione) diventava il minimo della pena da irrogare.

Ciò significava che il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di «lieve entità» (un anno di reclusione) veniva moltiplicato per sei nei confronti del recidivo reiterato, che subiva così di fatto un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto dall’art. 99,

344 Corte cost., sent. 5 - 15 novembre 2012, n. 251, in Giur. cost., 2012, 4057, con nota di C.BERNASCONI, Giudizio di bilanciamento, circostanze c.d. privilegiate e principio di proporzione: il caso della recidiva reiterata. Altri commenti alla sentenza, G.DI CHIARA, Legge «Ex Cirielli», disciplina degli stupefacenti e divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità sulla recidiva reiterata: incostituzionale la rigidità del meccanismo, in Dir. pen. e proc., 2013, 2, 168; G.MANTOVANI,M.RIVERDITI,M.BERTUCCI,B.GIORS,C.MACCARI,F. PAIOLA, Disciplina delle attenuanti generiche in materia di stupefacenti, in Leg. pen., 2013, 1; D.NOTARO, La fine ingloriosa, ma inevitabile, di una manifesta irragionevolezza: la Consulta «lima» il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, in Cass. pen., 2013, 1755.

345 D.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito nella legge 21 febbraio 2014, n. 10 («Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità»). Per la conferma della natura di fattispecie autonoma, si veda Cass. pen., sez. VI, 8 gennaio - 26 marzo 2014, n. 14288 (in Cass. pen., 2014, 12, 4170): la nuova «ipotesi lieve» di condotta illecita in tema di sostanze stupefacenti (art. 73, quinto comma 5, d.P.R. n. 309/1990, come modificato dall’art. 2 del d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito nella legge 21 febbraio 2014, n. 10) dev’essere configurata come figura di reato autonoma rispetto a quella delineata dal comma primo dell’art. 73 d.P.R. cit., in base al criterio testuale, a quello sistematico e all’intentio legis, non contrastati da decisivi argomenti di segno opposto.

quarto comma, cod. pen. per la recidiva reiterata, che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi.

Stante il divieto di riconoscere la prevalenza dell’attenuante in parola, il piccolo spacciatore «di strada», per lo più straniero e disoccupato, recidivo reiterato, si vedeva applicare la stessa pena prevista per il grande trafficante dotato di risorse economiche significative e gestore di un traffico quantitativamente più rilevante di sostanze.

In questo modo, una componente soggettiva, quale la recidiva reiterata - non necessariamente significativa di spiccata capacità criminale, per l’aspecificità dei precedenti e per l’irrilevanza dell’epoca di relativa commissione - finiva per essere eccessivamente enfatizzata a detrimento delle componenti oggettive del reato, ossia la lieve entità dell’offesa346.

La preclusione introdotta nel 2005 si poneva, per questo motivo, in contrasto con svariati princìpi costituzionali.

Nello specifico, si affermava, innanzitutto che ad essere violato era il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.): il divieto in parola conduceva, infatti, ad applicare pene identiche a violazioni di rilievo penale enormemente diverso.

In secondo luogo, vi sarebbe stato un contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost. che, con il suo espresso richiamo al «fatto commesso», riconosce rilievo fondamentale all’azione delittuosa per il suo obiettivo disvalore – e non soltanto quale manifestazione sintomatologica di pericolosità sociale -. La costituzionalizzazione del principio di offensività implica, come ampiamente rilevato nel capitolo precedente, la necessità di un trattamento penale differenziato per fatti diversi, senza che la considerazione della mera pericolosità dell’agente possa legittimamente avere rilievo esclusivo347.

Veniva in rilievo, infine, attraverso l’art. 27, terzo comma, Cost., il principio di proporzionalità della pena, nelle sue due funzioni retributiva e rieducativa: «una pena sproporzionata alla gravità del reato commesso da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice: essa gli apparirà solo come brutale e irragionevole vendetta dello Stato, suscitatrice di ulteriori istinti antisociali»348.

346 C. cost., sent. n. 251/2012, cit., § 1 del Ritenuto in fatto: «l’enorme differenza oggettiva, naturalistica, criminologica delle due condotte viene completamente obliterata in virtù di una esclusiva considerazione dei precedenti penali del loro autore».

347 L’efficacia determinante attribuita, ai fini della commisurazione del trattamento sanzionatorio, ai precedenti penali del reo, e dunque al «tipo di autore», farebbe sì che la pena acquisti caratteri di «esemplarità», incompatibili con i princìpi di offensività del reato e della finalità rieducativa della pena. 348 C. cost., sent. n. 251/2012, cit., § 1 del Ritenuto in fatto. Queste sono i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal Tribunale di Torino e ripresi dalla Corte costituzionale.

Osserva ancora il giudice a quo che la pena edittale minima per il piccolo spaccio del recidivo reiterato è più grave di quella prevista, ad esempio, per la partecipazione ad associazioni terroristiche o mafiose (artt. 270-bis e 416-270-bis cod. pen.), per la concussione (art. 317 cod. pen.), per le lesioni dolose con pericolo di vita

Detti profili di incostituzionalità sono stati tutti accolti dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 251 del 2012. Un meccanismo capace di moltiplicare per sei il trattamento sanzionatorio minimo, ben oltre le percentuali di incremento tipiche della stessa recidiva, restando del tutto indifferente ai profili materiali del fatto, elimina ogni possibilità di seria individualizzazione della pena, di proporzionalità della risposta punitiva, di misurata sua differenziazione rispetto all’identico fatto commesso dal non recidivo.

Le conclusioni della Corte, nel caso

de quo

, hanno trovato il loro fondamento su due solidi argomenti: il principio di offensività, da un lato, e il principio di ragionevolezza-proporzione, dall'altro lato.

Il primo è stato ritenuto incompatibile con una fattispecie nella quale tutto il carico sanzionatorio risultava incentrato su condizioni e/o qualità individuali dell’agente . Il principio di proporzionalità, d’altro canto, è stato inteso come limite logico-giuridico del potere punitivo dello Stato di diritto, posto che la minaccia di una pena troppo severa corre il rischio di suscitare sentimenti di insofferenza nel potenziale trasgressore e di alterare nei consociati la percezione della corretta scala di valori.

Si osservi che la dichiarazione di illegittimità costituzionale riguarda soltanto l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui esclude che la circostanza attenuante di cui all’art. 73, quinto comma, del d.P.R. n. 309 del 1990 possa essere dichiarata prevalente sulla recidiva reiterata. L’incostituzionalità, pertanto, non ha «carattere di generalità».

A porsi in contrasto con i princìpi costituzionali non è il disposto dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. in quanto tale, bensì unicamente taluni possibili esiti della sua applicazione in concreto.

Ciò che contraddistingue l’irrazionalità del divieto nel caso di specie è la significativa variazione sanzionatoria derivante dal riconoscimento della recidiva reiterata. In altri casi (specialmente al cospetto di attenuanti ad efficacia comune), i risultati sanzionatori sono assai meno stridenti con il principio di proporzionalità e possono trovare giustificazione in altri valori costituzionalmente protetti349. La Corte costituzionale, pur senza smentire la propria precedente posizione, parrebbe, nondimeno, riconoscere implicitamente l’esigenza di valutare caso per caso la ragionevolezza degli esiti che l’applicazione della disciplina scrutinata può comportare.

Sulla stessa scia di questa prima pronuncia di incostituzionalità, si collocano altre due sentenze – tra loro «gemelle», perché pronunciate nello stesso contesto temporale e identiche in

della vittima (art. 583, primo comma, cod. pen.), per la rapina aggravata e l’estorsione (artt. 628 e 629 cod. pen.), per la violenza sessuale (art. 609-bis cod. pen.) e per l’introduzione illegale di armi da guerra nel territorio dello Stato (art. 1, legge 2 ottobre 1967, n. 895).

punto di motivazione - concernenti le attenuanti relative ai fatti di «particolare tenuità» di cui agli artt. 648, secondo comma, e 609-

bis

, terzo comma, cod. pen.350.

Oggetto delle due questioni è, ancora una volta, l’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti menzionate sulla recidiva reiterata.

Con riferimento all’attenuante della ricettazione, il divario edittale tra fattispecie circostanziata e fattispecie base è ancora più marcato del caso prima esaminato. Le ricettazioni «di particolare tenuità», infatti, sono punite, a norma dell’art. 648, secondo comma, cod. pen., con la pena della reclusione da quindici giorni a sei anni e la multa sino a 516 euro; la fattispecie base, invece, è punita con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 a 10.329 euro.

Balza immediatamente agli occhi l’enorme divaricazione tra i livelli minimi di pena: «per effetto della recidiva reiterata, il minimo della pena detentiva previsto per il fatto di particolare tenuità (15 giorni di reclusione) viene moltiplicato per 48, determinando un aumento incomparabilmente superiore a quello specificamente previsto per tale recidiva dall’art. 99, quarto comma, cod. pen., che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi»351.

Le differenti comminatorie edittali previste rispettivamente per la fattispecie base e per quella attenuata rispecchiano le diverse caratteristiche oggettive dei fatti ad esse sottostanti, in termini di diversa offensività. L’effetto indiretto della recidiva determina un risultato imparagonabile anche rispetto all’effetto diretto della recidiva.

Questa differenza è disconosciuta dalla norma censurata che indirizza l’individuazione della pena concreta verso un’abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, cosicché due fatti, quelli previsti dal primo e dal secondo comma dell’art. 648 cod. pen. - che lo stesso assetto legislativo riconosce come profondamente diversi sul piano dell’offesa – finiscono per essere ricondotti alla medesima cornice edittale, con violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost., che pone il fatto alla base della responsabilità penale.

La Corte giunge alle stesse conclusioni della pronuncia prima esaminata anche con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. Il divieto legislativo di soccombenza della recidiva reiterata rispetto all’attenuante dell’art. 648, secondo comma, cod. pen., impedisce il

350 Corte cost., sent. 14 - 18 aprile 2014, nn. 105 e 106, in Giur. cost., 2014, 2, 1849, con nota di C. BERNASCONI, L’ennesimo colpo inferto dalla Corte costituzionale alle scelte legislative in tema di comparazione di circostanze. Per ulteriori commenti, G.CIVELLO, Recidiva reiterata e limiti al bilanciamento ex art. 69 c.p.: due nuove conquiste nella battaglia contro «il divieto di prevalenza», cit.; G. MILIZIA, Le attenuanti prevalgono sulla recidiva: il divieto è incostituzionale, in Dir. e giust., 2014, 239; E. APRILE, Osservazioni a Corte cost., 14 aprile 2014, n. 106, in Cass. pen., 2014, 7-8, 2438.

necessario adeguamento, che dovrebbe avvenire attraverso l’applicazione della pena stabilita dal legislatore per il fatto di «particolare tenuità»352.

Con argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili, la Corte, nella sentenza «gemella» n. 106 del 2014, giunge alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata dell’attenuante della minore gravità nel reato di violenza sessuale

ex

art. 609-

bis

, terzo comma, cod. pen.353.

Anche in questo caso, come nei precedenti, rileva l’evidente «pregnanza» o «significatività» della variazione sanzionatoria della fattispecie attenuata rispetto alla fattispecie semplice354. L’applicazione dell’attenuante comporta, infatti, una riduzione della pena base «in misura non eccedente i due terzi». Sicché è possibile passare dalla reclusione «da cinque a dieci anni» prevista per la fattispecie semplice (di cui al primo comma) alla reclusione «da un anno e otto mesi a tre anni e quattro mesi» per la fattispecie attenuata (di cui al comma terzo).

Il giudice

a quo

ricorda che la legge n. 66 del 1996 («Norme contro la violenza sessuale»), unificando, in una sola ipotesi criminosa, ogni attentato alla sfera sessuale, ha indotto il legislatore, per differenziare sul piano sanzionatorio le ipotesi meno gravi (rientranti nella previgente disciplina degli «atti di libidine»), a configurare una circostanza attenuante. In altri termini, l’introduzione dell’attenuante dei casi di minore gravità si giustifica «quale temperamento degli effetti della concentrazione in un unico reato di comportamenti, tra loro assai differenziati, che comunque incidono sulla libertà sessuale della persona offesa, e della conseguente diversa intensità della lesione dell’oggettività giuridica del reato»355.

L’art. 69, quarto comma, cod. pen., nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, verrebbe a realizzare una «deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27, comma 3, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell'applicazione delle circostanze»356.

L’incidenza della predetta regola preclusiva sancita dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. verrebbe ad annullare la diversità delle due cornici edittali prefigurate dal primo e dal terzo comma dell'art. 609-

bis

cod. pen., attribuendo in tal modo «alla risposta punitiva i connotati di

352 Cfr. Corte cost., sent. n. 105/2014, cit., § 5 del Considerato in diritto.

353 Corte cost., sent. n. 106/2014, cit. Per un commento, si veda E.APRILE, Osservazioni a C. cost., 14 aprile 2014, n. 106, cit.

354 E.APRILE, Osservazioni a C. cost., 14 aprile 2014, n. 106, cit.

355 Cfr. Corte cost., sent. n. 106/2014, cit., § 5 del Considerato in diritto, che rinvia alla precedente Corte cost., sent. 26 luglio 2005, n. 325, in Cass. pen., 2005, 11, 3336. Per un commento, si veda D.COLASANTI, Nessuna attenuante ai reati del branco, in Dir. e giust., 2005, 34, 72.

una pena palesemente sproporzionata e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato» 357.

La Corte ribadisce che il giudizio di bilanciamento tra circostanze costituisce uno strumento che consente al giudice il perfetto adeguamento della pena al caso concreto, tramite la valorizzazione degli elementi positivi o negativi più significativi ai fini della qualificazione del fatto e del suo autore. Precludendo in assoluto la dichiarazione di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, la norma censurata determinerebbe, viceversa, un «appiattimento» del trattamento sanzionatorio, in rapporto a situazioni che potrebbero risultare assai diverse; e rischierebbe, al tempo stesso, di imporre l’applicazione di pene manifestamente sproporzionate all’entità del fatto, la cui espiazione non consentirebbe la rieducazione del condannato.

La sequenza degli interventi della Corte sul quarto comma dell’art. 69 cod. pen. è proseguita anche in tempi recenti.

Nel 2016 la Consulta si è nuovamente occupata della legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen. stavolta in relazione alla circostanza di cui all’art. 73, settimo comma, d.P.R. n. 309 del 1990358. Quest’ultima disposizione prevede una circostanza attenuante ad effetto speciale che comporta una diminuzione delle pene previste dai commi da 1 a 6 del medesimo articolo «dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti».

La parziale originalità del percorso seguito dalla Corte risiede, a ben vedere, nel fatto che il meccanismo di comparazione tra circostanze non risultava alterato con riguardo ad un profilo del fatto delittuoso, ma relativamente ad un comportamento successivo al reato da parte del recidivo. Come osserva la Corte, l’attenuante in esame è espressione di una «scelta di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post-delittuoso del reo, rispondendo, sia all’esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti»359. Si tratta di un rafforzamento di quanto previsto all’art. 133, secondo comma, cod. pen., norma che, in tema di determinazione della pena, attribuisce un certo peso alla condotta del reo susseguente al reato.

357 Ibidem.

358 Corte cost., sent. 24 febbraio – 7 aprile 2016, n. 74, in Cass. pen., 2016, 6, 2344, con nota di E.APRILE, Osservazioni a C. cost., 24 febbraio 2016, n. 74. Per ulteriori commenti alla sentenza, si vedano S.CLINCA, La progressiva erosione di un vincolo irragionevole: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico sulla recidiva reiterata, in www.lalegislazionepenale.eu, 28 luglio 2016; G.LEO, Un nuovo colpo agli automatismi fondati sulla recidiva: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione per i reati di narcotraffico, in www.penalecontemporaneo.it, 11 aprile 2016; G.MARINO, La prevalenza della recidiva reiterata sul ravvedimento post-delittuoso è irragionevole, in Dir. e giust., 2016, 18, 49.

La scelta collaborativa rappresenta, in questo senso, una forma qualificata di condotta susseguente al reato, il cui peso non può essere presuntivamente svilito.

Il divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. finisce per svalutare totalmente tale aspetto: impedire alla disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti fa venire meno l’incentivo all’attività collaborativa e ne tradisce la

ratio

. Così facendo, infatti, si finisce per attribuire una rilevanza insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo rispetto alla condotta di collaborazione successiva alla commissione del reato, benché quest’ultima possa essere in concreto ugualmente, o addirittura prevalentemente, indicativa dell’attuale capacità criminale del reo e della sua complessiva personalità. Stesso ragionamento di quello seguito nella sentenza n. 183 del 2011, con riguardo all’art. 62-

bis

cod. pen.

La Corte costituzionale giunge, dunque, a dichiarare l’incostituzionalità del divieto censurato per contrasto con l’art. 3 Cost., mentre dichiara assorbita la questione

sub

art. 27, terzo comma, Cost.

In questo quadro, complesso ma piuttosto univoco, è maturata quella che, ad oggi, è l’ultima decisione della Corte costituzionale, ossia la sentenza n. 205 del 2017360. Ancora una volta ad essere censurato è l’art. 69, quarto comma, cod. pen. questa volta nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, della c.d. legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 567), per effetto della quale sono ridotte fino ad un terzo le pene previste per la bancarotta (semplice o fraudolenta) e per il ricorso abusivo al credito, quando le relative condotte abbiano «cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità».

Anche qui, l’approdo della Corte appare frutto di un percorso logico e consolidato. Come nei casi precedenti, infatti, il vaglio della Consulta ha condotto ad un esito di incompatibilità con i princìpi di ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalità (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.). E, come nei casi precedenti, l’analisi è stata prevalentemente incentrata sulle peculiari caratteristiche della circostanza chiamata in comparazione con la recidiva.

La Corte ha osservato preliminarmente come si tratti di una ipotesi ad effetto speciale, dovendo la formula della legge (pena ridotta «fino al terzo») essere intesa nel senso che i valori edittali sono potenzialmente ridotti di due terzi rispetto a quelli delle fattispecie incriminatrici interessate361. Dunque, un fenomeno di forte divaricazione tra le cornici edittali, già riscontrato rispetto ad altre delle attenuanti sottratte alla regola del quarto comma dell’art. 69 cod. pen., ed in particolare segnato da sostanziale coincidenza tra massimo della pena prevista per l’ipotesi attenuata e minimo della pena applicabile nel caso di neutralizzazione della diminuente. In

360 Cfr. Corte cost., sent. 21 giugno - 17 luglio 2017, n. 205, in www.penalecontemporaneo.it, con nota di G. LEO, Un nuovo profilo di illegittimità nella disciplina della recidiva e dei suoi effetti indiretti, in www.penalecontemporaneo.it, 13 settembre 2017.

sostanza, un aumento di pena inevitabilmente ed irrazionalmente superiore finanche rispetto a quello che la recidiva reiterata imporrebbe una volta applicata ai valori di un’autonoma fattispecie di minor gravità362.

Citando se stessa e valorizzando la pertinenza dell’attenuante ad un forte scarto nell’offensività della condotta criminale, la Corte costituzionale ha sanzionato l’«abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato», così da sfigurare quel «diritto penale del fatto» che l’art. 25, secondo comma, Cost. incardina quale modello essenziale del sistema criminale363.

Ancora una volta, poi, la Consulta ha voluto espressamente riconoscere anche la violazione

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